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IMPRENDITORI, SANITA’ PRIVATA, AGRICOLTORI E UNIVERSITA’ ONLINE: CHI FINANZIA I PARTITI

ALLA POLITICA I SOLDI NON BASTANO MAI

Per capire come funziona il meccanismo dei finanziamenti si deve partire dal 1974.
Come funzionava prima
In quegli anni l’ennesimo scandalo vede sotto inchiesta i segretari amministrativi di Dc, Psi, Psdi e Pri: hanno ricevuto fondi da Enel e compagnie petrolifere per indirizzare la politica energetica del governo. Il Parlamento decide che lo strumento per evitare pesanti condizionamenti da parte delle grandi aziende è il finanziamento pubblico ai partiti. La nuova legge, firmata dall’onorevole democristiano Flaminio Piccoli, vieta alle società statali o controllate dallo Stato di dare soldi ai partiti, obbliga le grandi aziende private che concedono fondi a iscriverli a bilancio e introduce due finanziamenti pubblici: il rimborso delle spese elettorali e il trasferimento diretto dal bilancio dello Stato per le attività ordinarie dei partiti. Lo scandalo di Tangentopoli, nel 1993, dimostra che il finanziamento pubblico non ha evitato le pratiche di corruzione e concussione. Il referendum promosso dai Radicali per abolire i trasferimenti diretti ai partiti viene approvato a larga maggioranza. Rimane in vigore solo la parte relativa ai rimborsi elettorali che il Parlamento, anno dopo anno, gonfia fino ad arrivare nel 2012 a 182 milioni di euro. Risorse pubbliche corrisposte anche a fronte di spese elettorali non effettivamente sostenute. Nel momento più critico per le finanze pubbliche, sotto la spinta di una maggiore austerità, il Governo Monti abbassa il tetto dei rimborsi a 91 milioni. Nel 2013 il governo Letta poi gradualmente li elimina e introduce il sistema in vigore oggi (legge 149/2013).
Come funziona oggi
La legge prevede che lo Stato sostenga le attività dei gruppi parlamentari e i privati finanzino i partiti. I gruppi, in base alla loro grandezza, ricevono ogni anno contributi pubblici da un fondo di 30,87 milioni di euro alla Camera e 22,12 al Senato, fondi utilizzabili solo per finanziare le loro attività parlamentari e da rendicontare: l’80% serve a pagare il personale (funzionari, giuristi, ricercatori, consulenti per la comunicazione e portavoce) e il resto va in convegni e iniziative pubbliche. I partiti, invece, hanno diritto a due tipi di finanziamento privato: il 2 per mille dell’Irpef, che ha un tetto e il resto lo incamera lo Stato, e poi le donazioni dirette dove ogni singolo soggetto non può superare i 100 mila euro all’anno e detraibili al 26% fino a 30 mila euro. Ma per riceverli i partiti devono iscriversi al registro nazionale dove si accede solo se si è già partecipato con propri candidati a elezioni regionali, nazionali o europee, oppure si è indicati come riferimento politico da un gruppo parlamentare.
Chi finanzia chi
Partiamo dal mondo delle donazioni private vediamo i conti dal 2020 al 2023 dei maggiori partiti. Chi ha attirato più donazioni è la Lega che, tra Lega Nord e Lega Salvini Premier, ha totalizzato 25,2 milioni di euro. Fra i principali sponsor ci sono le università telematiche con un totale di 290 mila euro (vedi grafico) e 100 mila da Coseco, azienda di rifiuti del milanese. Il Movimento 5 Stelle totalizza 22,7 milioni, ma il grosso è arrivato dalle rimesse record nei primi due anni dei suoi eletti: quasi 10 milioni di euro. Il Pd ha raccolto 10,3 milioni, chi ha versato di più è stato Francesco Merloni (ex parlamentare e ministro, presidente di Ariston Thermo) con 100 mila euro. FdI ne ha incassati 9,7 fra cui: 68 mila euro dalla Confederazione Generale dell’Agricoltura e 50 mila a testa dal gruppo sanitario Villa Maria Spa, dalla società di costruzioni Milano Investimenti Spa, e dalla Ipvc Service del gruppo Meluni che fa capo al presidente del Benevento Calcio Oreste Vigorito. Per Forza Italia 8,9 milioni, con i maggiori contribuenti i cinque figli di Silvio Berlusconi, il fratello Paolo e la Fininvest con 200.000 euro a testa. Azione totalizza 3,6 milioni. Ha attirato numerosi imprenditori (Patrizio Bertelli di Prada, Alberto Bombassei di Brembo, Gianfelice Mario Rocca, i Loro Piana, il gruppo Arvedi) per un totale di quasi un milione di euro. Italia viva 3,7 milioni. Il top sponsor è stato Manfredi Lefebvre d’Ovidio con 100 mila euro. Poi ci sono quelli che danno soldi a tutti. Davide Serra ne ha versati 228 mila euro a Italia Viva e 49 mila ad Azione, Lupo Rattazzi 305 mila euro Italia Viva e 100 mila ad Azione, Cremonini spa – quella delle carni – 40 mila ad Azione e 30 mila anche a FdI. Stefano Bandecchi, attraverso la Università Niccolò Cusano che ha fondato e un’altra sua srl «Società delle scienze umane», ha finanziato con 385 mila euro Forza Italia, Impegno Civico e Alternativa popolare. Ma quello più trasversale di tutti è Marco Rotelli (gruppo San Donato) che l’anno delle elezioni (2022) ha versato 30 mila euro a testa a ben sei formazioni per non scontentare nessuno: Fratelli d’Italia, Lega, Partito democratico, Italia al Centro, Italia Viva e al Comitato elettorale dell’Associazione Impegno Civico Luigi Di Maio.
La voce più pesante è l’autofinanziamento
La voce maggiore però è quella dell’autofinanziamento. Secondo Transparency il 61,38% dei contributi privati ricevuti nell’anno 2022 è arrivato da candidati ed eletti ai quali i partiti chiedono donazioni «volontarie». Alle politiche del 2022 il Pd ha chiesto 50 mila euro per un seggio sicuro e poi 3000 euro al mese agli eletti. La Lega 20 mila per la candidatura alle politiche e 3000 al mese agli eletti, mentre alle europee 30 mila ex post gli eletti; Fdi e Forza Italia 30 mila per la candidatura e 1000 euro al mese agli eletti. Il M5S non chiede nulla ai candidati, ma la campagna elettorale è a loro carico e che poi si deve versare 2500 al mese. Anche loro, grazie alla legge di stabilità del 2015 hanno diritto a scaricare il 26% fino a 30 mila euro.
Il 2 per mille e il no del Quirinale
Un’altra quota di sostentamento importante arriva dal 2 per mille dell’Irpef, dove sono i contribuenti a scegliere a quale partito destinarlo. Nel 2018 i contribuenti che avevano scelto un partito erano stati 1 milione per 14,1 milioni di euro di contributo totale, nel 2024 sono stati 2 milioni per 29,7 milioni di euro. Dal 2018 al 2024 il partito che ha raccolto di più con il 2 per mille è il Pd con 52,5 milioni, seguito dda FdI con 20,4, dalla Lega con 16,9 (che presenta due bilanci: quello della Lega Nord e quello della Lega per Salvini Premier), e da Forza Italia con 4,7 milioni. La questione è che lo Stato aveva fissato un tetto di 25 milioni, il resto lo avrebbe in Ministero delle Finanze, ma a inizio dicembre Pd e Alleanza Verdi-Sinistra avevano presentato in Commissione Bilancio del Senato un emendamento al decreto-legge «Fisco» per alzare da 25 a 28 milioni di euro il tetto massimo. La maggioranza di governo, però, aveva modificato il testo proponendo di togliere il tetto e incassare lo 0,2 per mille, ma dal totale dell’Irpef. I fondi da ripartire sarebbero stati quindi di 42,3 milioni. Il Quirinale si è opposto perché la revisione del sistema di finanziamento non rientra nei casi straordinari di necessità e urgenza che si affrontano con decreto. Alla fine è passata una formulazione che alza il tetto a 29,7 milioni di euro, esattamente quanto ha certificato il Mef a gennaio. A conti fatti quanto hanno in cassa i singoli partiti?
Quanto hanno in cassa?
Il partito più ricco è il M5S: il 2023 si è chiuso con un avanzo di 1.492.908 euro e disponibilità liquide per 9.123.171 euro in depositi bancari e postali (+32,5% rispetto al 2022). Il secondo più in salute è FdI: avanzo di esercizio di 4.906.995 euro e liquidità di 8.374.955 euro quasi tutti in depositi bancari e postali. Da segnalare che i conti di FdI sono decollati da quando la Meloni è presidente del Consiglio: nel 2018 aveva incassato 2,3 milioni, 3 nel 2019, 2,7 nel 2020, 4,2 nel 2021, 8,2 nel 2022 e 6,9 nel 2023. Il Pd ha chiuso il 2023 con un avanzo di 704.018 e disponibilità liquida per 5.990.588, ma ci sono anche 10.069.204 euro di passività tra perdite di fondi, debiti verso i fornitori, debiti tributari e previdenziali. La Lega presenta dal 2017 due bilanci distinti: quello della Lega per Salvini Premier ha chiuso il 2023 con 92.521 di avanzo e liquidità per 1.066.591, la quasi totalità in depositi postali. La Lega Nord invece ha chiuso il 2023 con un avanzo di 688.340 euro e disponibilità liquide per 486.588 euro in depositi bancari e postali, ma detiene anche la proprietà della società Pontida Fin S.r.l. che è la società di gestione di tutte le proprietà immobiliari del Movimento, che ha un capitale sociale di 5,33 milioni e un patrimonio netto di 4,25 milioni. Forza Italia è il partito più indebitato: 97.173.571 euro. La quota maggiore (90 milioni) è con la famiglia Berlusconi. Infatti Berlusconi nel 2014 e nel 2015 ha chiuso personalmente l’esposizione del movimento verso banche, versando rispettivamente 46,5 e 43,9 milioni. «Il Presidente – si legge nelle note al bilancio –, è divenuto il principale creditore nei confronti del nostro Movimento per l’importo pari ai pagamenti da lui effettuati; a seguito del suo decesso questo credito si è trasferito ai suoi aventi diritto». Da partito-azienda a partito-famiglia.
Chi controlla?
Sulle spese dei candidati in campagna elettorale (legge 515/93) è competente il Collegio regionale di garanzia elettorale (i candidati possono ricevere anche donazioni personali in campagna elettorale, ma non rientrano nei bilanci dei partiti). Le sanzioni arrivano fino alla decadenza nei casi più gravi, come il mancato deposito delle spese sostenute oppure uno sforamento della spesa doppio rispetto ai limiti massimi previsti dalla legge. È la vicenda, ancora da chiarire, in cui è coinvolta la governatrice della Sardegna Alessandra Todde.
Per quel che riguarda sponsor e donazioni la legge impone massima trasparenza: i partiti devono pubblicare sul loro sito internet statuti, organizzazione, funzionamento interno, elenco dei donatori oltre i 500 euro e i bilanci, che devono essere certificati da un ente terzo. A vigilare sui partiti la «Commissione di garanzia» formata da 5 magistrati della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato. Chi non è in regola rischia sanzioni fino a due terzi della cifra spettante dal 2 per mille. Va precisato che si tratta di controlli formali perché non vengono svolte indagini. E quali partiti sono stati sanzionati e per cosa? Chiediamo alla Commissione, che ci scrive: «dal 2019 ad oggi risultano essere 60 (fra partiti nazionali, gruppi e movimenti regionali ndr) per lo più per mancata presentazione di rendiconto, ma anche per omessa pubblicazione sul proprio sito internet dei certificati del casellario penale e curriculum dei propri candidati». Alla richiesta di fornire l’elenco delle sanzioni e a chi sono state comminate la risposta invece è stata la seguente: «questo Ufficio provvederà ad acquisire il parere dei soggetti contro interessati ed a seguito di valutazione della Commissione saranno consultabili». In sostanza se un partito sanzionato non vuole farlo sapere agli elettori basta che si opponga. E se non si oppone l’ultima parola per la consultazione degli atti spetta comunque alla Commissione. Alla faccia della trasparenza.
Milena Gabanelli
(da il Corriere della Sera)

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