IL MINISTRO PONZIO NORDIO PILATO
FA ESATTAMENTE QUEL CHE GIURA DI NON VOLER FARE: LAVARSI LE MANI SUL CASO DELMASTRO-DONZELLI
Ponzio Nordio Pilato si lava le mani in piena aula, sui banchi del governo, davanti all’emiciclo di Montecitorio. Fa esattamente quel che giura di non voler fare. Allontana da sé e allo stesso tempo copre, prende tempo e giustifica, non condanna e non assolve il suo sottosegretario Delmastro, “reo confesso” della diffusione di un documento del Dap che riservato era e tale doveva restare.
Ora il ministro prova a gettare l’acqua di quella bagnarola sporca sullo scandalo ancora fumante deflagrato nel cuore del governo Meloni.
La rivelazione probabilmente illecita di documenti e intercettazioni secretate e per gli inquirenti preziose è il “botto” con cui questa destra – che non riesce a farsi partito conservatore e a indossare vesti istituzionali – festeggia i suoi primi cento giorni nella stanza dei bottoni.
Altro che “sobrietà” del governare, tanto cara alla narrazione social della premier. Il Guardasigilli e il suo sottosegretario sono i responsabili politici di quanto sta avvenendo. Loro ancor più di quella sorta di anchorman da Transatlatico che è Giovanni Donzelli, coordinatore del partito e vicepresidente del Copasir. Nordio avrebbe dovuto spiegare ieri in aula come sia stato possibile che un documento contenente la trascrizione di intercettazioni ambientali carpite dai colloqui tra l’anarchico Alfredo Cospito e i boss mafiosi detenuti nel carcere di Sassari sia stato acquisito e divulgato. Avrebbe dovuto raccontare nel dettaglio come sia stato possibile che una carta depositata dal Dap al ministero di Via Arenula cinque giorni fa sia poi finita in poche ore nella disponibilità del coordinatore di Fdi Donzelli e infine letta in Parlamento. Invece l’ex magistrato Nordio si nasconde dietro quel “fascicolo aperto”, all’ombra del capo di gabinetto al quale avrebbe affidato un’indagine sulla fuga di notizie, e balbetta di una telefonata col pg di Torino. Proprio lui che ha fatto del garantismo una filosofia di vita adesso copre di fatto la rivelazione quasi in tempo reale di intercettazioni delicatissime.
Ora, se al Guardasigilli le dimissioni andrebbero chieste per “omesso controllo”, dal suo sottosegretario e ventriloquo meloniano Delmastro invece vanno pretese. Perché ha fatto esattamente quel che un numero due della Giustizia non dovrebbe mai fare. Riferire i contenuti di un documento riservato inviato al ministero e potenzialmente fonte di indagini su terroristi anarchici e mafiosi. Circostanza ammessa dallo stesso sottosegretario, poche ore dopo che il collega di partito Donzelli aveva letto quei passaggi in Parlamento per lanciare un pesante affondo contro il Pd. Non un accenno vago, ma la lettura di interi stralci dei colloqui carpiti in carcere a Cospito e ai suoi amici boss. Segno che quel documento inviato dal Dap il coordinatore di FdI lo ha avuto, quantomeno letto e trascritto in alcuni suoi elementi cruciali. Così facendo ha rivelato forse ad anarchici e mafiosi l’esistenza di un’inchiesta – in quanto tale, neanche a dirlo, segreta – sulle connessioni tra i due mondi criminali. Paradossalmente, tutto si è risolto in un potenziale, inaspettato aiuto esterno alle organizzazioni criminali.
Ecco, quanto avvenuto non ha precedenti, varca la soglia della gravità, sfonda la porta della irresponsabilità istituzionale. Da oggi, ogni minuto in più che il sottosegretario alla Giustizia Delmastro trascorrerà nel suo ufficio di Via Arenula segnerà una sconfitta per le istituzioni e un colpo basso alla democrazia.
Da Palazzo Chigi raccontano di una premier infastidita, adirata per quanto avvenuto. Ha detto flebilmente la sua solo ieri sera, con una telefonata a Rete4, tradendo un’evidente difficoltà nella gestione del primo grave incidente lungo il suo percorso, provocato da due uomini della cerchia più stretta. Ma continuando a difenderli.
Lei sapeva che dai banchi di FdI martedì stava per partire un pesante attacco politico agli avversari del Pd. Non ne conosceva il contenuto nei dettagli, viene aggiunto dai suoi. Ma questo non giustificherà il tentativo di inabissamento in atto
Ci sono magistrati che ogni giorno rischiano la vita per difendere la delicatezza e la segretezza delle loro indagini. Qualcuno dovrà pagare un prezzo politico e compiere un passo indietro. Ne va della credibilità della Presidenza del Consiglio, del ministero della Giustizia, ma soprattutto del Paese.
(da La Repubblica)
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