ELUSIONE FISCALE: LE LEGGI CI SONO, I CONTROLLI NO
SOCIETA’ DI COMODO: DAL GOVERNO FINORA SOLO BUONI PROPOSITI
S i fa presto a dire “è finita la pacchia delle società di comodo”.
Oppure “scoviamo chi usa i trust per non pagare le tasse”.
Quando poi dagli slogan di Roberto Calderoli (mica per niente è il ministro per la semplificazione) si passa ai fatti, all’azione sul campo, non ci vuole molto a capire che gli annunci governativi sono un involucro vuoto che sarà molto difficile riempire di norme effettive e, soprattutto, efficaci.
Più difficile ancora, poi, è immaginare quanto concretamente potrebbe fruttare alle casse dello Stato la crociata contro gli schermi fiscali (trust e società di comodo).
Secondo il governo queste misure, insieme alla stretta sulle cooperative, dovrebbero compensare i 3 miliardi circa svaniti con l’abolizione del cosiddetto contributo di solidarietà , quello sui redditi superiori a 90 mila e a 150 mila euro, inserito nella prima versione della manovra.
“Ma è davvero difficile fare delle previsioni – spiega Francesco Tundo, professore di diritto tributario all’università di Bologna – a maggior ragione se come in questo caso il gettito dipende da un’attività di contrasto dai contenuti incerti e dagli esiti aleatori”.
Le nome per colpire le società di comodo, in effetti, ci sono già .
Per esempio, chi intesta la propria barca a una società controllata da se stesso o dai propri famigliari potrà recuperare l’Iva versata ai fornitori solo se paga un noleggio superiore a soglie prefissate.
Come dire, il trucco non funziona se si usa lo yacht gratis o versando un obolo irrisorio alla società che ne è formalmente proprietaria.
Questa forma di elusione fiscale è diffusissima.
Almeno a giudicare dai numeri ufficiali.
In Italia, secondo quanto ha rivelato l’anno scorso un articolo de “L’espresso ”, si contano oltre 4 mila società che hanno come attività il “noleggio di imbarcazioni da diporto senza equipaggio”.
E gran parte di queste affittano la barca ai propri soci.
I controlli hanno però fin qui dato risultati scarsi. Poche decine di contestazioni per un valore complessivo nell’ordine dei milioni di euro.
Ancora più difficile appare la caccia al trust, una formula giuridica anglosassone che consente di schermare il reale proprietario di un bene designando un intestatario giuridico e un beneficiario economico.
Al supermarket dell’elusione il trust va alla grande.
Negli ultimi anni si sono moltiplicati i commercialisti specializzati in questo particolare strumento.
Ne fa uso chi vuole proteggere i propri beni dalle pretese dei creditori o, in caso di separazione, dalle richieste della ex moglie.
Ma il trust, a quanto pare, funziona benissimo anche per mettersi al riparo dal fisco.
Non si contano i beni di lusso (ville, barche, auto) intestati, per esempio, a strutture fiduciarie con sede nelle isole britanniche del Canale.
Anche in questo caso negli ultimi anni le norme e i controlli si sono fatti più stringenti, ma la stessa moltiplicazione dei professionisti del trust appare un’implicita conferma che gran parte degli evasori è più che convinta di farla franca.
A questo punto si tratta di capire, dopo gli annunci alla Calderoli, quali saranno davvero le mosse del governo.
C’è chi ipotizza una sorta di patrimoniale a carico di tutti i beni intestati ai trust a meno che il proprietario non dimostri che il ricorso a questo strumento non ha finalità di elusione fiscale.
Il meccanismo funzionerebbe come già accade per la residenza in Paesi a tassazione zero, tipo Montecarlo.
In questi casi tocca al contribuente l’onere della prova, cioè convincere l’Agenzia delle entrate che passa effettivamente la maggior parte del tempo nel paradiso fiscale.
Lo stesso potrebbe succedere a chi intesta propri beni a un trust.
Ci sarebbe anche una soluzione ancora più radicale. “Se davvero si vuole combattere il fenomeno delle società filtro basterebbe una norma molto semplice”, suggerisce Tommaso Di Tanno, professore di diritto tributario internazionale a Siena.
Eccola: “obbligare tute le società di capitali (spa, srl, accomandite) iscritte alla camera di commercio (salvo quelle ad azionariato diffuso, tipo le quotate in Borsa) a rivelare l’identità dei dominus, delle persone fisiche che le controllano ”.
Sarebbe una svolta nella lotta all’evasione fiscale e anche per la repressione della criminalità organizzata
Vittorio Malagutti
(da “il Fatto Quotidiano“)
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