IL GIORNO NERO DI SALVINI ASSERRAGLIATO AL VIMINALE
LO SCONTRO SULLA GIUSTIZIA, LA CRESCITA ZERO, SIRI INDAGATO PER AUTORICICLAGGIO
È irritato, furioso, a tratti scocciato, ed è uno stato d’animo che lo attanaglia per tutto il giorno. Il giorno più nero per Matteo Salvini.
Dove tutto precipita: la riforma della giustizia, la non crescita economica e, infine, ed è la nota più dolente, l’indagine per autoriciclaggio ai danni del fedelissimo Armando Siri, l’esperto del Carroccio della flat tax, che già gli aveva creato diversi problemi perchè indagato per corruzione dalla Procura di Roma.
Sorride quando apprende la notizia del suo fedelissimo, nuovamente indagato, ma è un sorriso beffardo dietro cui si cela uno sfogo che prende di mira quel “circuito mediatico-giudiziario” che ricorda tanto il Berlusconi del ’94.“Mi vogliono far fuori, ormai è chiaro”
Ecco, è questa la scena principe delle 24 ore più buie dell’era salviniana. Dove, appunto, tutto deflagra e il Capitano della Lega si ritrova a dover fare i conti con la vituperata realtà .
D’altronde, questa volta il ministro dell’Interno non può servirsi della sindrome da complotto per giustificare gli insuccessi e i guai che lo scalfiscono e lo indeboliscono. Non basta, appunto. Il refrain, “ho tutti contro”, le sceneggiate delle settimane precedenti possono solo essere un’arma di distrazione di massa.
Ma, di certo, questo tipo di narrazione non funziona più davanti ai dati economici impietosi forniti dall’Istat sul secondo trimestre del 2019.
Succede infatti che, di buon mattino, quando Salvini approda nella Capitale, lasciando per un giorno l’amata Milano Marittima e il Papeete Beach, scopre che la crescita è pari a zero. Il Prodotto interno lordo non si schioda dallo 0,1%. È fermo, immobile. Tradotto, la tassa piatta di rito salviniano sotto i 55 mila euro appare lontana, lontanissima.
In sostanza, il percorso della prossima finanziaria sembra essere segnato, dovendo ripartire da un meno 23 miliardi di euro che dovranno servire a sterilizzare l’aumento dell’Iva.
E allora recuperare 10-12 miliardi, in un contesto sfavorevole, sembra fantapolitica. Non a caso, un salviniano dell’innercircle economico come Claudio Borghi, la mette così: “Servirebbe un po’ di coperta, ma sono ottimista”. Ma la coperta è stretta, strettissima.
Ecco perchè ce n’è abbastanza per farlo innervosire. Per farlo irretire al punto da ironizzare fino a questo punto con i suoi: “Forse sarebbe stato meglio restare a Milano Marittima con i miei figli. Che cosa sono venuto a fare?”.
Al Papetee si stava meglio nonostante l’errore commesso, facendo montare il figlio Federico su una moto ad acqua della Polizia di Stato. Un’altra grana che lo ha indebolito.
A Roma, invece, asserragliato nel suo studio del Viminale, passa da una riunione all’altra. Prima incontra Giulia Bongiorno e Jacopo Morrone, l’avvocato-ministro e il sottosegretario alla Giustizia. I quali gli illustrano il ddl delega Bonafede e, soprattutto, gli mettono a verbale tutte le cose che mancano. Su tutte, la separazione delle carriere e la riforma delle intercettazioni. Senza perdere di vista la vera battaglie leghista, ovvero “la certezza della pena, per tempi più brevi dei processi e per dare garanzia agli innocenti, che non possono essere sotto processo a vita”.
“Ma come? Ma che riforma è questa qui? È acqua fresca”. Parole che poi ripeterà nel corso di una diretta facebook, dove si scaglierà contro Bonafede e i grillini. “Non è il momento delle mezze misure”, taglia corto.
Salvini contro tutti. Salvini che deve vedersela con una tegola giudiziaria che investe, ancora una volta, Armando Siri. Ancora lui, l’esperto di flat tax, ovvero chi era seduto al fianco del Capitano il giorno dell’incontro al Viminale con le parti sociali. “I magistrati vogliono fermare la corsa della Lega, ma la gente è con me”.
Siri è al centro di una seconda inchiesta per la concessione di due mutui ritenuti “anomali” dalla Banca Agricola commerciali di San Marino. Un’indagine che destabilizza ancor più via Bellerio, che indebolisce la parabola del vicepremier e che pone l’accento su una questione: la selezione della classe dirigente.
Il Capitano della Lega non commenta la vicenda e preferisce il silenzio. Ma è evidente che l’inchiesta lo preoccupi perchè Siri è uno dei suoi fedelissimi. E “colpire Armando, significa colpire Matteo”, si sfoga un soldato di Salvini. Raccontano che il ministro dell’Interno non ne possa più di quello che definisce a taccuini chiusi “uno stillicidio giudiziario”.
Che è iniziato con il caso Siri-Arata ed è culminato con il Russiagate. Motivo per cui sotto sotto sarebbe tentato di far saltare tutto e tornare al voto. Per capitalizzare. “Tutto è possibile, niente è impossibile”, chiosa un fedelissimo.
(da “Huffingtonpost”)
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