IL BRUSCO RISVEGLIO NEL GOVERNO CON IL DEF, CRONACA DI UNA GIORNATA TRAGICA
NIENTE FLAT TAX, CRESCITA ZERO, AUMENTO IVA ALL’ORIZZONTE: E ALLA FINE NESSUNO SI PRESENTA IN CONFERENZA STAMPA PER INTESTARSI LA CAPORETTO
Quando Matteo Salvini insiste sulla flat tax si ritrova di fronte un muro. Quello di Giovanni Tria.
A Palazzo Chigi si tiene il vertice che precede il Consiglio dei ministri chiamato ad approvare il Def: è qui che viene strappato il libro dei sogni.
Il titolare dell’Economia illustra un testo che trasuda realismo, con la forza dei numeri, dove si certifica che la crescita rasenta lo zero. Soldi non ce ne sono, inutile insistere.
La conseguenza è chiara: alcune misure previste dal Contratto di Governo, a iniziare dalla flat tax, dovranno slittare. E qui che Tria cala il principio della realtà nello storytelling dell’anno bellissimo: “Volete la flat tax? L’unico modo è aumentare l’Iva”. I minuti passano, si trasformano in ore. Tutti gli altri ministri, fuori dalla porta, aspettano l’inizio del Consiglio dei ministri. Ormai il pallino è nelle mani del titolare del Tesoro che all’indomani della vittoria sui risarcimenti ai truffati dalle banche incassa un altro punto, perchè è la realtà dei fatti a sostenere le sue argomentazioni.
Per la prima volta, dentro al Governo, c’è qualcuno, oltre a lui, che deve prendere atto che i costi delle promesse elettorali sono insostenibili.
All’interno di quel testo, Tria ha smontato il cavallo di battaglia della Lega, riducendolo a promessa collocata in un orizzonte temporale indefinito. Salvini passa all’attacco: “La flat tax si deve fare”. Ma il ministro dell’Economia è perentorio: “Volete la flat tax? L’unico modo è aumentare l’Iva”.
È in quel momento che Luigi Di Maio, già infuriato per le accuse rivolte da Salvini a Toninelli, sbotta: “Non se ne parla, non possiamo finanziare la tassa piatta aumentando l’Iva”. La temperatura si fa bollente.
La soluzione la tira fuori Tria ed è un accenno alla flat tax, derubricata o meglio messa sotto chiave nella dimensione della promessa: non ci sono i riferimenti alle aliquote, ma solo una vaga traccia politica che contiene il riferimento al ceto medio, necessaria per accontentare Di Maio, a sua volta in pressing su Salvini per sbarrare la strada a un successo pieno del coinquilino di governo.
Nessuno dei due vicepremier può esultare.
L’immagine della sconfitta è la sala stampa di palazzo Chigi vuota, dove i giornalisti attendono invano l’arrivo del premier Giuseppe Conte, dei due vice e di Tria. Le sedie del governo rimangono vacanti. Mai era successo che un Documento di economia e finanza, l’architrave dei conti pubblici, non venisse presentato in conferenza stampa una volta approvato.
E invece, questo pomeriggio di liti furibonde, scenate isteriche e ammissione del fallimento della politica economica tracciata con la manovra, è culminato con una fuga del Governo gialloverde.
Dai rumors trapela che a non voler incontrare i giornalisti sarebbe stato Salvini, in difficoltà nel giustificare l’insuccesso sulla flat tax.
Ma anche Di Maio, che alle 20.30 era atteso negli studi di La7, ha dato forfait. Che il clima fosse pessimo lo si era capito a vertice in corso quando ha dato mandato ai suoi di disdire la sua partecipazione in tv.
Il clima è così infuocato che la riunione del Consiglio dei ministri dura appena mezz’ora. La quadra non c’è, è inutile andare avanti.
Tria si infila in macchina e lascia palazzo Chigi, forte di aver tenuto il punto. Di Maio e Salvini rimangono con Conte per un’ora e mezza. Si fa il punto anche sulle norme per i rimborsi ai risparmiatori traditi dalle banche, attese oggi. Slittano. Troppa carne al fuoco, tra l’altro andata a male,
per avere la concentrazione necessaria a chiudere un dossier delicato.
E’ il momento di leccarsi le ferite. Perchè il Def certifica l’insuccesso di una linea portata avanti, anche contro l’Europa: il Pil, in quattro mesi, è passato dall’1% allo 0,2%, il debito è ritornato a risalire invece di fermarsi, il deficit è schizzato al 2,4%, lo stesso livello che era stato oggetto di scontro con Bruxelles.
Si galleggia senza la forza di quella manovra necessaria per impedire al Titanic di andare a sbattere contro l’iceberg.
Perchè i problemi restano e si chiamano soldi da trovare. Si potrà evitare la manovra correttiva prima delle elezioni europee, ma intanto si devono lasciare per strada due miliardi, che si tradurranno in tagli alle imprese, all’istruzione e ai trasporti.
In autunno, però, vanno tirati fuori 23 miliardi per disinnescare le clausole di salvaguardia: se quelle risorse non si trovano, l’Iva aumenterà .
Fine di un’altra promessa elettorale e cioè la riduzione delle tasse. Bacchette magiche non ce sono come dimostra l’impatto di appena lo 0,1% che il decreto crescita e lo sblocca-cantieri faranno convergere su un Pil che parte dallo 0,1 per cento.
Le munizioni ritenute migliori, cioè il reddito di cittadinanza e quota 100, sono in realtà colpi andati a vuote. Lo scrive Tria, sempre nel Def: la misura per gli anticipi pensionistici avrà impatto zero, il reddito appena dello 0,2 per cento. Altro che flat tax.
(da “Huffingtonpost”)
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