I NO DI NAPOLITANO E PADOAN: E I SOLDI MANCANO ANCORA
IL COLLE HA ESCLUSO IL DECRETO, IL MINISTRO CHIEDE TEMPO PER CAMBIARE I CONTI E AVERE L’OK DI BRUXELLES… TENSIONE TRA PALAZZO CHIGI E IL COMMISSARIO ALLA SPENDING REVIEW
La traccia di quel che è accaduto negli ultimi due giorni al (benemerito) taglio dell’Irpef di Matteo Renzi arriva alla slide numero 2, nell’irridente capitolo “I compiti a casa”.
Così la illustra il protagonista: “Il nostro nemico, quelli con cui battagliare in modo durissimo, sono quelli che dicono che si è sempre fatto così”.
Sullo schermo si legge “Pubblica amministrazione, fisco e giustizia”, ma il pensiero non può che correre a quelli che hanno “respinto con perdite” (come dice lui) il tentativo del premier di tagliare il cuneo fiscale per decreto.
I loro nomi sono tanti, ma la copertura politica gliel’hanno offerta Giorgio Napolitano e Pier Carlo Padoan: il primo ha detto no a un decreto frettoloso e con coperture ancora non definite nei dettagli (dopo aver consigliato al suo interlocutore di tenersi lontano dagli F35 americani); il secondo ha fatto presente che c’erano degli adempimenti da rispettare prima di formalizzare il calo delle tasse, non ultimo il permesso di Bruxelles per lavorare sul deficit.
Alla fine, probabilmente, Renzi avrà il suo taglio, ma restano sul tappeto questioni spinose e una tensione pericolosa tra governo e Tesoro, testimoniata dal ruolo riservato a Padoan in conferenza stampa: ultimo a parlare, da solo, due ore dopo il premier.
IL TAGLIO NON C’È
Nonostante Renzi insista che “l’atto è fatto” non c’è alcun provvedimento che dica che le tasse caleranno da maggio: la relazione del premier approvata dal Consiglio è solo un impegno politico, importante ma non vincolante.
Se poi si vuole far partire il tutto dal 1 maggio servirà un decreto in cui nero su bianco si scrive come si taglia l’Irpef e con cosa si copre il minor introito.
MALEDETTA FRETTA
Voleva il decreto, Renzi, ma non l’ha avuto.
Oltre a Quirinale e ministero dell’Economia (Ragioneria generale non esclusa), un bell’ostacolo è stato pure Carlo Cottarelli: il premier voleva che gli garantisse subito, meglio se per iscritto, risparmi strutturali attorno ai sette miliardi per il 2014.
Il super-commissario ha detto no: sette è la cifra su 12 mesi, ma visto che siamo a marzo e ancora non s’è fatto niente ne avremo al massimo 3,5. Per arrivare al doppio — ha spiegato Cottarelli — servono tagli lineari, ma quelli deve farli il governo e non chiamarli spending review.
A quel punto, Renzi ha provato almeno per il ddl: coperture una tantum nel 2014 e strutturali dall’anno prossimo. Anche lì non c’è stato verso: bisognava prima modificare il Def (documento di economia e finanza).
QUANTI SOLDI SERVONO
In attesa del miracolo di Cottarelli nel 2015 (19 miliardi di risparmi strutturali con cui finanziare anche i dieci di taglio dell’Irpef) serve una copertura ponte per quest’anno: la cifra da finanziare riguarda solo gli otto mesi da maggio a dicembre e dunque i due terzi dell’anno: si aggira, insomma, tra i 6,5 e i 7 miliardi.
Obiettivo non irraggiungibile.
DOV’È IL TESORO?
Lasciata da parte la spending review, i soldi per il taglio del cuneo quest’anno arriveranno da tre grandi filoni: uno strutturale, cioè i soldi già stanziati da Letta (2,5 miliardi), gli altri due una tantum.
Questi ultimi sono: i margini per far salire il deficit fino al 3 per cento del Pil (ora siamo al 2,6, la differenza vale sei miliardi ma non verrà usata tutta) e i risparmi per i minori interessi sul debito pubblico (tre miliardi e più).
Anche questi, in realtà , sono soldi di Letta.
Il problema è che per liberare queste risorse bisogna prima modificare — e verificare — tutti i numeri del Def: minor crescita compresa (1 per cento la previsione di Saccomanni, 0,6 quella di Padoan). Il calendario prevede che il tutto si faccia entro aprile.
LO SCOGLIO EUROPEO
Renzi ha fatto come se nulla fosse: useremo i margini che abbiamo sul deficit, ha detto ieri. Due ore dopo, Padoan ha corretto il tiro: “Laddove vi fossero scostamenti serve l’approvazione delle Camere e della Commissione Ue”.
LA SORPRESA IRAP
Il premier ha annunciato che — sempre da maggio e con decreto da fare — verrà tagliato anche un 10 per cento di Irap alle imprese: in soldi fa 2,4 miliardi di minori tasse. A copertura c’è un aumento delle aliquote sulle rendite finanziarie (dal 20 al 26 per cento). Niente di male, l’unico dubbio è se la stangata riguarderà anche i conti correnti, la cui aliquota era stata portata da Mario Monti proprio al 20 per cento.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply