I NUMERI DELLA CORTE DEI CONTI SUI FONDI PNRR IMPIEGATI FIN ORA SONO DEPRIMENTI
A OLTRE UN ANNO E MEZZO DALL’INVIO DELLA PRIMA RATA L’ITALIA HA SPESO APPENA IL DIECI PER CENTO DI QUANTO A DISPOSIZIONE…CON IL PASSARE DELLE SETTIMANE LE DIFFICOLTÀ SUL RISPETTO DI IMPEGNI E SCADENZE SONO SEMPRE PIÙ EVIDENTI
Piano nazionale di ripresa e resilienza. Con il passare delle settimane le difficoltà dell’Italia sul rispetto di impegni e scadenze sono sempre più evidenti. Dopo aver preso un mese, poi due, ora la Commissione europea non esclude nemmeno «un mese ulteriore» per valutare quanto fatto fin qui e sbloccare il pagamento della rata da venti miliardi del secondo semestre del 2022. Ma allo stesso tempo preme affinché il governo presenti entro un mese tutte le modifiche del Piano che ritiene necessarie.
Bruxelles ha preso di mira il finanziamento per la costruzione di due nuovi stadi, a Firenze e Venezia. A entrambi mancherebbero due requisiti essenziali per le opere finanziabili dal Pnrr: la finalità sociale e (nel caso di Venezia) la collocazione in aree urbane. [Dietro quella battuta si celano due messaggi per Meloni che possono essere sintetizzati così: massima disponibilità a trovare soluzioni, ma ci sono limiti oltre i quali la Commissione non può spingersi.
Che l’Italia avrebbe faticato a reggere la complicata architettura del Pnrr, a Roma e Bruxelles ne erano tutti certi dalla notte in cui Giuseppe Conte, in piena pandemia, negoziò duecento miliardi di euro fra prestiti e risorse a fondo perduto. Che sarebbe stata durissima lo sapeva sin dall’inizio Meloni e con lei Raffaele Fitto Ora però la preoccupazione ha superato il livello di guardia I nodi stanno venendo al pettine tutti insieme. Da un lato c’è il modo un po’ raffazzonato con cui il governo Meloni ha completato i 55 impegni dello scorso semestre. Fin qui, si tratta di problemi minori.
Ciò che preoccupa la Commissione è l’orizzonte. I numeri della Corte dei Conti sui fondi spesi fin qui sono deprimenti: a oltre un anno e mezzo dall’invio della prima rata l’Italia ha speso appena il dieci per cento di quanto a disposizione. Numeri che confermano la difficoltà tutta italiana nel riuscire a spendere i soldi che l’Europa ci concede generosamente da molti anni. Ma proprio per questo, fin dai primi passi del governo Meloni il commissario italiano aveva messo in guardia dalla tentazione di cambiare troppo.
È andata diversamente, e ora c’è da gestire molte cose insieme: Meloni e Fitto, pur fra lo scetticismo del ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, hanno deciso una modifica di tutta la struttura di gestione del Piano, accentrando i poteri a Palazzo Chigi. Allo stesso tempo, nel tentativo di salvare i fondi salvabili, Fitto ha iniziato a negoziare con Bruxelles una modifica delle opere da finanziare. L’idea è quella di spostare alcuni progetti fin qui della lista del Pnrr (che scade nel 2026) nei capitoli dei fondi ordinari di coesione, ai quali l’Italia può attingere fino al 2029.
La nuova governance del Piano è troppo accentrata per progetti destinati alle Regioni del Sud, dal cui parere non si può prescindere. La Commissione ha fatto sapere al governo di attendere una proposta di modifica entro la fine di aprile, insieme a quella relativa ad un altro pezzo del piano, ovvero la distribuzione di alcune risorse aggiuntive per progetti sulle energie rinnovabili.
(da agenzie)
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