I PESCATORI LIBERATI SONO ARRIVATI A MAZARA TRA LE URLA DI GIOIA DEI FAMILIARI
MAGARI LA PROSSIMA VOLTA EVITATE DI ENTRARE NELLE ACQUE CHE LA LIBIA, GRAZIE A SALVINI, HA AUTODEFINITE COME “TERRITORIALI” PUR ESSENDO “INTERNAZIONALI”
Un urlo di gioia saluta i due pescherecci che entrano al porto. Suonano anche le sirene di tutte le barche agli ormeggi. Alle 10 del mattino, è una gran festa. Sotto la pioggia.
Piange mamma Rosetta, diventata il simbolo delle donne coraggio di questi 108 giorni di prigionia. “Piero, figlio mio”.
Piange la giovane Fayrouz, che saltella per guardare oltre la piccola folla dei parenti stipati sotto un tendone: “Dov’è papà ? Dove Ilyesse?”. Anche suo fratello è sul Medinea. “Non li vedo ancora”.
Marika, invece, tiene in alto la figlioletta di un anno. “Papà è arrivato. Papà è arrivato” continua a ripeterle. E la piccola, che ha un anno, saluta felice. Mentre i pescherecci Antartide e Medinea avanzano, scortati dalle motovedette della Guardia Costiera e della Finanza.
“È la fine di un incubo”, papà Pietro Giacalone si copre il volto con le mani. “Non mi sembra vero che sia arrivato questo giorno, ho temuto il peggio”.
Il ritorno a casa per i 18 pescatori è passato da 108 giorni di prigionia in Libia, 108 giorni di “continue umiliazioni, due nostri compagni sono stati anche picchiati”, hanno raccontato i pescatori via radio dopo la liberazione, avvenuta giovedì.
C’è voluto un viaggio in Libia del presidente del consiglio Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio per sbloccare la situazione con il generale Haftar.
È una gran festa al porto di Mazara. “Tutta la città avrebbe voluto essere qui – dice il sindaco Salvatore Quinci – naturalmente abbiamo dovuto contenere gli ingressi, per il rispetto delle norme anti Covid. Ma è comunque festa per tutti”.
E proprio per osservare tutti i protocolli sanitari bisogna ancora attendere per lo sbarco dei 18 pescatori e per gli abbracci. Ci sono da fare le visite mediche a bordo. E, poi, una volta a terra, i tamponi all’interno di una tenda. Ma, adesso, Medinea e Antartide si avvicinano sempre più
Ecco il comandante Piero Marrone, il figlio della signora Rosetta, che saluta. Ecco Giacomo Giacalone, sta piangendo. Ecco Hedi e Ilyesse, il papà e il fratello di Fayrouz. Ecco Dino. Ecco Michele. Ecco Mohamed e Giri Indra. E poi Giovanni, Farth, Sarr, Bavieux, Vito, Fabio, Habib.
Fra applausi e urla da stadio sembrano i giocatori di una nazionale che sta tornando a casa dopo avere vinto una gran coppa. Una squadra formata da italiani, tunisini, senegalesi e indonesiani. “Siamo una grande famiglia qui a Mazara”, dice Noaires, la figlia di uno dei pescatori mentre le barche attraccano al molo. “E ora non dimenticateci – dice l’armatore Marco Marrone – Perchè queste barche dovranno tornare in mare aperto. E i pescatori non possono essere lasciati soli”.
Alle 11.15, arriva l’esito dei tamponi. Tutti negativi. Un altro urlo di gioia. I marinai possono tornare a casa. Uno dopo l’altro si infilano nelle auto dei propri familiari. “Ci hanno trattato malissimo – dice Piero Marrone – per settimane siamo stati a piedi nudi”. Arriva Onofrio Giacalone: “Quel primo settembre, hanno sparato in aria – sussurra – ci siamo spaventati tanto, pensavamo di morire. E’ finito un incubo”.
(da agenzie)
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