IN ITALIA CHI E’ POVERO LO RESTA: SONO 8 MILIONI DA 4 ANNI
RAPPORTO ISTAT: GLI INDIGENTI RAPPRESENTANO IL 13,6% DELLA POPOLAZIONE… LA POVERTA’ SI TRAMANDA DI PADRE IN FIGLIO E LE REGIONI PIU’ POVERE LO DIVENTANO SEMPRE DI PIU’… EMILIA, LOMBARDIA E VENETO LE PIU’ RICCHE, SICILIA, CALABRIA E CAMPANIA LE PIU’ INDIGENTI… LA MANCANZA DI UNA POLITICA SOCIALE PER IL RISCATTO
In Italia la povertà è senza via d’uscita, priva di una concreta possibilità di migliorare la propria posizione economica e insufficiente a uscire dalle due categorie sociali che l’Istat definisce “povertà assoluta” e “povertà relativa”.
Sono 8.078.000 gli italiani poveri censiti dall’Istat nel 2008, pari al 13,6% dell’intera popolazione. Dal 2005 la percentuale non cambia di molto: un esercito di persone che si aggira per il nostro Paese faticando a vivere, in attesa di un serio intervento di politica economica e di riscatto sociale.
La povertà si tramanda di padre in figlio, se qualcosa si muove lo fa negli equilibri interni, già precari, del nostro Paese.
Le regioni povere diventano un poco più povere.
Nel 2008 la situazione è peggiorata sensibilmente nel Mezzogiorno. Dove la povertà assoluta ha raggiunto il 7,9%, due punti in più rispetto al 2007.
Al Nord invece le regioni con il tasso di povertà più basso sono l’Emilia Romagna (3,9%), la Lombardia (4,4%) e il Veneto (4,5%).
La Liguria tra le regioni settentrionali è quella a maggiore incidenza di povertà con il 6,4%. Percentuali basse se raffrontate con il 28,8% di Sicilia a Basilicata e con il 25% di Campania e Calabria.
Gli “assolutamente poveri” sono coloro che non riescono ad acquistare nemmeno i beni per una vita accettabile: pane, pasta, acqua, istruzione obbligatoria.
I “relativamente poveri” sono invece famiglie di due persone che vivono con meno di 999,67 euro al mese.
Negli ultimi 4 anni la percentuale delle famiglie relativamente povere è rimasto stabile a 2.700.000 di nuclei, ovvero l’11%.
Il fenomeno continua a essere maggiormente diffuso nel Mezzogiorno (23,8%) dove l’incidenza di povertà relativa è 5 volte superiore a quella osservata nel resto del Paese ( 4,9% al Nord, 6,7% al Centro) e tra le famiglie più ampie, ovvero coppie con tre o più figli, o ancor peggio se si tratta di figli minori.
Ulteriore aggravante è la presenza di anziani: se in famiglia è uno solo, l’incidenza è prossima alla media nazionale (11,4%), ma se ve ne sono due sale al 14,7%.
Nel Sud peggiora anche la povertà assoluta , specie nelle famiglie numerose (5,2%), nei nuclei con un componente che cerca occupazione (14,5%) e in quelli con a capo un lavoratore autonomo (4,5%).
Si rileva dai dati Istat poi che la povertà in Italia resta associata ai bassi livelli di istruzione (17,9%), ai bassi profili professionali (14,5%), e all’esclusione dal mercato del lavoro (33,9%).
Quello che latita è un programma, al di là dei dati ormai acquisiti, per lentamente e gradualmente ridurre il margine di povertà di tante famiglie italiane.
Non è solo questione di assistenza, ma soprattutto di alzare il livello di istruzione, di fornire occasioni di lavoro, di investimenti che creino occupazione e maggiore benessere per le fasce deboli.
Ma la politica è sempre troppo distante dalla realtà .
I poveri sono tra noi, ma dà fastidio ammetterlo e parlarne: fanno più notizia le veline.
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