IL FUORICLASSE, I POVERI E LO STUPORE DEI DISEREDATI
UNA SOCIETA’ CHE CONOSCE IL BISOGNO SE HA FAME SI METTE IN FILA SENZA DIRE “PRIMA IO”
Restiamo stupìti quando vediamo i nostri beniamini del calcio vivere un dolore comune al nostro.
Vederli piangere al funerale ci commuove al punto da salutare con un applauso quel loro gesto di umanità , così simile al nostro eppure incredibilmente così inaspettato, enorme, straordinario.
Sono campioni e le loro vite si svolgono secondo riti che ci appartengono nei limiti della cornice prestabilita: loro protagonisti e noi spettatori, loro campioni e noi tifosi, un po’ più che adulatori un po’ meno che compagni di viaggio. Pari, noi e loro, non siamo.
Così accade quando uno di essi, è capitato qualche settimana fa a Mertens, l’attaccante del Napoli, destina una briciola del suo tempo e una briciola del suo benessere a chi è sfortunato, diseredato.
Questo stesso atto di generosità compiuto da un nostro amico o conoscente non produce affatto lo stupore e l’ammirazione che riversiamo al nostro campione.
E la ragione è appunto che lui è un campione e noi no. Lui è ricco e noi no. Lui è estraneo ai patimenti, noi purtroppo no.
Chi conosce il bisogno è più disponibile alla generosità , quella minuta e trascurabile e quella più rilevante e straordinaria.
È in qualche modo allevato all’idea che il bisogno sia compagno di vita e destino comune. Colui che è ricco, affrancato dunque dal bisogno, ha una percezione diversa della solidarietà e degli obblighi che ne derivano.
Vive la solitudine, perchè la propria fortuna è merito esclusivo del proprio talento, e deve anzi tutelarla dagli attacchi (le tasse? i ladri? la malattia), è più piegato dentro il confine esclusivo dei suoi impegni e delle sue frequentazioni.
Una società che conosce il bisogno finisce però per essere più giusta e rispettosa.
Se ha fame si mette in fila senza dire: prima io.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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