GENOVA, UNA NOTTE DA SOLA NEI VICOLI: NESSUNA MOLESTIA E OMAR MI CORTEGGIA CON GARBO
LA CRONISTA DEL “SECOLO XIX” NEL CUORE DEL CENTRO STORICO SENZA ALCUN PROBLEMA
Rimorchiare, ho rimorchiato: Omar, 36 anni, del Senegal. Ma Colonia non c’entra, nessuna molestia, nessuna violenza: non a Genova, non a me che in città sono sempre andata da sola dappertutto, a tutte le ore.
Alle 23.30 di venerdì sera, stazione di Piazza Principe: qui partono i treni per Piemonte e Lombardia, passano solo due regionali.
Uno da Torino, l’altro da Savona, entrambi termineranno la loro corsa a Brignole, l’altra stazione di Genova città .
Dal primo treno scendono due gruppi di stranieri dalla pelle scura: sono vestiti eleganti, parlano italiano e francese, hanno l’aria di essere arrivati per passare la serata in città dove suona, fra l’altro, una famosa cantante senegalese.
Mi ignorano, alle ragazze penseranno in discoteca, magari dopo qualche drink. E poi si vede che non sono il loro tipo
Quando il convoglio si allontana dal binario, in stazione resta soltanto una clochard: dorme sulle nuove poltroncine dell’ingresso appena ristrutturato. I titolari della tabaccheria, aperta in genere fino alle 22.30, sono ancora nel negozio, impegnati a sistemare sigarette e caramelle sugli scaffali, in vista del sabato di lavoro.
Un tossico, giovanissimo, non trova pace e sale e scende le scale mobili, forse aspetta qualcuno, probabilmente un pusher. Per il resto lo scalo è deserto, Principe non è esattamente un cuore pulsante di notte.
La movida è poco lontana, basta percorrere via Balbi e via Gramsci per essere nel porto antico, via San Lorenzo, i vicoli affollati.
Attraverso le poche strade che mi separano dal centro senza paura e senza intoppi. Nessuno mi importuna. Davanti al bar dei cinesi che sta chiudendo, sull’angolo di Porta dei Vacca, quattro o cinque tiratardi alticci rimasti a chiacchierare mi guardano passare senza fare commenti. Altro step indolore, zero rischi.
Omar mi approccia con garbo all’imboccatura di via del Campo — a meno di un chilometro dalla stazione – e, prima di tutto, mi chiede se voglio comprare della droga: «Hashish? Coca?». «No grazie». Indugio. «Hai dei begli occhi, vuoi chiacchierare un po’?». «Ma sì, perchè no?». Mi ritrovo a bere una birra in un bar di piazza Fossatello con questo senegalese così radicato a Genova da aver messo su (e disfatto, nel giro di pochi anni), anche una famiglia. Ha una figlia che di giorno porta a giocare al porto antico e una moglie italiana, con cui è rimasto in buoni rapporti.
Ragiona del periodo difficile a Genova: «Sono musulmano e odio i terroristi, per colpa loro adesso a Genova ti controllano continuamente».
Gli domando cosa pensi della follia di Colonia ma ho subito il dubbio che non sappia di cosa sto parlando. «Di uomini poco gentili con le donne», spiego. «Che brutta cosa, stai tranquilla, io ho un bel cuore, non si capisce?».
Poi mi chiede se ho un fidanzato, e a quel punto confesso un marito. «E se ci vede mi picchia?» sorride. «Omar, stiamo solo chiacchierando!».
Lungo la strada, sfodera la carta del regalo. E dalla borsa che adorna il suo vestito tradizionale africano, tira fuori un profumo. Me lo fa provare, e poi mi dice il prezzo. Non elegantissimo come modo di fare. Poi capisco: «Mi puoi dare qualcosa, a me non piace l’elemosina, ma questo profumo costa 80 euro, è di play boy».
E, se è per questo, è pure da uomo ma non vado per il sottile. Finisce che sotto casa, dopo aver già pagato le nostre birre, gli offro pure un obolo in moneta per ringraziarlo del profumo e lo saluto.
Declino anche il suo tentativo di abbracciarmi senza problemi.
Genova vs Colonia finisce uno a zero.
Francesca Forleo
(da “il Secolo XIX”)
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