EMERGENCY A MILANO MOBILITATA PER SENZATETTO E MIGRANTI: “VITTIME DUE VOLTE, RISCHIANO DI VEICOLARE IL VIRUS”
INTERVISTA A ROSSELLA MICCIO, PRESIDENTE DELLA ONG CHE STA AIUTANDO IL COMUNE: “STIAMO PAGANDO I TAGLI ALLA SANITA’ PUBBLICA”
Vittime due volte del virus. Perchè più esposti al rischio e con minor accesso al sistema sanitario.
Sono i senzatetto, i migranti, i minori stranieri non accompagnati che ruotano attorno al sistema dell’accoglienza milanese: circa 5000 persone.
Persone che non possono “restare a casa” perchè una casa non ce l’hanno, e quindi rischiano di ammalarsi e far ammalare gli altri.
A loro è dedicato uno degli interventi messi in campo da Emergency, ong che dal 1994 si impegna per garantire il diritto alle cure in contesti di marginalità sociale. Da giorni Rossella Miccio, presidente di Emergency, non si ferma un attimo: le sue equipe stanno aiutando il Comune a individuare e isolare i casi sospetti di Covid-19 tra gli “ultimi” di Milano.
“Il lavoro da fare è enorme e soprattutto urgente: in pochi giorni di attività , abbiamo già individuato una decina di casi sintomatici, predisponendone l’isolamento per ora negli stessi centri d’accoglienza. Da oggi entrerà in funzione una struttura messa a disposizione dal Comune dove potranno essere trasferite fino a 70 persone da mettere in isolamento. Finora a nessun caso sintomatico è stato fatto il tampone: il test si fa solo in ospedale in presenza di sintomi gravi. Dall’inizio del nostro intervento abbiamo avuto solo un caso di ospedalizzazione”.
Dottoressa Miccio, in cosa consiste il vostro intervento sulle fasce più deboli ed esposte all’epidemia?
“Abbiamo messo a disposizione le nostre competenze per supportare la gestione durante l’epidemia di tutta la fascia della marginalità , cioè senza fissa dimora, migranti, minori stranieri non accompagnati, eccetera. Si tratta di persone che sono vittime due volte del virus, perchè sono sicuramente più esposte al rischio e allo stesso tempo hanno meno accesso al sistema sanitario. Contemporaneamente, si possono ammalare con molta facilità , e — se non gestiti e non controllati – possono diventare anche un veicolo di diffusione del virus”.
Come si fa a “gestire e controllare” migliaia di persone che di solito la nostra società non vuole vedere?
“Se l’indicazione per noi è ‘stai a casa e non uscire’, se una casa non ce l’hai o se il posto in cui vivi non ti permette di garantire l’isolamento nel caso ne avessi bisogno, la situazione diventa problematica. Abbiamo messo in piedi delle squadre con infermiere, logista, medico, che stanno facendo dei sopralluoghi quotidiani in varie strutture gestite dal Comune in collaborazione con varie cooperative. Quello che facciamo è una valutazione dell’idoneità della struttura e un’attività di formazione del personale: in ciascun centro abbiamo implementato una serie di protocolli per il controllo delle infezioni (lavaggio delle mani, misure di igiene, gestione dei pasti, distanziamento tra i letti, etc) e attivato una sorveglianza sanitaria volta all’identificazione e al monitoraggio dei sintomi tra gli ospiti di queste strutture”.
Come vi comportate in presenza di sintomi sospetti di Covid-19?
“Abbiamo i nostri medici che rispondono immediatamente alle chiamate che arrivano da chi gestisce questi centri. Insieme a loro e ovviamente insieme al Comune decidiamo come monitorare e gestire i casi che manifestano sintomi. Quando ci sono condizioni particolarmente gravi, attiviamo il 112 per l’ospedalizzazione; altrimenti, visto che uno degli obiettivi è evitare il sovraccarico di un sistema ospedaliero già allo stremo, contribuiamo a una gestione il più sicura possibile di tutti i casi che possono non essere inviati in ospedale e in Pronto Soccorso. Ad oggi non abbiamo ancora definito con il Comune l’eventuale gestione di pazienti positivi (che hanno fatto il tampone); per ora stiamo gestendo solo casi di pazienti sintomatici che vengono identificati nelle strutture. Ufficialmente non abbiamo ancora gestito casi conclamati, ma solo pazienti sintomatici. I tamponi ormai vengono fatti a chi arriva in ospedale, non prima. Il principio che stiamo cercando di utilizzare è proprio quello della massima cautela: in presenza di sintomi, consideriamo comunque il paziente come positivo, e quindi mettiamo in atto tutte le misure per garantire la quarantena sua e delle persone con cui è entrato in contatto”.
Come si fa ad applicare le misure di isolamento e quarantena in un centro d’accoglienza?
“Tutti gli operatori di questi centri sanno che devono stare a distanza di sicurezza (almeno un metro e mezzo), indossare la mascherina, lavare continuamente le mani e le superfici con i disinfettanti. Se la persona ha dei sintomi resta in una camera da sola; la consegna dei pasti avviene con delle procedure specifiche; viene monitorata la temperatura più volte al giorno con dei termometri a distanza. Se durante il monitoraggio la persona dovesse sviluppare dispnea grave, seri problemi di respirazione e febbre oltre i 38-38,5, allora si chiama il 112 perchè c’è necessità di essere portati in ospedale. Finora è capitato una volta”.
Quante persone con sintomi avete individuato/isolato finora?
“Dall’inizio dell’intervento, pochi giorni fa, abbiamo isolato una decina di persone all’interno delle strutture. Da oggi è possibile trasferire questi casi in una struttura messa a disposizione dal Comune in via Carbonia (zona Quarto Oggiaro)”.
Come funzionerà l’accesso a questa struttura?
“La struttura potrà ospitare fino a 70 persone che necessitano di isolamento per motivi sanitari: pazienti che non hanno fatto il tampone e perciò non possono dirsi Covid-positivi, ma hanno tutti i sintomi. Si tratta di un edificio di tre piani composto da monolocali e bilocali, che doveva essere adibito a edilizia sociale. Vista l’emergenza, il Comune ha deciso di sospendere il progetto e mettere la struttura a disposizione. Nei giorni scorsi abbiamo fatto insieme al Comune una serie di modifiche necessarie, e da oggi è possibile cominciare a trasferire in totale sicurezza chi verrà identificato sulla base dei sintomi sanitari”.
Quanto è ampia questa “fascia di marginalità ” a Milano, una realtà che conoscete bene perchè sede del vostro quartier generale?
“Al sistema di accoglienza milanese fanno capo circa 5000 persone. Il fatto positivo è che il Comune di Milano ha deciso di prorogare l’apertura di quelli che erano i centri per l’emergenza freddo, che avrebbero dovuto chiudere il 31 di marzo, e di tenere aperti anche di giorno i centri che facevano solo accoglienza notturna, proprio per far sì che le persone restino lì e non vadano via al mattino. Le misure che stiamo cercando di mettere in piedi sono varie e urgenti, con il Comune stiamo collaborando bene. Il telefono non si riesce mai a caricare, è un continuo di urgenze, problematiche nuove che vengono fuori. La situazione è sinceramente molto impegnativa”.
Nel resto d’Italia come avete modificato le vostre attività per rispondere all’emergenza Covid-19?
“In tutto abbiamo dieci ambulatori, dalla Calabria a Brescia, alle zone terremotate del Centro Italia. Da subito, nel momento in cui è scoppiata l’epidemia, abbiamo riorganizzato tutta l’attività dei nostri ambulatori per continuare a garantire l’assistenza di base e orientamento ai nostri pazienti in totale sicurezza anche per gli operatori. Modificando i protocolli, siamo riusciti a restare operativi su tutto il territorio italiano, offrendo un servizio destinato alle fasce più vulnerabili della popolazione: migranti, senza fissa dimora, anziani che hanno bisogno di supporto per malattie croniche e gestione di terapie, un’ampia fascia di persone che tendenzialmente sono quelle che meno hanno accesso ai servizi sanitari. Abbiamo aggiunto un’attività di sorveglianza specifica sui pazienti a rischio: in quel caso, facciamo la segnalazione alla Asl e forniamo indicazioni alle persone su come gestire l’eventuale quarantena o quando andare in ospedale”.
Sul Comune di Milano siete attivi anche nelle consegne a domicilio a over 65 e soggetti a rischio. In cosa consiste il servizio?
“Stiamo collaborando al progetto del Comune “Milano Aiuta”, che consiste nel supporto a domicilio agli over 65 e alle persone che devono rimanere in casa: volontari nostri e di altre associazioni coordinati da noi svolgono un servizio ovviamente gratuito di consegna a domicilio di pasti, farmaci, generi di prima necessit
Il dramma e il pericolo di questa epidemia sulle fasce più deboli ci faranno aprire gli occhi sul fatto che l’Altro siamo noi?
“Spero che da questa esperienza, quando ne usciremo, ne usciremo come una società cambiata in meglio. Un virus sconosciuto ci sta mettendo di fronte a una realtà che dal nostro punto di vista è abbastanza scontata, ma forse per molti non lo è: di fronte a problemi di salute siamo davvero tutti uguali, non c’è barriera nè fisica nè sociale che tenga. Un virus attraversa i confini e non guarda in faccia a nessuno. Questo dovrebbe farci capire che se vogliamo avere un futuro, dobbiamo pensare a un futuro per tutti, con delle garanzie per tutti. Non sono così sicura che impareremo la lezione, però me lo auguro. Il rischio è di ritrovarci nella stessa situazione tra qualche anno, ma con molti più poveri, molti più bisogni e temo ancora più morti, uno scenario che nessuno vuole immaginare”.
Negli ultimi anni la Sanità pubblica ha subito pesanti tagli di cui oggi paghiamo le conseguenze. Almeno questa lezione la impareremo?
Sulla Salute non si può tagliare. La Salute deve costare il giusto, deve esserci una lotta ferrea alla corruzione e agli sprechi, però non può essere un settore su cui si taglia per problemi di budget. Ne stiamo pagando le conseguenze oggi. Il blocco delle assunzioni degli ultimi anni nel sistema sanitario pubblico ci sta mettendo di fronte alla carenza di personale che stiamo verificando in questi giorni. Chapeau per tutti coloro che sono in prima linea, medici, infermieri, personale delle pulizie, tutti: stanno veramente facendo un lavoro eccezionale. Avremmo potuto essere più pronti e preparati se fossimo stati più attenti nel sostenere il nostro sistema sanitario negli ultimi vent’anni. Ora però non c’è tempo per piangersi addosso. È il momento di rimboccarci le maniche, per il bene di tutti”.
(da “Huffingtonpost”)
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