DUE ANNI DI MELONI “AGGIUSTA COSE”
E’ CIRCONDATA DA INCAPACI MA POI “CI PENSA” LEI … E CI SONO SEMPRE I BEOTI CHE DI CREDONO
Giorgia Meloni festeggia oggi i primi due anni di un one-woman-show politico di successo, che resiste a ogni sabotaggio e mantiene alto il consenso malgrado l’andamento spesso squinternato della sua squadra e le rinunce a certe esagerate promesse elettorali su flat tax, accise, blocchi navali eccetera.
C’è una operazione nella quale la presidente del Consiglio ha fatto centro: quella di utilizzare come elementi di forza i pasticci combinati dai suoi stessi fedelissimi.
Meloni è risultata nel biennio il deus ex machina delle situazioni impossibili, la Cassazione delle controversie imbarazzanti, la Croce Rossa degli arruffoni. «Risolverò anche questa» ha risposto a caldo a chi le chiedeva un commento sulla bocciatura giudiziaria del trasferimento dei primi migranti in Albania, e l’espressione dice tutto: ancora una volta devo rimboccarmi le maniche io, perché quelli che dovevano capire non hanno capito, quelli che dovevano prevedere non hanno previsto, quelli che dovevano fare non hanno fatto.
È un’immagine attentamente coltivata nella retroscenistica, il sale di ogni racconto sugli affari di palazzo. «Meloni furiosa» con Tizio, Caio o Sempronio della sua maggioranza, «Meloni minaccia i suoi di mollare», sono i titoli che hanno accompagnato a cadenza settimanale la vicenda della premier, dalla straniante conferenza stampa dopo il disastro di Cutro fino al caso Sangiuliano, l’alfa e l’omega delle catastrofi comunicative di questi due anni. Gli elettori apprezzano. Per fortuna c’è lei. E così il lungo elenco di scivoloni ministeriali, amicali e persino famigliari, anziché metterla in difficoltà è diventato una risorsa. «Meloni aggiusta cose» è oggi uno dei principali fattori di popolarità e consenso della premier, vero cemento del brand Giorgia che come tutti i marchi di successo funziona a prescindere da ogni considerazione razionale.
Poi, certo, c’è il lato oscuro dell’one-woman-show. È cruccio che da sempre affligge la destra, fin dai tempi dei governi a trazione berlusconiana ma anche in precedenza, e cioè quello di non riuscire a incidere davvero nella vicenda italiana con qualcosa di significativo e permanente.
Il sogno sangiulianesco dell’egemonia culturale, il presidenzialismo o il premierato, l’autonomia regionale, la separazione delle carriere, le Riforme con la maiuscola che consentono di dire «abbiamo fatto la storia» restano congelate per motivi di opportunità politica. Troppo alti i rischi di consenso, troppo scarse le risorse materiali e forse anche quelle intellettuali, troppi i precedenti che consigliano il galleggiamento sull’esistente.
È il colpo d’ala che storicamente è mancato ai conservatori, nei tempi difficili della Prima Repubblica per oggettiva emarginazione dal sistema, nell’era del berlusconismo per scarsa rilevanza nei luoghi del potere reale, e ora per una pragmatica considerazione dello stato dell’arte: Meloni può facilmente coltivare il suo consenso nell’ordinario tran-tran del Paese, ma avventurarsi nella sfera delle decisioni straordinarie richiede qualcosa in più della popolarità di una donna sola al comando. Servirebbe una squadra efficace, un giro di amicizie più largo dei fedelissimi, la capacità di attrarre consenso oltre il «noi contro loro» che è il mantra di ogni scelta di governo, ma nessuna di queste cose c’è. Così, i primi due anni di Giorgia sono anche gli anni di una grande ambizione frustrata: il progetto di rifondare l’Italia, farsi madre di una nuova patria, rinviato a data da destinarsi.
(da lastampa.it)
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