FRATELLI D’ITALIA SCOPRE LE CORRENTI: IL BOOM DI VOTI SPIAZZA L’INTERO PARTITO, ABITUATO A STARE ALL’OPPOSIZIONE GUIDATO DA UN CLAN FAMILIARE
EMERGONO “SENSIBILITÀ” DIVERSE SEMPRE PIÙ DIFFICILI DA GESTIRE PER GIORGIA MELONI… GLI SCIVOLONI DELLA COMUNICAZIONE
Quando erano quattro gatti a ballare l’Hully-Gully, i “Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni erano compatti, uniti, anche grazie a quel senso di accerchiamento che la destra post-missina si è a lungo portata dietro. Negli ultimi anni, si è invertita la rotta: i reietti di ieri sono passati dal 4 al 26% e veleggia nei sondaggi ormai intorno al 30.
Una overdose di consensi, ben oltre ogni più rosea aspettativa, che ha catapultato la Ducetta al comando di Palazzo Chigi, e non poteva non attirare tanti nuovi “fratellini” golosissimi di riconoscimenti e di potere, dopo tanti anni di vita politica “catacombale”.
Abituata com’era al clan famigliare di via della Scrofa, il successo ha spiazzato non solo Giorgia Meloni, ma l’intera organizzazione del partito, che ora, per la prima volta, si ritrova attraversato da “correnti”.
L’unanimismo di un tempo oggi lascia spazio a sensibilità molto diverse: ci sono i “pragmatici” Crosetto e Tremonti, gli “ideologici” capitanati da Fazzolari, i “gabbiani” di Rampelli, rimasti ai bei tempi di Colle Oppio, la correntina monocellulare di Daniela Santanchè in quota “Cinepanettone” a Cortina, il venerato maestro ‘Gnazio La Russa (che da presidente del Senato si sente investito di un’autonomia politica superiore) e infine i “meloniani” duri e puri, come il cognato d’Italia, Francesco Lollobrigida, e Giovanni “Minnie” Donzelli.
Il florilegio di correntine è anche un modo per dare rappresentanza a più fette di elettorato. L’enorme allargamento dei consensi obbliga un partito a darsi una forma meno monolitica: la polifonia di voci aiuta a intercettare più voti
E’ una risposta, certo. Ma non necessariamente una soluzione. Come la recente storia politica insegna, da alcuni lustri l’opinione pubblica, svincolata da ideali e ideologie, è volubile e volatile. Il 40% di Renzi alle Europee 2014, l’ascesa pre-Papeete di Salvini (34%), il boom del Movimento 5 Stelle tra il 2013 e il 2018 (32%): tutti esempi di impennate improvvise di gradimento, a cui sono seguite cadute rovinose.
In Fratelli d’Italia, divenuto di fatto un partito conservatore, il collante ideologico è via via scemato: non solo per gli elettori, ma anche per gli eletti.
Prima i parlamentari della Meloni si riunivano come bravi soldatini a via della Scrofa, oggi ognuno ha il suo orticello di potere: chi al ministero, chi ai gruppi parlamentari, chi guida le commissioni, e diventa più complesso per “Io sono Giorgia” gestirli.
Infatti, la regina della Garbatella soffre molto la “non univocità” della comunicazione del partito.
I chiaccheroni Crosetto e Urso vanno a ruota libera, anche Lollobrigida (recentemente cazziato dalla cognata) ama esternare e specchiarsi nelle paginate dei giornali a lui dedicate.
Non basta a ricondurre all’unità la trovata degli “Appunti di Giorgia”, che evocano più le pazzarìe di Salvini su TikTok che un progetto di comunicazione istituzionale esaustivo. Non sono pochi gli “addetti ai livori” che riconoscono alla Meloni pochi errori politici, finora, e fin troppi scivoloni nella gestione della macchina comunicativa di Palazzo Chigi.
Un esempio su tutti: la pessima gestione della questione accise sulla benzina. Ieri la Ducetta ha fatto una diretta per prendersi la responsabilità della mancata proroga degli sconti sul carburante, e sostenere che nell’ultima campagna elettorale non aveva mai parlato di ridurre le accise.
Peccato che subito dopo è iniziato a circolare uno screenshot del programma di Fratelli d’Italia alle scorse elezioni, dove si parla di “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”.
Una sputtanescion in tempo reale che la Meloni ha provato a tamponare spiegando il significato di quel passaggio: “Se hai maggiori entrare dall’aumento dei prezzi del carburante le utilizzi per abbassare le tasse. Ma noi non avevamo maggiori entrate, ovviamente”.
Ad aggiungere incertezza al quadro politico del centrodestra c’è in agenda un appuntamento politico decisivo per il futuro del governo: le elezioni regionali del 12-13 febbraio in Lombardia e nel Lazio. Se Attilio Fontana dovesse essere confermato governatore, grazie a una schiacciante affermazione del partito della Meloni, Lega e Forza Italia sarebbero a un passo dalla scissione – e qui Renzi, in collegamento con Gianni Letta, spera di ingrossare il suo gregge
A quel punto, si scompaginerebbe ogni equilibrio anche interno: più si ampliano i confini di un partito, più differenze emergono, e conseguentemente anche guidarlo diventa più faticoso e impegnativo.
Salvini, che subodora la scoppola, ha abbassato le penne e tace: lo vedono vagare per l’Italia con il caschetto giallo da operaio a tagliare nastri e presidiare cantieri, a metà tra un umarell e un “Village People”.
Sa, il “Capitone”, che le elezioni in Lombardia possono segnare la sua fine politica. Idem con patata, per Licia Ronzulli, inchiavardata a Milano a lavorare pancia a terra per evitare la disfatta di Forza Italia, che rischia, come e più della Lega, di essere divorata dalle fauci di “Donna Giorgia”.
Ps. I bene informati sostengono che Giorgia Meloni non abbia un rapporto eccezionale con il ministro dell’Interno, Piantedosi, sempre più a suo agio nel ruolo di “poliziotto cattivo”. L’ex capo di gabinetto di Salvini preferisce ai confronti con la premier i rendez-vous con Ignazio La Russa.
(da Dagoreport)
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