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SOLO CHIACCHIERE E DISTINTIVO, UN ANNO DI DISASTRI DEL GOVERNO MELONI SU SBARCHI E ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI

MELONI E’ RIUSCITA NELLA DIFFICILE IMPRESDA DI FAR PEGGIO DEI SULOI PREDECESSORI: IMPREPRAZIONE, CINISMO E INCAPACITA’ AD AMMETTERE I PROPRI ERRORI

Nella ridda di dichiarazioni, interventi, decreti e visite più o meno istituzionali, c’è una sola certezza: qualunque fosse il piano del governo per gestire gli sbarchi dei migranti, non sta funzionando. Un fallimento complessivo, che investe ogni aspetto della questione, dal piano operativo a quello comunicativo, dal livello diplomatico agli equilibri interni alla coalizione: tassello dopo tassello, sta cedendo l’intera impalcatura costruita da Giorgia Meloni negli anni in cui è stata all’opposizione. Ancora una volta, insomma, la questione migranti dimostra come i fatti siano ostinatamente resistenti alla propaganda e non bastino dichiarazioni altisonanti e slogan machisti per risolvere problemi strutturali complessi.
Era già capitato a Cutro, quando Meloni credette sarebbero bastate la solita passerella e le anticipazioni di un decreto dai toni roboanti per coprire una delle pagine più vergognose del nostro Paese. Fu un disastro da tutti i punti di vista: i cronisti locali smontarono la lacunosa ricostruzione di Meloni e Piantedosi in conferenza stampa, i parenti delle vittime mostrarono la pochezza dei ragionamenti della Presidente del Consiglio, sul piano operativo cambiò poco o nulla (le norme varate in quella sede si riveleranno inutili, ingiuste e finanche controproducenti).
Sta accadendo lo stesso in queste settimane. Con una grande differenza: stavolta il disastro è davvero tutta colpa delle politiche adottate dalla destra italiana. Quella sui migranti è una crisi determinata da un mix di errori, assenza di visione complessiva e propaganda. Complessivamente, i numeri ci dicono che siamo in presenza di flussi tutto sommato contenuti, che un Paese normale dovrebbe essere in grado di gestire in totale sicurezza. Non l’Italia, evidentemente.
Le basi del caos di Lampedusa
La situazione a Lampedusa è diventata problematica a causa di molteplici fattori. Semplificando, possiamo ridurre il tutto a poche questioni principali, con tante ramificazioni. In primo luogo, va detto che i flussi non sono “eccezionali” in senso assoluto (il paragone più calzante è quello col 2015, parliamo di circa 150mila arrivi all’anno), ma lo sono per quanto concerne l’isola di Lampedusa. Se in passato gli sbarchi riguardavano località distinte, ora i migranti arrivano quasi tutti nell’isola e, soprattutto, finiscono tutti nell’hotspot.
Perché avviene questo?
Le ragioni sono molteplici, ma tutte riconducibili a scelte o errori di questo e dei precedenti governi italiani. Meloni, con la magistrale cooperazione di Salvini e Piantedosi, ha contribuito in modo decisivo a diminuire la capacità complessiva del sistema di soccorso in mare. Con il lento ma costante disimpegno nella SAR (cominciato ben prima dell’arrivo della leader di Fdi a Chigi, ne parlavamo qui), l’ostruzionismo alle ONG e la dismissione delle operazioni europee più efficaci, l’Italia ha sostanzialmente ridotto il perimetro entro il quale realizza il cosiddetto soccorso attivo (gran parte degli interventi sono catalogati come operazioni di polizia, per le quali non è necessario attendere l’indicazione di un POS). Non “intercettare” barconi e barchini in profondità significa privarsi della possibilità di indirizzare i migranti verso altri porti della costa italiana: di fatto, li stiamo “aspettando” nei pressi di Lampedusa, con tutto ciò che ne consegue.
A ciò ovviamente si somma il modificarsi delle rotte di transito dei migranti, che ora partono in gran parte dalla Tunisia, invece che dalla Libia. Non è un fenomeno nuovo: le rotte migratorie cambiano in continuazione, sotto la spinta di fenomeni diversi, tra cui certamente il contesto geopolitico locale. Lampedusa, poi, anche nei momenti di maggiore pressione mediatica e politica, è sempre stata interessata dai cosiddetti “sbarchi fantasma”: essenzialmente piccole imbarcazioni in grado di sfuggire ai controlli e traghettare sull’isola decine di migranti. In queste ultime settimane, alcuni analisti hanno evidenziato come l’aumento delle partenze dalla Tunisia trovi un corrispettivo nella fase di stabilizzazione del potere di Saied. Come noto, Giorgia Meloni si è fatta carico di trattare in prima persona con il leader tunisino, coinvolgendo anche i vertici delle istituzioni europee e giungendo alla stipula di un memorandum che prevede consistenti aiuti economici a Tunisi.
Malgrado le dichiarazioni roboanti della Presidente del Consiglio dopo i vertici e gli accordi, le partenze non si sono fermate, anzi. Si è parlato molto di questa famosa prima tranche di aiuti da 250 milioni di euro che non sarebbe ancora arrivata nelle casse di Tunisi, mettendola in relazione con l’incremento delle partenze dei barconi. Certo, l’ipotesi che Saied utilizzi la leva dei migranti per fare pressione sulle autorità europee e accelerare il trasferimento dei fondi resta al momento solo una speculazione teorica, senza elementi oggettivi. Ma è piuttosto indicativa di quanto sia pericoloso (e non risolutivo) esternalizzare il controllo delle frontiere a proto-regimi che peraltro non si curano né del rispetto dei diritti umani né di valutazioni di carattere strategico-politico. Saied ha la necessità di consolidare il proprio potere politico e utilizza le leve che ha: il fatto che le più alte autorità europee corrano a fargli il baciamano, è una legittimazione formidabile sul piano interno. Meloni, Von der Leyen e persino leader come Rutte ritengono possa essere interlocutore affidabile. Al momento, è lecito avere qualche dubbio.
(Per carità di patria, non toccheremo proprio la questione del blocco navale: ipotesi stupida e per fortuna non realizzabile, che è servita per raccattare qualche voto alle politiche e poco altro).
Chi ha smantellato il sistema di accoglienza in Italia
A un flusso eccezionale, almeno per Lampedusa, va sommata la grande difficoltà nell’operare i trasferimenti negli altri centri del Belpaese. Così, un hotspot che dovrebbe contenere al massimo 300 persone si riempie in modo insostenibile e altre centinaia (a volte migliaia) di migranti si ritrovano spesso senza assistenza (se non quella di volontari e abitanti), in attesa di un’altra destinazione sulla terraferma. Non va meglio a quei pochi che vengono salvati in mare aperto dalle ONG. Per effetto delle folli disposizioni di Piantedosi, dopo un viaggio lunghissimo e indicibili sofferenze, chi è soccorso da una nave ONG è costretto a subire ulteriori e non necessarie ore di navigazione prima di trovare riparo sulla terraferma. Oltre al carattere cinico della norma, l’effetto è quello di allontanare le ambulanze del mare dal luogo in cui c’è più bisogno.
Ma c’è un altro elemento che rende “emergenziale” una situazione che in realtà potrebbe essere tranquillamente gestita: lo stato disastroso del sistema dell’accoglienza italiana. I trasferimenti da Lampedusa, ma più in generale lo smistamento degli arrivi, sono lentissimi soprattutto per l’oggettiva difficoltà di distribuire le persone nei diversi centri sul territorio italiano. Il principale artefice dello smantellamento del sistema dell’accoglienza è stato senza alcun dubbio Matteo Salvini, da ministro dell’Interno del primo governo Conte. La scriteriata eliminazione degli Sprar ha demolito il concetto base dell’accoglienza diffusa, privando i Comuni della possibilità di implementare percorsi virtuosi di integrazione dei migranti; la discutibile revisione al ribasso della cifra stanziata per singolo migrante ha scoraggiato i piccoli gestori, rendendo di fatto sostenibili solo i grandi centri, che, oltre a dare condizioni peggiori agli ospiti, rappresentano da sempre un elemento di tensione con la popolazione locale.
Si è determinata così una situazione atipica: i posti per accogliere migranti sono pochi, concentrati in poche Regioni e la reattività del sistema è azzerata. I prefetti (e i Sindaci) si trovano spesso nell’impossibilità di mettere a disposizione posti aggiuntivi in tempo utile per accogliere chi arriva dagli hotspot, con il risultato di rallentare ulteriormente l’intero processo. In questi mesi di governo Meloni, sono caduti nel vuoto tutti gli inviti degli addetti ai lavori e degli esperti a potenziare ad esempio il sistema SAI, né si è riusciti mai a parlare seriamente di accoglienza. In effetti, meglio raccontare frottole sui rimpatri rapidi, sulle espulsioni efficaci e via discorrendo.
Rimpatri, espulsioni, redistribuzione: errori in serie
Peccato che, sul punto, anche il governo Meloni (e prima ancora i governi Conte I e Gentiloni) si sia dovuto arrendere all’evidenza dei fatti: le tempistiche per l’esame delle richieste di protezione sono diminuite ma non a sufficienza (e l’eliminazione dell’appello desta più di qualche perplessità), le espulsioni sono il solito buco nero e i rimpatri sono fermi al palo, come e più degli anni passati. Su quest’ultimo punto i dati sono impietosi e cozzano con la propaganda di Salvini e Meloni: del resto, si tratta di operazioni non semplici, per questioni oggettive, che non possono in ogni caso risolvere il problema dei flussi.
Invece, l’ultima ricetta di Meloni e Piantedosi verte proprio sulla chimera dei rimpatri. Ne abbiamo parlato lungamente ma anche tralasciando gli aspetti iniqui e discutibili sul profilo del rispetto dei diritti, c’è una questione su cui possiamo essere ragionevolmente sicuri: non funzionerà. I rimpatri non sono la soluzione, né per la fase emergenziale, né per quella di gestione ordinaria, né soprattutto per scoraggiare le partenze. La detenzione dei migranti, peraltro, è tollerata dalle norme internazionali solo previa valutazione del singolo caso (e la sussistenza di determinate condizioni), figurarsi se può diventare lo standard nella gestione dei dinieghi alle richieste di protezione.
Non è difficile prevedere cosa accadrà: il governo impiegherà mesi e mesi per costruire i nuovi CPR, tra proteste e liti con Regioni e Comuni; i centri entreranno in funzione tra mille difficoltà e senza alcuna garanzia sulla brevità dei tempi di permanenza dei migranti da rimpatriare; le sentenze dei giudici si faranno carico di smontare le disposizioni di Piantedosi e Nordio (inclusa la norma dei 5mila euro di deposito cauzionale, che recepisce male una direttiva Ue nata per scopi diversi); le condizioni nei centri diventeranno presto insostenibili; gli accordi con i Paesi di partenza saranno implementati sulla carta ma si riveleranno poco o nulla efficaci.
La redistribuzione e le polemiche con l’Europa
Su quest’ultimo punto non ci dilungheremo: Giorgia Meloni è l’ennesima personalità di governo a essersi intestata il “cambio di passo dell’Europa” sull’immigrazione. La leader di Fratelli d’Italia in soli dodici mesi ha sciorinato l’intero campionario retorico: l’UE che non ci aiuta, l’Italia che sbatte i pugni sul tavolo, i Paesi europei che sono costretti a cedere finché tutto cambia. Con grande sprezzo del ridicolo, la maggioranza riesce ogni giorno a prendersela con la Ue e contemporaneamente a ripetere ai propri elettori che le cose sono cambiate. L’Europa di Schrödinger, a un tempo causa e soluzione di tutti i problemi dell’Italia.
Meloni, che pure è riuscita a portare von der Leyen al tavolo con Saied e poi a Lampedusa, non ha deciso se i suoi (ex?) alleati polacchi e ungheresi abbiano ragione o torto nel bloccare qualunque possibilità di riformare regolamenti e pratiche comunitarie. Si è accorta solo recentemente di quello che in molti dicono da anni: ovvero che ci sono nazioni europee che accolgono come e più dell’Italia. Ma continua a fingere che non esista uno dei punti centrali dell’intero meccanismo di redistribuzione dei migranti: i movimenti secondari. Su cui l’Italia fa poco o nulla, da sempre.
In estrema sintesi: come noto, la stragrande maggioranza di chi arriva in Italia non vuole restarvi, bensì raggiungere le proprie comunità negli altri paesi europei.
Nel corso degli anni, un tacito sistema di elusione delle regole lo consentiva in modo piuttosto semplice. Ora, gli accordi sulla redistribuzione prevedono effettivamente che i migranti arrivati in Italia (e Grecia) debbano essere smistati, ma impongono anche degli impegni sui movimenti secondari. In sostanza, nazioni come Francia e Germania dicono: noi prendiamo le nostre quote, ma l’Italia deve impedire che le persone eludano i controlli e attraversino le nostre frontiere; se ciò continua ad avvenire, non abbiamo altra scelta che “chiuderle”. La stessa “mano tesa” di Macron va interpretata in questo senso: se il problema è la registrazione, possiamo aiutare. Ora, da anni siamo in questa situazione di stallo: la redistribuzione non funziona e l’Italia fa poco o nulla sui movimenti secondari.
Intendiamoci, si tratta di una vertenza complessa e con responsabilità diffuse. Ma permettetemi di dubitare che la soluzione sia quella individuata dalla destra italiana: polemica contro i cattivoni europei, vittimismo deresponsabilizzante sui flussi, nessuna proposta seria per riformare il sistema. Resta la propaganda, un anno in più, verrebbe da dire.
(da Fanpage)

This entry was posted on mercoledì, Settembre 27th, 2023 at 20:06 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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INTERVISTA A GIORGIO GORI: “MELONI SE LA PRENDE CON I TEDESCHI, MA SOLO IL 4% DEI MIGRANTI VIENE SALVATO DALLE ONG” »

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