INTERVISTA A GIORGIO GORI: “MELONI SE LA PRENDE CON I TEDESCHI, MA SOLO IL 4% DEI MIGRANTI VIENE SALVATO DALLE ONG”
IL SINDACO DI BERGAMO: “SE IL GOVERNO NON E’ IN GRADO DI RIMPATRIARLI, VANNO INTEGRATI”
Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd) ha criticato la lettera che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha inviato ieri al cancelliere tedesco Scholz, per via dei finanziamenti che Berlino ha ammesso di aver inviato alle Ong che operano in Italia e nel Mediterraneo. Per Meloni le navi da soccorso sono un “fattore di attrazione” per i migranti, anche se questo assioma è stato ampiamente smentito dai numeri: solo il 4,5% dei migranti sbarcati in Italia sono stati recuperati in mare dalle Ong, come ricorda lo stesso sindaco dem. Il governo italiano tra l’altro punta il dito contro quello tedesco, accusandolo di non lavorare abbastanza per facilitare l’accoglienza “sul territorio tedesco piuttosto che in Italia”, dimenticando però che il numero di richieste d’asilo in Germania è molto più alto di quello registrato nel nostro Paese: nel 2022 le richieste d’asilo in Italia sono state 104.000, contro le 243.000 in Germania.
Gori è molto netto sul tema dei migranti sbarcati in Italia: “O il governo è in grado di rimpatriarli, come fin qui nessuno è stato in grado di fare, oppure vanno integrati. Non è più accettabile che la macchina dell’accoglienza disorganizzata dello Stato produca costantemente clandestini che poi rimangono nei territori e nelle città, in una condizione di irregolarità e di illegalità”, ha detto in un’intervista a Fanpage.it.
Lei ha contestato la lettera che Meloni ha inviato a Scholz. Perché?
C’è un ricorrente tentativo da parte del governo e della destra di trovare dei capri espiatori, dei nemici, per giustificare una situazione che non è emergenziale, ma da molto tempo è un dato strutturale con cui fare i conti. In particolare, le missioni di salvataggio delle Ong sono state più volte indicate come un ‘fattore attrattivo’ come se la loro presenza in mare incentivasse le persone a partire dalle coste africane. Una circostanza totalmente smentita dai fatti. In primo luogo bisogna sottolineare che sul totale delle persone che vengono recuperate, soltanto il 4,5% sono tratte in salvo dalle Ong, cioè una percentuale assolutamente residuale. Inoltre, quando il governo ha posto delle limitazioni ai movimenti di quelle organizzazioni, il numero degli sbarchi, anziché ridursi, è aumentato. Nella lettera a Scholz ritorna invece l’accusa alla Germania di favorire indirettamente l’incremento dei flussi migratori.
Ma c’è ancora un altro elemento in quella missiva, e cioè Meloni biasima la Germania, incolpandola di non fare abbastanza sull’accoglienza dei migranti…
La nostra premier forse non sa che la Germania ne accoglie molti di più di quanto facciamo noi. L’Italia per la sua posizione geografica è uno dei principali punti di approdo nel Mediterraneo, ma non è la principale destinazione dei migranti. Lo dicono i dati: nel 2022 le richieste di protezione in Italia sono state 104.000, contro le 243.000 registrate da Berlino. L’Italia è solo al quarto posto, dopo Germania, Francia e Spagna. E questo perché molti dei migranti che arrivano in Italia tendono a spostarsi in altri Paesi. Anche quest’anno la Germania è il Paese in Europa con il più alto numero di richieste di asilo – finora oltre 162.000 nei primi sei mesi del 2023. Senza contare che in questo momento la Germania sta accogliendo oltre un milione di profughi ucraini. Quindi, per quanto faticosa sia la posizione dell’Italia, su cui è certamente giusto richiamare un principio di solidarietà europea, è del tutto fuori luogo che il governo italiano si lamenti perché Berlino non fa abbastanza sull’accoglienza.
Ha ragione Salvini quando dice che l’ammissione dei finanziamenti da parte della Germania alle Ong è la prova dell’esistenza di una regia dietro gli sbarchi? È la prova del teorema di Salvini?
Direi proprio di no. Se mettiamo in chiaro una volta per tutte che le missioni in mare delle Ong non sono un fattore attrattivo, e ve n’è ampia evidenza, aiutare queste organizzazioni nella loro attività di salvataggio non può essere un demerito. Salvini è tornato anche a parlare di “invasione”. Ha ragione? No, e anche qui lo dicono i numeri: da 10 anni il numero degli stranieri sul suolo italiano è infatti sempre lo stesso, 5 milioni. L’Italia in questi anni è stata prevalentemente terreno di transito, e non destinazione ultima dei flussi migratori. La verità è che Salvini usa gli argomenti e i toni della propaganda per mettere in difficoltà – da destra – Giorgia Meloni e il suo partito.
Per Salvini le dichiarazioni del governo tedesco sono un “atto ostile”. Un’espressione che non sembra molto diversa da quella utilizzata dal braccio destro di Meloni, il ministro della Difesa Crosetto, che le ha definite una “grave anomalia”.
L’impressione è che Meloni sia stata trascinata in questa polemica dall’aggressività di Salvini. Ma a chi giova? Che interesse ha l’Italia a litigare col governo tedesco? A me pare che l’interesse nazionale dovrebbe guidarci, al contrario, a ricercare il massimo allineamento con Germania e Francia per la revisione del Trattato di Dublino, che dal 2013 pone il nostro Paese in una condizione di grande difficoltà, perché prevede che gli immigrati rimangano nel Paese di primo approdo. Il nostro interesse dovrebbe essere quello di collaborare con Parigi o Berlino, piuttosto che fare a sportellate. Nei giorni scorsi il presidente Mattarella ha incontrato il presidente tedesco Steinmeier, da cui sono venuti significativi segnali d’apertura nel segno della solidarietà; segnali che il governo avrebbe avuto interesse a raccogliere, anziché riaccendere la polemica.
Gli arrivi delle scorse settimane hanno messo in difficoltà anche la sua città? Ci sono tendopoli?
No, nessuna tendopoli, ma siamo oggettivamente in difficoltà. Siamo di fronte ad un fenomeno che va avanti ormai dal 2015, con la sola pausa della pandemia, e nonostante questo lo Stato non ha mai fatto nulla per organizzarsi, ma è andato sempre alla rincorsa, scaricando il problema sulle prefetture, sui comuni e sul terzo settore, che con estremo affanno provano a farvi fronte. La pretesa che si tratti di un fenomeno emergenziale è la scusa per la mancata organizzazione. Uno Stato che va nel pallone per 140mila arrivi dimostra secondo me tutti i limiti della sua guida politica. Quello che stiamo facendo sui territori è aiutarci il più possibile fra noi, coordinandoci tra comuni, prefetture e terzo settore, cercando di giorno in giorno soluzioni logistiche e organizzative sia per i migranti adulti, sia per i minori non accompagnati, che sono un altro profilo fortemente critico, che pesa sui territori in questa fase. Non vi è alcuna pianificazione. Di giorno in giorno da Milano – che funge da centrale operativa della Lombardia – ci informano dei nuovi arrivi: 10, 20, anche 30 richiedenti asilo al giorno. Per ognuno di questi gruppi bisogna trovare luoghi idonei per l’accoglienza, e operatori che se ne occupino. Lo Stato non c’è, fatti salvi i prefetti. E il grosso del peso si scarica sul terzo settore. Qui a Bergamo c’è in campo la Diocesi, con Caritas in prima linea. Nel solo 2023 sono arrivati oltre 1.000 migranti: senza cooperazione sociale non avremmo saputo dove sbattere la testa.
Non si sa ancora dove saranno allestiti i nuovi Cpr. In teoria dovrebbero essere uno per Regione, per cui per la Lombardia c’è già il centro di Milano. Avete notizie di nuovi Cpr sul vostro territorio?
No, non abbiamo alcuna notizia. Il governo però ha messo in fila, nell’arco di pochi giorni, due provvedimenti, che non si capisce se e in quale misura siano collegati. Il primo riguarda il prolungamento fino a 18 mesi della permanenza nei Cpr degli stranieri già destinatari di un decreto di espulsione. E questo, secondo quanto spiegato dal governo, non riguarda i richiedenti asilo. Il secondo provvedimento dice invece che i migranti che provengono da Paesi cosiddetti “sicuri”, e che sono privi di documenti, o versano 5mila euro attraverso fideiussione bancaria oppure saranno trattenuti in una struttura per richiedenti asilo per il tempo necessario a verificare il loro status. Di strutture di questo tipo ce ne è una sola, e si trova a Pozzallo. Li tengono lì, dicono, con l’impegno di esaurire entro 28 giorni la pratica di accettazione o non accettazione della domanda di asilo. E in caso di non ammissione si procederebbe al rimpatrio. La legge prevede però una possibilità di appello per i migranti a cui viene negato in prima istanza il permesso di soggiorno, e in media il giudizio del tribunale ci mette un paio d’anni ad arrivare. Questo fa capire come la promessa di completare l’iter “ammissione o rimpatrio” in 28 giorni sia totalmente irrealistica e scollegata dalla realtà dei fatti. E dopo? Mica possono essere trattenuti per due anni! Senza contare che i due provvedimenti hanno in comune un punto debole.
Cioè?
Un conto è chiudere delle persone in un Cpr o in una struttura in attesa di rimpatriarle, un altro è siglare gli accordi di riammissione con i Paesi d’origine, senza i quali i migranti non possono comunque essere rispediti indietro. I dati disponibili sono disarmanti. Negli ultimi dodici mesi abbiamo avuto 165mila arrivi, e i rimpatri effettuati sono stati 3.200. Si possono anche moltiplicare i centri di detenzione, ma se non si trova il modo di convincere i Paesi d’origine a far rientrare i migranti, quelle persone resteranno nelle strutture con il filo spinato fino a quando il governo non potrà che farle uscire. E si ricomincerà daccapo. Mi sembrano provvedimenti di scarsissima utilità, perché nessuno dei due incide sulla capacità di rimpatrio del nostro Paese.
Nuovi centri di detenzione per espellere migranti, nuove strutture per richiedenti asilo. La preoccupa questa politica? Può avere una ripercussione sui territori?
Mi pare che non se ne sia neppure verificata l’effettiva gestibilità. È stato fatto un conto di quanti richiedenti asilo dovrebbero stazionare in questi nuovi centri? Parliamo di molte migliaia di persone, se i flussi saranno quelli che abbiamo avuto negli ultimi mesi. Quante persone dovrebbero essere impiegate nella vigilanza nei Cpr e nei centri di secondo livello per richiedenti asilo? Silp Cgil, sindacato della Polizia, ha stimato che servono 100 unità al giorno per dare vigilanza a circa 150-200 persone. Ci sono? A quali altri servizi verrebbero sottratti? Credo che per frenare i flussi serva ben altro.
Per esempio?
Io non sono affatto per l’accoglienza indiscriminata, come non lo è il Partito Democratico, checché ne dica Conte. Ma bisogna avere le idee chiare, e sapere cosa può essere fatto, e in che tempi, per ottenere dei risultati. La strada della cooperazione internazionale per lo sviluppo, che sembrerebbe sottesa all’idea del Piano Mattei – di cui per inciso abbiamo letto solo il titolo – è in linea di principio condivisibile, salvo che vede l’Italia agire in solitaria. Se l’obiettivo è investire nei Paesi da cui si muovono i migranti, perché le persone possano avere lì condizioni di vita più dignitose, ha molto più senso che l’iniziativa sia presa a livello europeo. È una strada sensata, purché non si abbia l’illusione di vederne i risultati in poche settimane e purché non si trascuri l’importanza di salvaguardare i diritti umani in quei Paesi, come invece è accaduto in Tunisia. Vorrei però allargare il ragionamento.
Prego.
Per svuotare i barconi, o quantomeno ridurre i flussi irregolari, è necessario aprire robusti canali di ingresso legali, come tra l’altro la stessa Meloni sembra dire. Ma nulla si sta facendo in questa direzione: nessun nuovo corridoio umanitario per coloro che hanno diritto all’asilo politico. Fino a oggi se ne sono occupate solo le organizzazioni del terzo settore, la Chiesa valdese, Sant’Egidio. Mentre per i migranti cosiddetti economici va detto con estrema chiarezza che i decreti flussi sono normati da procedure – che derivano ancora dalla Bossi-Fini – che rendono quel canale di fatto inaccessibile a chi dall’estero voglia arrivare in Italia, perché il datore di lavoro che vuole assumere un lavoratore straniero lo può fare solo indicandone esplicitamente le generalità. Ma come può conoscere e decidere di assumere un lavoratore nigeriano se non l’ha mai visto prima? È chiaro che quella persona in realtà è già in Italia. Salvo eccezioni, i decreti flussi non servono quindi come canale di ingresso legale per chi dall’estero vuole venire nel nostro Paese, ma nella migliore delle ipotesi rappresentano uno strumento di regolarizzazione “mascherata” per chi già sta in Italia. Negoziare una quota di nuovi ingressi legali con i vari paesi dell’area subsahariana – ingressi veri, non finti – ridurrebbe i flussi spontanei e consentirebbe di ottenere la collaborazione di questi Paesi ai fini del rimpatrio dei migranti irregolari.
Come sindaco cosa chiede al governo?
Una cosa semplice, che riguarda tutti quei migranti a cui lo Stato nega il permesso di soggiorno ma che permangono nelle nostre città: o siete in grado di rimpatriarli o li integrate. Non è più possibile che la macchina dell’accoglienza disorganizzata dello Stato produca costantemente clandestini che poi rimangono nei territori e nelle città, in una condizione di irregolarità e di illegalità. Se lo Stato non è nelle condizioni di rimpatriare i migranti, come non è stato fin qui in grado di fare, è tempo che queste persone vengano avviate ad un percorso di integrazione, che consenta loro di guadagnarsi onestamente da vivere. Ci sono migliaia di imprese che li assumerebbero domani, se solo avessero i documenti, parlassero decentemente l’italiano e avessero fatto un poco di formazione professionale. Lo dico per loro, per la loro dignità di persone, ma anche nell’interesse della legalità e della sicurezza nelle nostre città.
(da Fanpage)
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