IL NEVADA SPAZZA VIA I FALSI MITI ANTI SANDERS, IL FRONT RUNNER E’ LUI
VITTORIA SCHIACCIANTE PER SANDERS… BIDEN NON SALVA L’ESTABLISHMENT DAL SUO FALLIMENTO
Il Nevada è uno Stato minuscolo dal punto di vista elettorale, e va bene. L’ex vicepresidente Joe Biden ha dato qualche segnale di vita arrivando secondo, e va bene.ù
Ma la portata della vittoria di Bernie Sanders alle primarie del Nevada va oltre i numeri e chi altro c’è sul podio, perchè toglie di mezzo una serie di dubbi e argomenti che tipicamente accompagnano le analisi sul perchè, alla fine, Bernie non potrà farcela a essere il candidato democratico alla Casa Bianca.
Il suo trionfo in Nevada – la prima tappa della primarie in cui entra in gioco la diversità razziale che è caratteristica degli Stati Uniti – dà alla sua campagna elettorale uno slancio notevole in vista dei prossimi appuntamenti elettorali: il 29 febbraio in South Carolina e il 3 marzo per il Super Tuesday.
Ormai non ci sono più dubbi che il front runner, l’uomo da battere, sia lui.
Parallelamente, lo stacco che il senatore del Vermont ha messo tra se stesso e il gruppo dei cosiddetti moderati dimostra allo stesso tempo la debolezza dei singoli e la crisi in cui versa l’establishment democratico, o ciò che ne resta, come emerge dalla fotografia spietata di The Atlantic.
Vediamoli, allora, questi falsi miti che il vecchio Bernie – e la sua squadra, agile e battagliera – hanno spogliato di consistenza.
Innanzitutto la questione razziale. Sanders – si è sempre detto – non è in grado di sfondare con gli elettori neri e latinos, ma la sua performance in Nevada ha dimostrato che non è detto: il senatore del Vermont è stato votato dal 27% degli afroamericani e dal 53% degli ispanici in tutto lo Stato.
In secondo luogo, la questione generazionale. Sanders ha sì confermato il suo successo tra i giovani, ma in Nevada è stato il candidato più votato da tutte le fasce d’età , con l’eccezione degli over 65 che hanno preferito Biden.
Terzo: il suo teorico limite numerico. Secondo molti analisti, Sanders aveva un tetto di circa il 30% dei consensi: più di tanto, non poteva spingersi.
Il Nevada ha dimostrato il contrario: il senatore ha vinto con il 46,6%, lasciando un enorme divario tra sè e gli altri due sul podio, Biden al 19,2% e Pete Buttigieg al 15,4%, in una corsa ancora insolitamente affollata.
Non solo: Bernie ha strappato il consenso anche di una buona fetta dei moderati (22%) e ha vinto in tutte le aree tematiche, ad eccezione degli elettori più preoccupati per la politica estera, che hanno preferito Biden.
Secondo Politico, è per tutti questi motivi che i caucus del Nevada – che di solito contano meno rispetto alle altre competizioni iniziali in Iowa, New Hampshire e Carolina del Sud – quest’anno contano molto di più: perchè hanno contribuito a sciogliere alcuni dei dubbi più persistenti sulla corsa di Sanders.
“Abbiamo appena messo insieme una coalizione multigenerazionale e multirazziale che non solo ha vinto in Nevada, ma conquisterà il Paese”, ha esultato Sanders, prevedendo un’altra vittoria chiave in Texas il mese prossimo
Il 3 marzo si voterà in 15 Stati e territori, tra cui pesi massimi come la California, il Colorado e appunto il Texas, che rappresenta un banco di prova fondamentale per Sanders e il suo movimento.
“Abbiamo solo una strada: uniti”, è l’appello lanciato da Alexandria Ocasio-Cortez, la deputata di origini ispaniche considerata il suo asso nella manica per convincere le cospicue minoranze etniche a dare fiducia a un anziano senatore bianco
Infine, uno sguardo agli altri contendenti.
Mentre Klobuchar, Warren e Buttigieg hanno tutti registrato un calo in Nevada, Biden ha ottenuto il suo risultato fin qui migliore. Per lui, arrivare in South Carolina un po’ meno malandato rispetto a ieri è fondamentale: il voto degli afroamericani potrebbe ancora resuscitare la sua campagna.
E’ per questo stesso motivo – il peso del voto afro nella competizione – che le chance di Michael Bloomberg appaiono in picchiata.
L’ex sindaco di New York, infatti, è entrato nella gara ponendosi come alternativa a Bernie nel caso in cui Biden fosse crollato. Ma il vecchio Joe, dopo aver resistito fin qui, è determinato ad andare avanti e godere del riscatto almeno parziale del voto etnico. Un campo in cui Bloomberg, dato il suo passato, sa di non poter contare.
(da “Huffingtonpost“)
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