IL TEATRINO DELLE ELEZIONI IN SICILIA: EX NEMICI ALLEATI CONTRO EX AMICI
LE VOCI DI UN PATTO DELLA CRAVATTA (NEGATO) TRA MICCICHE’ E CROCETTA
Una cravatta arancione. Su una giacca celeste. I gusti sono gusti, ma anche al brutto c’è un limite (tranne che in politica, dove ormai tutto, o quasi, è permesso).
Cefalù, giovedì scorso, Festival del gelato artigianale.
Prima uscita pubblica per i candidati alla presidenza della Regione Sicilia.
Gianfranco Miccichè, ex ambasciatore berlusconiano dell’isola, ora leader di Grande Sud, sostenuto da Fli, da Mps e dal Partito dei siciliani del governatore dimissionario Raffaele Lombardo (tenete a mente Lombardo, che nel racconto di questa campagna elettorale resta centrale, potente, strategico) di cravatte arancioni si intende.
Le indossa da quando decise che l’arancione dovesse essere il colore del suo partito: e, per questo, ha imparato ad abbinarle.
L’uomo che ha avuto il coraggio di sfoggiarne una su una giacca celeste è invece Rosario Crocetta, 61 anni, ex sindaco antimafia di Gela, europarlamentare e candidato del Pd (alleati: Udc e Api).
Miccichè (abbronzato, di ottimo umore, ammiccante): «Miii… Ma che cravatta elegante ti sei messo…».
Crocetta: «Ti piace, eh? Come mi sta?».
Flash dei fotografi.
Poi polemiche, accuse, un sospetto.
Tra Crocetta e Miccichè ci sarebbe un accordo, un patto per il dopo-voto.
Il patto della cravatta (involuzione di quello assai più chic della crostata, inventato da Francesco Cossiga nel settembre del 1997 per indicare l’accordo informale sulle riforme costituzionali tra D’Alema, Fini e Berlusconi).
Miccichè smentisce.
Crocetta (la cui candidatura è stata accettata senza un fiato dall’intero Pd, che dopo i disastri delle ultime comunali stavolta ha prudentemente evitato di indire primarie) giura: «È purissima fantapolitica».
Aggiungendo però di essere pronto a dialogare con chiunque, nel caso fosse eletto senza avere un numero sufficiente di deputati (qui si chiamano deputati) nel consiglio regionale.
L’ipotesi di dover dialogare non è remota.
Tecnicamente funziona così: si vota domenica 28 ottobre, sbarramento al 5%, scheda unica, viene eletto presidente chi prende un voto in più; tuttavia, se chi vince non raggiunge i 46 deputati (su 90), per governare è costretto a cercare alleanze.
E poichè un po’ tutti i sondaggi danno intorno al 30% sia Crocetta che Nello Musumeci, il candidato de La Destra di Storace, scelto anche dal Pdl e dal Pid, è chiaro che o prima, o dopo, qualche inciucione sarà inevitabile.
Musumeci, con lo stile che gli viene riconosciuto, ma anche con inevitabile apprensione, ha detto: «Voglio credere e sperare che questo accordo tra Miccichè e Crocetta non ci sia. Anzi, spero che Miccichè possa tornare nella nostra coalizione».
Insomma, sembra che senza Miccichè sarà impossibile governare la Sicilia.
E chi è l’uomo forte nella coalizione di Miccichè?
Raffaele Lombardo, proprio lui, il governatore incalzato dalla procura di Catania con l’accusa di «concorso esterno in associazione di tipo mafioso» e, per questo, costretto alle dimissioni: 62 anni, laurea in medicina, specializzazione in psichiatria forense, un politico furbo, cinico, spregiudicato; riesce a rimpastare la giunta di Palazzo dei Normanni per cinque volte, nomina 36 assessori, in quattro anni il suo parlamentino approva 98 leggi, ciascuna delle quali costa 7,5 milioni di euro.
Pregio riconosciuto anche dai nemici: non perde mai il controllo della scena.
Così affronta le dimissioni come un passaggio politico spiacevole ma non drammatico.
Sa di poter spostare consenso, voti, potere: e quando capisce che il suo eterno rivale Miccichè, per faide interne al Pdl locale, non sarà il candidato di Berlusconi, non si fa scrupoli e lo chiama.
Un ragionamento semplice e lucido: lasciamo stare il passato, uniamo le forze. Diventiamo ago della bilancia.
«Non ci sono prove che Lombardo e Miccichè abbiano già stretto un accordo con il candidato del Pd, Crocetta: certo sarebbe nella logica di un certo modo di fare politica» (questa è la voce amareggiata di Claudio Fava, candidato di Sel, Idv e Fds).
Lombardo, sempre lui.
«Gli è stato consentito di dimettersi quando e come ha voluto. E adesso sta lì, che decide, tratta, impone candidati. Sì, in un certo perverso meccanismo di potere siciliano conta ancora tanto».
Crocetta sostiene che…
«Lasciamo stare Crocetta. Ho letto che è tentato di arruolare anche un personaggio come Massimo Russo, assessore alla Salute e vice-presidente della Regione, il volto più noto del governo Lombardo…».
Claudio Fava è dato intorno al 10%, più o meno come Giancarlo Cancelleri, il candidato di Beppe Grillo.
Percentuali assai più basse per Mariano Ferro (i Forconi) e Davide Giacalone (Movimento indipendente).
Ferro, l’altro giorno, a Cefalù, mentre Miccichè si complimentava con Crocetta per la cravatta arancione, se ne è uscito dicendo che «forse la vera mafia è nello Stato».
Qualcuno ha applaudito. In generale, per strappare applausi, i candidati dicono però cose meno gravi.
Crocetta, gay dichiarato, ha promesso che, se dovesse essere eletto, si asterrà «da ogni attività sessuale».
Miccichè ha replicato che a lui sarebbe impossibile, «diventerei troppo nervoso».
Poi ha fatto il punto sul suo rapporto con le sostanze stupefacenti. «Sono a favore della legalizzazione delle droghe leggere, ma da giovane ho anche provato quelle pesanti».
Quindi ha suggerito al pianeta che non conviene mai troppo puntare sul sentimento della riconoscenza: «Sì, ho fatto parte del governo Berlusconi, e l’ho appoggiato, e ci ho creduto. Ora, però, me ne pento. E lo ammetto: sono, letteralmente, scappato».
Musumeci, meno astioso: «Se vinco, il mio assessore alla Cultura sarà Pippo Baudo. Abitiamo nella stessa strada a Militello, non potrà dirmi di no… E poi basta con questa storia che sono fascista: pensate che per fare contento un mio coinquilino, certe volte mi siedo al pianoforte e suono Bandiera rossa. Non solo: sono anche capacissimo di mettermi a cantare Bella ciao. Però, per riuscirci, devo essere in compagnia».
Fabrizio Roncone
(da “il Corriere della Sera”)
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