IL CARROZZONE UNESCO: META’ DEI FONDI SE LI MANGIA LA MACCHINA ORGANIZZATIVA
ENTRARE NEL NOVERO DELLE LOCALITA’ INDICATE COME “PATRIMONIO DELL’UMANITA’” SPESSO RISULTA NEGATIVO….SI ASSISTE A UNA INVASIONE DI TURISTI… I POTERI DELLE LOBBIE E DELLE BUROCRAZIE
Pochi giorni fa il National Trust of Scotland, l’ente che tutela il patrimonio culturale scozzese, ha lanciato l’allarme: da quando, nel 1986, l’Unesco ha inserito l’arcipelago di St. Kilda, al largo delle isole Ebridi, nella lista dei siti “patrimonio dell’Umanità “, una miriade di turisti ha invaso le isole con zaini e scarponi, e per l’equilibrio del delicato ecosistema si è creato un rischio superiore ai benefici economici.
In Giappone invece non si sono ancora placate le polemiche per la pesante attività di lobbyng da parte di potenti uomini d’affare locali che sono riusciti a far inserire nei siti Unesco le antiche miniere d’argento, nonostante il parere negativo dell’Icomos, l’organismo di controllo culturale giapponese.
In un anno le miniere sono state assalite da un milione di visitatori, contro la media precedente di 15.000.
Stessa fine per le Grandi Piramidi in Cambogia che ora accolgono due milioni di turisti e che hanno trasformato la vicina città di Siem Reap in un agglomerato informe di hotel, ristoranti, negozi e aeroporti.
Per questo motivi pochi giorni fa il quotidiano inglese “The Indipendent” si è chiesto legittimamente se l’Unesco non stia in realtà danneggiando i suoi tesori, invece di tutelarli.
In molti casi l’inserimento di un sito nella lista dei luoghi considerati “patrimonio dell’Umanità “, tenuto conto della spinta per l’economia locale, può avere un paradossale effetto controproducente: turismo di massa poco controllato, crescita disordinata di strutture, stravolgimento della cultura locale.
Ci si chiede se ne vale davvero la pena.
Preparare un dossier a sostegno della propria candidatura costa centinaia di migliaia di euro, per non parlare della macchina organizzativa dell’Unesco che macina una quantità enorme di energie e risorse.
Ci sono addirittura due organismi per selezionare le richieste di nuovi siti: l’Icomos e l’Iucn.
Poi una commissione di esperti consegna i risultati all’Unesco, il quale lo passa al Comitato intergovernativo che rappresenta i 190 Stati membri.
Ci vogliono da tre e quattro anni, trascorsi tra influenze esterne, pressioni, giochi politici e interessi economici.
Secondo lo storico dell’arte Wolfgang Kemp, l’Unesco concede il prestigioso sigillo con eccessiva disinvoltura.
Critiche leggere in fondo rispetto a quelle relative alla gestione dei fondi: per tenere in piedi la macchina burocratica, l’Unesco si mangia la metà dei fondi che riceve dagli Stati membri.
Per l’attività e i controlli restano le briciole.
Le verifiche di routine sono previste ogni sette anni e le denunce di abusi fioccano inascoltate: incuria, devastazioni, abusi edilizi.
Non si comprende che senso abbia inserire continuamente nuovi siti tra il “patrimonio dell’Umanità “, se non si è in grado neanche di proteggere quelli che già ci sono.
Tanto varrebbe chiudere questo carrozzone e ridisegnarne uno più efficiente.
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