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ECCOLA L’ITALIA DEI RECORD BY GIORGIA MELONI: I SALARI REALI NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI (DUE E MEZZO CON LA DUCETTA A PALAZZO CHIGI) HANNO PERSO IL 10,5% DEL POTERE D’ACQUISTO …IL 23% DELLA POPOLAZIONE È A RISCHIO POVERTÀ O ESCLUSIONE SOCIALE

LA PRODUZIONE INDUSTRIALE NEL 2024 È DIMINUITA DEL 4% RISPETTO AL 2023, QUANDO GIÀ ERA CALATA DEL 2 (IN SPAGNA CRESCE DELLO 0,5) … L’OCCUPAZIONE CRESCE, MA SOLO IN SETTORI A BASSA PRODUTTIVITÀ E BASSO CONTENUTO TECNOLOGICO: IL PIL PER OCCUPATO È SCESO DEL 5,8% IN VENT’ANNI (IN FRANCIA, GERMANIA E SPAGNA CRESCE DELL’11.12%)

Le famiglie sono sempre più piccole e frammentate. Nel biennio 2023-2024 le persone sole costituiscono il 36,2 per cento delle famiglie e le coppie con figli scendono al 28,2 per cento. Secondo il Rapporto Istat, tra le cause instabilità coniugale, bassa fecondità e posticipo della genitorialità.
L’aumento delle persone sole interessa tutte le età, ma soprattutto gli anziani. Quasi il 40 per cento delle persone di almeno 75 anni vive da solo, in prevalenza donne.Famiglie ricostituite, coppie non coniugate, genitori soli non vedovi e persone sole non vedove rappresentano oggi il 41,1 per cento delle famiglie, segnando una trasformazione strutturale nella geografia familiare del Paese
Le retribuzioni contrattuali hanno perso tra il 2019 e il 2024 il 10,5% del potere d’acquisto a causa della forte crescita dei prezzi.
E’ quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istat che chiarisce però che per le retribuzioni lorde di fatto per dipendente (quelli che tengono conto degli accordi
aziendali e individuali e dei cambiamenti della composizione dell’occupazione) la perdita del potere d’acquisto “è stata più contenuta e pari al 4,4% in Italia”, superiore al 2,6% della Spagna e all’1,3% della Germania. Nel 2024 nel settore privato dell’economia la produttività del lavoro si è ridotta del 2% (-0,2% quella del capitale).
L’Istat sottolinea che la produttività del lavoro per occupato nel 2024 si è ridotta dello 0,9% e dell1,4% per ora lavorata “come risultato dell’espansione dell’occupazione maggiore rispetto a quella del valore aggiunto”.
Nell’anno l’occupazione è cresciuta dell’1,5% con 352mila unità in più. In disoccupati si sono ridotti di 283mila unità mentre il tasso di disoccupazione è calato al 6,5%. Il dato sulla produttività, hanno spiegato i ricercatori, è legato alla composizione dell’occupazione che ha visto la crescita del lavoro ni settori ad alta intensità di lavoro e a bassa produttività come il turismo e la ristorazione.
La perdita del potere d’acquisto per le retribuzioni contrattuale è stata rilevante soprattutto a fine 2022 quando ha raggiunto il 15% mentre è scesa nel periodo successivo toccando a febbraio l’8,7%.
E’ risalita al 10% a marzo 2025. Guardando al reddito reale da lavoro per occupato (compresa quindi l’occupazione indipendente) l’Istat segnala che nel 2024 “è più elevato rispetto al 2014, anno di minimo dopo la grande recessione degli anni precedenti, ma più basso del 7,3% rispetto al 2004 (-5,8% per i dipendenti) per la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione con riduzioni per tutte le classi di età”.
Nonostante il calo del reddito da lavoro, precisa l’Istituto, tra il 2004 e il 2024 il reddito familiare equivalente “è aumentato del 6,3%, grazie ai cambiamenti demografici (in particolare la riduzione della quota delle famiglie con figli), all’aumento del numero di componenti occupati e alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione”. In pratica il reddito reale da lavoro per occupato si è ridotto ma quello delle famiglie è cresciuto grazie al fatto che in molti casi è entrato in casa un secondo stipendio e che la famiglia è meno
numerosa.
In Italia quasi un quarto della popolazione, il 23,1%, è a rischio povertà o esclusione sociale (+0,3 punti sul 2023) ma al Sud la percentuale sale di un punto e tocca il 39,8%.
Lo si legge nel Rapporto annuale dell’Istat. l’indicatore riguarda le persone che hanno almeno un fattore di rischio tra la povertà (un reddito inferiore al 60% di quello mediano), la grave deprivazione materiale e la bassa intensità di lavoro. L’Istat sottolinea che il rischio di povertà ed esclusione sociale cresce per gli individui che vivono in famiglie il cui principale percettore di reddito ha meno di 35 anni (dal 28,4% al 30,5% del totale).
Guardando alle caratteristiche familiari, spiega l’Istat, nel 2024 l’incidenza del rischio di povertà o esclusione sociale si conferma più bassa per chi vive in coppia senza figli, soprattutto se la persona di riferimento della famiglia ha almeno 65 anni (15,6%). Al contrario, l’incidenza è quasi doppia (30,5, in aumento dal 28,4% osservato nel 2023) per gli individui che vivono in famiglie in cui il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni.
Rispetto al 2023, l’indicatore aumenta anche per chi vive in coppia con almeno tre figli (+2,8 punti percentuali), per i monogenitori (+2,9 punti), e per gli individui con almeno 65 anni che vivono da soli (+2,3 punti)
Per le coppie con uno o due figli, il rischio di povertà o esclusione sociale resta intorno al 19%, al di sotto della media nazionale (23,1%). La grave deprivazione materiale e sociale presenta forti disuguaglianze territoriali: nel 2024, colpisce l’1,3 per cento della popolazione nel Nord-est e il 12,1 per cento nel Sud, a fronte del 4,6 della media nazionale.
Anche le caratteristiche familiari influiscono molto: la quota sale al 7,9 per cento tra chi vive in coppie con tre o più figli e raggiunge l’11,4 nelle famiglie in cui il principale percettore di reddito è straniero, rispetto al 4,0 registrato tra le famiglie con percettore italiano.
I più diffusi segnali di deprivazione sono: l’impossibilità di permettersi una settimana di vacanza all’anno (31,4% nel 2024), la mancanza di risorse per affrontare una spesa imprevista (29,9%), l’incapacità di sostituire mobili danneggiati (15,8%) e, a livello individuale, la rinuncia ad attività a pagamento nel tempo libero (9,6%).
Le difficoltà economiche a sostenere spese impreviste sono particolarmente frequenti tra le famiglie monogenitore (36,2%), tra quelle con percettore giovane con meno di 35 anni (38,7%) o con cittadinanza straniera (54,7%). Va considerato inoltre – spiega l’Istat – “che eventi quali lo scioglimento di un’unione o il decesso di un componente familiare possono esporre le famiglie a un maggiore rischio di ritrovarsi in condizioni di disagio economico”.
Nel 2024 un italiano su dieci (9,9%) ha riferito di avere rinunciato negli ultimi 12 mesi a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa e per la difficoltà di pagare le prestazioni sanitarie.
Lo scrive l’Istat nel Rapporto annuale 2025, con dati che testimoniano l’affanno della sanità pubblica: la rinuncia a prestazioni vitali per la prevenzione e la cura è in crescita sia rispetto al 2023, quando era al 7,5%, sia rispetto al periodo pre-pandemico quando il dato era 6,3%, “soprattutto per l’aggravarsi delle difficoltà di prenotazione”. Secondo il documento, nel 2024 la spesa pubblica per prestazioni sanitarie è salita a 130,1 miliardi dai 123,767 miliardi del 2023.
“Le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globale”. Lo scrive Istat nel rapporto 2025 facendo riferimento alle stime di crescita fra cui quelle del Fmi (+0,4%) e Banca d’Italia e Mef (+0,6%) contro lo 0,7% registrato nel 2024.
Le prospettive per il 2025 – spiega l’istituto statistico – sono condizionate “dalle possibili evoluzioni delle tensioni geopolitiche internazionali che rendono ogni previsione soggetta ad ampi margini di incertezza”. Istat nota anche il “netto miglioramento” dei conti pubblici con la discesa dell’indebitamento netto dal 7,2% al 3,4% del Pil e un debito cresciuto di sette decimi al 135,3%, meno di quanto stimato da Psb e Commissione europea, per la spesa per interessi (2
decimi) e la ridotta crescita del Pil.
In Italia tra i 25 e i 64 anni appena il 65,5% risultava avere nel 2023 almeno il diploma, una percentuale molto più bassa della Germania (83,1%) e della Francia (83,7%) e comunque di oltre dieci punti inferiore alla media Ue a 27 (79,8%. Quindi oltre un terzo degli italiani in età da lavoro ha un titolo non superiore alla terza media.
E’ quanto emerge dal Rapporto annuale presentato dall’Istat che sottolinea come l’istruzione sia una risorsa fondamentale per lo sviluppo individuale e collettivo ed elemento strategico per la crescita del Paese e per le opportunità individuali.
Nel nostro Paese la quota dei 25-34 anni con un titolo di istruzione terziaria raggiunge nel 2024 il 31,6% ma nonostante il miglioramento resta lontano dall’obiettivo europeo per il 2030 del 45%. In Italia la quota delle persone tra i 18 e i 24 anni che risultano aver abbandonato la scuola senza aver raggiunto il diploma o una qualifica (i cosiddetti early leavers) è del 9,8%.
L’abbandono è più alto tra i ragazzi (12,2%) rispetto alle ragazze (7,1%). Tra i giovani di cittadinanza straniera il tasso di abbandono è tre volte quello dei cittadini italiani ( (24,3% contro l’8,5%). Conta molto la situazione familiare con il 22,8% di abbandoni tra i giovani con genitori con al massimo la licenza media e appena l’1,2% se i genitori sono laureati.
L’Italia è tra i Paesi europei maggiormente colpiti per perdite economiche dovute ad eventi climatici estremi: nel periodo 1980-2023, si colloca al secondo posto nell’UE27 con circa 134 miliardi di euro, dopo la Germania con 180 miliardi e prima della Francia con 130 miliardi.
Lo evidenzia l’Istat nel suo rapporto annuale ricordando che il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre a livello globale dal periodo pre-industriale, il secondo in Europa dopo il 2020 e in Italia dopo il 2022. ·
Dal 2005 al 2024 l’Italia ha triplicato la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili raggiungendo circa 130 Twh, contro quasi 380 in Germania, oltre 160 in Spagna e 150 in Francia; in questi ultimi due Paesi, tuttavia, il nucleare – considerato energia pulita – concorre rispettivamente per altri 55 e 380 Twh.
Cresce la quota di produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili (trainata soprattutto dal fotovoltaico).
Nel 2024 questa ha rappresentato il 49,0 per cento del totale, contro circa il 16,1 per cento nel 1990 e circa il 40 per cento nel 2014. A confronto con il 2014, sono cresciute le quote dell’eolico e, soprattutto, del fotovoltaico, mentre si sono ridotte quelle delle altre fonti. L’idroelettrico, nonostante un calo della quota di quasi 10 punti percentuali, continua a rappresentare circa il 40 per cento della produzione delle rinnovabili, seguito dal fotovoltaico e dall’eolico.
Tra il 2008 e il 2023 in Italia il livello del Pil è cresciuto dell’1,4 per cento in termini cumulati, ma si sono ridotte le pressioni sull’ambiente generate dal sistema economico: del 23,1 per cento il Consumo di energia delle unità residenti, di oltre il 32 per cento le Emissioni climalteranti (cosiddetti gas a effetto serra) e di circa il 40 per cento il Consumo materiale interno.
In Italia quasi un quarto della popolazione (il 24,7% pari a 14 milioni 573mila persone) ha più di 65 anni mentre ci sono quasi 4,6 milioni di persone che hanno superato gli ottanta. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istat presentato oggi che sottolinea come gli over ottanta abbiano ormai superato i bambini con meno di 10 anni di età (4 milioni 326mila). Se si guarda a 25 anni fa i bambini di questa età erano 2,5 volte gli over 80 mentre cinquanta anni fa il rapporto tra bambini e grandi anziani era 9 a uno.
Gli individui con almeno 100 anni hanno superato all’inizio 2025 quota 23.500 unità, al massimo storico. I ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni e 19mila unità, meno della metà degli over 65. Al primo gennaio 2025 la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 934mila unità (-0,6 per mille sull’anno).
Nel 2024 ci sono state 370mila nascite a fronte di 651mila decessi con un saldo naturale negativo per 281mila unità. Guardando ai percorsi di vita delle generazioni l’Istat segnala che il tasso di nuzialità realizzato entro i 40 anni era di 879 ogni mille donne tra quelle nate nel 1933 mentre è sceso a 578 per quelle nate nel 1983
Crescono le nuove forme familiari: le unioni libere soni oltre 1,7 milioni e le famiglie ricostituite coniugate sono 840mila. Per la generazione del 1983 la media è di 1,44 figli per donna mentre era a 2,31 per le nate nel 1933. Se nel 1999 solo 10 nati su cento avevano genitori non coniugati nel 2023 la quota è più che quadruplicata (42,4%).
(da agenzie)

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