IL VOTO IN CANADA È UN REFERENDUM CONTRO TRUMP: OGGI LE ELEZIONI LEGISLATIVE PER RINNOVARE I 343 SEGGI DELLA CAMERA CANADESE
IN POCHE SETTIMANE, COME EFFETTO DEI DAZI IMPOSTI DA “THE DONALD”, IL CANDIDATO LIBERALE, MARK CARNEY, HA RECUPERATO OLTRE 20 PUNTI DI DISTACCO DAL POPULISTA PIERRE POILIEVRE … CARNEY, EX GOVERNATORE DELLA BANCA DEL CANADA, È UN ECONOMISTA GRIGIO E SENZA ESPERIENZA POLITICA, MA HA SFRUTTATO IL CLIMA ANTI-AMERICANO: “TRUMP NON È SOLO UNA MINACCIA ECONOMICA MA ESISTENZIALE. STA CERCANDO DI DISTRUGGERCI
Ho cambiato marca di dentifricio e biscotti, yogurt e shampoo e pure il tipo di mele. Non compro più nulla “Made in Usa”». Alla vigilia del voto Claire Tremblay, 62 anni, si aggira armata di lente d’ingrandimento fra gli scaffali di Farm Boy, il supermercato su Metcalfe Street, nel cuore di Ottawa, a meno di un chilometro dal Parlamento in stile neogotico che i canadesi oggi sono chiamati a rinnovare.
Gira la confezione di cosce di pollo e legge con attenzione l’etichetta: «Non lo avevo mai fatto prima dell’annuncio dei dazi che Trump ci ha imposto e delle sue parole sul Canada come 51esima stella. Consideravo gli americani una sorta di cugini»
Nel supermercato non è la sola.
Il boicottaggio partito a febbraio s’è ormai trasformato nel movimento “Buy canadian”, compra canadese, cui negozianti e supermercati partecipano indicando alternative locali applicando adesivi con la foglia d’acero ai prodotti. Molti hanno rimosso gli alcolici statunitensi. Gli utenti cancellano gli abbonamenti a Netflix e Amazon Prime e le vacanze in America. Mentre le minacce ribadite da Trump pure due giorni fa hanno provocato un nuovo scatto d’orgoglio: lo vedi dalle bandiere bianche e rosse, appese a ogni finestra.
Qui l’ombra di Donald Trump non pesa solo sul carrello della spesa. Lo scorso 23 marzo le minacce hanno convinto il neo-premier Mark Carney, che aveva sostituito il dimissionario Justin Trudeau solo 9 giorni prima, ad anticipare le legislative previste a ottobre
Nell’ultimo anno, in cima ai sondaggi c’era infatti sempre stato il bellicoso leader conservatore Pierre Poilievre: a gennaio in vantaggio addirittura di 24 punti grazie ai duri attacchi contro Trudeau, cui imputava il crescente costo della vita e degli alloggi, l’eccessiva immigrazione, la controversa tassa sulle emissioni.
Poi, le dimissioni del Liberal per 10 anni alla guida del Paese, la sostituzione in corsa con Carney — ex governatore della banca del Canada che ha traghettato pure quella d’Inghilterra in piena Brexit — e le provocazioni di The Donald hanno cambiato le cose. Mettendo in difficoltà i conservatori la cui retorica era tragicamente simile a quella trumpiana su temi come immigrazione e sicurezza.
In breve, il vantaggio di Poilievre è evaporato. Gli indecisi gli hanno voltato le spalle, e l’ultimo sondaggio dà ora i Liberal in (lieve) vantaggio, 42 con tro il 38,5 dei conservatori. «Fino a poche settimana fa la gente pensava a inflazione e costo della vita. Oggi s’interroga sulla futura esistenza del Paese» riflette il politologo André Lecours incontrandoci in un’aula al settimo piano della facoltà di Scienze Politiche della Ottawa University.
«Trump ha fatto l’impossibile, trasformando un contesto ostile al partito di governo in uno in cui i Liberal aspirano alla maggioranza assoluta. Pure gli elettori dei partiti minori sembrano pronti a puntare su un unico candidato forte. La rivoluzione populista ha perso appeal: si cerca un leader capace di parlare la lingua economica che Trump comprende».
In un Paese dove il premier non è scelto dal popolo, il voto si è dunque trasformato in una sorta di referendum su quale dei due leader saprà meglio condurre la trattativa futura. I loro stili sono d’altronde opposti, come i cartelli rosso-Liberal e blu-conservatori che si fronteggiano al crocevia fra Hope Side e Old Richmond Road, confine fra il distretto industriale di Nepean, tutto capannoni e case a schiera, dove Carney (che abita in un’area lussuosa) sfida la poliziotta Barbara Bal. E il rurale Carleton, dove Poilievre vive e ha già vinto sette volte. Ma ora fronteggia Bruce Fanjoy, dotato di volontari molto ben organizzati.
Certo, nonostante un curriculum di tutto rispetto, Carney è politico di primo pelo, e l’inesperienza s’è vista nelle risposte rigide e complesse ai dibattiti. Capace però di trasformare una metafora sportiva in slogan condiviso: «Elbow up», in alto i gomiti, in onore della tecnica di difesa aggressiva del campione di hockey Gordie Howe.
Poilievre, non ha invece reagito con tempismo al cambiamento: continuando a battere sul «decennio liberal perduto» fino a farsi rispondere da Careny: «Io non sono Trudeau». Incapace di prendere nettamente le distanze da Trump, ha finito per scatenare a polemiche all’interno del suo stesso partito: accusato di riservare attacchi più feroci ai progressisti che alla Casa Bianca.
(da agenzie)
Leave a Reply