CORONAVIRUS, LE MISURE DI CONTENIMENTO ADOTTATE NEGLI ALTRI PAESI
DALL’INDECISO GIAPPONE AL MODELLO SINGAPORE MISURE DIVERSE
L’allarme rosso in Corea del Sud, le indecisioni del Giappone, le informazioni via social di Singapore, la quarantena obbligatoria negli Stati Uniti (ma non nel resto d’Europa).
Non è solo l’Italia: in molti Paesi i casi di coronavirus stanno aumentando, e in alcuni, come la Corea, ad un ritmo altrettanto rapido.
Per tutti in questo momento la parola d’ordine è “contenimento”, cercare di tracciare i contatti attraverso cui le persone si sono contagiate, per circoscrivere e spegnere i focolai di epidemia.
Ma le misure che i vari governi stanno adottando per arrivare all’obiettivo sono diverse, dettate dalle peculiarità della situazione locale e dalla sensibilità politica e dell’opinione pubblica.
Eccone una sintesi, una sorta di cassetta degli attrezzi anti-contagio a cui in queste ore sta attingendo, a modo suo, anche l’Italia.
Allarme rosso in Corea del Sud
La Corea del Sud è il Paese, insieme al nostro, dove nelle ultime ore il numero dei contagiati è salito più veloce. Solo domenica i nuovi casi sono stati 169, portando il totale a 602, con 5 morti. Per la prima volta da un decennio il governo ha alzato il livello di allarme sanitario a “rosso”, il massimo grado, mossa che in teoria permette di bloccare gli arrivi da specifici Paesi, sospendere i trasporti e boccare le città . Al momento però nessuna di queste misure è stata presa. La riapertura delle scuole dopo il Capodanno lunare è stata rinviata di una settimana, a lunedì 9. Sconsigliate le manifestazioni pubbliche, anche se questo non ha impedito a un gruppo cristiano di tenerne una ieri a Seul. All’ingresso di molti edifici pubblici sono state installate postazioni con disinfettante per le mani.
I casi sono per la maggior parte legati a due focolai, quello tra i fedeli della setta pseudo-cristiana Shincheonji, nella città di Daegu (2,5 milioni di abitanti), e quello in un ospedale nella città di Cheongdo. Il governo ha proclamato entrambe “aree speciali”, invitando i cittadini a restare a casa ma senza bloccare ingressi e uscite. Sono in corso operazioni di disinfestazione nelle aree pubbliche. Il massimo sforzo è per ricostruire la mappa delle persone contagiate e dei loro contatti. Le autorità hanno la lista di tutti i fedeli della chiesa locale di Shincheonji, circa 10mila sarebbero in quarantena domestica, ma molti altri non si riescono a rintracciare. I laboratori nazionali eseguono dai 5mila ai 6mila test al giorno.
Seul non ha chiuso i voli dalla Cina, ma secondo il sito Viaggiare sicuri del nostro ministero degli Esteri ha creato dei canali di ingresso speciali negli aeroporti per chi arriva dalla Repubblica Popolare, persone a cui poi chiede di registrare la propria residenza e di sottoporsi ad autodiagnosi per 14 giorni, registrando i risultati su una app.
Niente panico, siamo Singapore
Anche a Singapore (89 casi su 5,6 milioni di abitanti, nessun morto) la priorità è ricostruire storia e legami di ogni persona contagiata. Il livello di allarme resta da un paio di settimane ad arancione, un grado più volte raggiunto anche in passato e che non prevede alcun tipo di limitazione o chiusura. Scuole, uffici, luoghi pubblici e mezzi di trasporto sono sempre rimasti aperti.
Ma se c’è una cosa in cui la città -Stato appare un modello è nella gestione della comunicazione in questo momento di crisi. Sul sito ufficiale del governo e attraverso i suoi canali social (Whatsapp, Facebook o Instagram) vengono dati costanti aggiornamenti ai cittadini sull’evoluzione dei casi e delle indagini sugli stessi, consigli su come proteggersi e su cosa fare in caso si manifestassero dei sintomi. Obiettivo: assicurarsi che le persone prendano le giuste precauzioni, che non si scateni il panico e che gli ospedali non si intasino diventando un luogo di moltiplicazione del contagio.
Singapore ha introdotto un divieto di ingresso per tutti gli stranieri provenienti dalla Cina (ma non da Hong Kong e Macao). Per i cittadini o i residenti di ritorno dalla Repubblica Popolare sono previsti 14 giorni di congedo obbligatorio dal lavoro, o 14 giorni di quarantena se sono passati dallo Hubei. Funzionari sanitari verificano il rispetto delle misure di isolamento con migliaia di telefonate ogni giorno.
Le indecisioni del Giappone
Da qualche giorno il governo giapponese (146 casi, più i 634 sulla nave Diamond Princess, un decesso) è oggetto di pesanti critiche per come sta gestendo l’emergenza. In primo luogo per aver deciso di bloccare a bordo i passeggeri della nave da crociera, rivelatasi un moltiplicatore di contagio, e poi per la scelta, al termine della quarantena, di far sbarcare i suoi cittadini senza ulteriore isolamento o accertamenti più approfonditi. Ieri una turista giapponese scesa dalla Diamond Princess è risultata positiva e altri 20 compagni di viaggio che dovrebbero essere ritestati non si trovano. Il ministro della Sanità si è scusato pubblicamente per “l’errore”.
Dal punto di vista della prevenzione, il governo si è limitato a dire a lavoratori e studenti di restare in casa se hanno sintomi influenzali, ma l’appello rischia di lasciare il tempo che trova vista la dedizione al lavoro della cultura giapponese. Tokyo non vuole creare allarmismo in vista delle Olimpiadi della prossima estate, ma non ha potuto evitare di limitare alcuni eventi pubblici: la maratona cittadina prevista tra una settimana sarà corsa dai soli atleti professionisti, mentre i corsi di preparazione per i volontari dei Giochi sono stati rinviati. L’altra priorità di Abe sembra quella di evitare di compromettere i rapporti con la Cina, anche per questo le limitazioni alle frontiere sono contenute: vietato l’ingresso solo alle persone, cinesi o non, che provengono dalle regioni dello Hubei o dello Zhejiang, le più colpite.
La chiusura cinese
Le misure di contenimento più energiche, si capisce il motivo, sono quelle prese dalla Cina. Oltre all’isolamento completo della provincia dello Hubei, 50 milioni di persone, che dura ormai da un mese, varie forme di limitazione ai trasporti, sorveglianza domestica o controllo degli spostamenti sono state introdotte anche nel resto del Paese, coinvolgono tra i 500 e i 750 milioni di persone, la metà della popolazione. Ogni provincia o città autonoma le ha declinate e fatte rispettare a suo modo, più o meno duro a seconda delle esigenze. Un blocco di fatto, da cui ora il Paese sta lentamente uscendo, riavviando le attività produttive. Ma i dipendenti degli uffici continuano a lavorare da casa e le scuole restano chiuse a tempo indeterminato. Tutte le manifestazioni pubbliche sono state sospese. Questo blocco senza precedenti comincia a dare i suoi frutti: il numero di nuovi casi registrati è in discesa sia nello Hubei che nel resto del Paese. Ora i guariti sono più dei nuovi contagiati.
Il resto del mondo
Gli Stati Uniti (35 casi) hanno vietato l’ingresso a tutte le persone che negli ultimi 14 giorni siano state in Cina continentale (ma non a Hong Kong). Per i cittadini americani che tornano, solo la California ne conta quasi 7mila, è prevista una quarantena di 14 giorni in casa. La verifica dell’isolamento e il supporto a chi lo sta facendo sono affidati alle oltre 3mila giurisdizioni sanitarie locali, un sistema che molti considerano poroso.
I maggiori Paesi europei come Francia (12 casi), Germania (16) o Spagna (2) invece al momento non prevedono alcuna quarantena per chi ritorna dalla Cina, nè hanno bloccato completamente i collegamenti aerei con la Repubblica Popolare.
(da “La Repubblica”)
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