IL GOVERNO VUOLE SMANTELLARE IL DECRETO DIGNITA’: LAVORETTI “A TERMINE” E LICENZIAMENTI LIBERI
DOPO IL RITORNO DEI VOUCHER, UN ALTRO TASSELLO PER FAVORIRE CHI SFRUTTA IL PRECARIATO
Dopo il ritorno dei voucher contenuto in manovra, il governo Meloni è già pronto alla seconda mossa che permetterà alle imprese di creare altro precariato: il ministero del Lavoro è all’opera per affossare definitivamente il decreto Dignità, cioè la stretta sui contratti a tempo determinato che fu approvata nel 2018 dal primo esecutivo guidato da Giuseppe Conte.
I contenuti dell’intervento allo studio sono stati anticipati dal sottosegretario leghista Claudio Durigon – che proprio nel Conte I ricopriva lo stesso incarico di adesso – con una dichiarazione rilasciata ieri al Messaggero.
Ma anche la ministra stessa Marina Calderone ha annunciato, sempre ieri in un’intervista alla Stampa, che stanno per arrivare nuove norme per semplificare i contratti per “renderli più aderenti al nuovo contesto nato dopo la pandemia”.
Nelle ore successive il ministero ha chiarito che non esiste un articolato già pronto sul tavolo, ma ha confermato l’intenzione di proseguire sulla strada tracciata dalle affermazioni di Durigon.
I vincoli ai contratti a termine saranno, ancora una volta, drasticamente ridotti; in pratica, sarà concesso alle aziende di assumere a tempo determinato senza apporre alcuna causale anche con contratti fino a 24 mesi, a differenza dei 12 mesi previsti attualmente.
Inoltre, basteranno accordi sindacali – e si prevede che i datori non faticheranno a ottenerli – per estendere di altri 12 mesi i contratti. Tre anni di precariato: in buona sostanza si ritornerà di fatto alla situazione vissuta tra il 2014 e il 2017, una liberalizzazione pressoché totale voluta dal governo Renzi che fece volare i rapporti a scadenza in Italia. Il loro aumento, si disse, trainò la lenta ripresa dell’economia in quegli anni.
Il colpo di grazia al decreto Dignità – questo va riconosciuto – era comunque una promessa elettorale del centrodestra.
Impegno che il governo vuole subito mantenere. Il presupposto ideologico muove dal racconto per cui le imprese sarebbero tartassate da mille paletti e adempimenti burocratici.
Si tratta però di una narrazione smentita dai dati, che mostrano al contrario una galoppata del precariato già in atto da un paio d’anni.
Nei primi nove mesi del 2022, sono stati firmati 2,6 milioni di contratti a tempo determinato (più 15,7% rispetto allo stesso periodo del 2021), oltre a 865 mila rapporti stagionali (record storico) e ancora 811 mila contratti interinali e 541 mila “a chiamata”.
Il dato statistico dice che a febbraio 2022 l’Italia ha raggiunto il numero di dipendenti a tempo determinato più alto mai visto da quando esistono le serie storiche: 3,1 milioni.
Questo vuol dire che già dopo l’annacquamento dei vincoli approvato durante la pandemia abbiamo superato la situazione preesistente rispetto al decreto Dignità. Il “liberi tutti” che sta per introdurre il governo Meloni contribuirà a dare una nuova spinta.
Prima del decreto Dignità, le norme volute nel 2014 da Giuliano Poletti – ministro del Lavoro con il governo Renzi – avevano abolito le causali ed esteso a tre anni il limite massimo dei contratti a tempo determinato. Risultato: tra il 2014 e il 2017 i dipendenti a termine passarono da 2,1 milioni a 2,8 milioni, fino a sforare il tetto dei 3 milioni nell’estate 2018. Alla fine di quell’anno, con il cambio di governo, arrivò il decreto Dignità che ebbe due effetti. Il primo fu l’arresto della crescita dei contratti a termine; il secondo fu un’ulteriore spinta alle stabilizzazioni: si passò dalle 300 mila del 2017 alle 527 mila del 2018, per poi arrivare alle 713 mila del 2019. Aumentarono di molto, insomma, i contratti precari trasformati in rapporti permanenti.
Ciò che invece non si realizzò fu la previsione che l’attuale ministra del Lavoro Marina Calderone fece ai tempi, quando era presidente dell’Ordine dei consulenti del lavoro: le causali, disse, “potrebbero portare a un’incentivazione o a un incremento del contenzioso perché sono, in taluni casi, estremamente imprecise dal punto di vista giuridico”. I dati del ministero della Giustizia dicono invece che anche dopo il 2018 è proseguito il crollo delle cause di lavoro, pure quelle sui contratti a termine.
(da Il Fatto Quotidiano)
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