INTERVISTA A MONS. GALANTINO: “NON PUO’ FARCI PAURA UNA DONNA AL MARE TROPPO VESTITA”
“POLEMICA STRUMENTALE, DOBBIAMO IMPARARE A VIVERE INSIEME”
«Dobbiamo imparare a vivere insieme, e questo vuol dire anche conoscenza dei simboli di altre culture e loro accettazione quando non ledano le esigenze della sicurezza. La paura dell’abbigliamento delle musulmane mi appare strumentale. Se posso permettermi: coglierei questa circostanza per alzare un po’ il tono del confronto che, in alcune circostanze, m’è parso un tantino mortificante nei toni e nelle parole»: è la prima risposta del vescovo Nunzio Galantino, segretario della Cei, alla questione del burkini che gli poniamo chiamandolo al cellulare.
Il vescovo sta tornando a Roma dalla Puglia, la sua terra.
Guida da solo, da solo ha appena cambiato una ruota ma accetta ugualmente il colloquio sul «costume» da bagno delle musulmane comparso nelle ultime settimane su alcune spiagge francesi.
«Esigenze di cautela sono comprensibili. Ma ci vuole anche buonsenso: è difficile immaginare che una donna che entra in acqua stia realizzando un attentato. Ovviamente dobbiamo chiedere altrettanto buonsenso alle comunità musulmane che sono tra noi quando rivendicano la libertà di seguire le proprie tradizioni: quella libertà non deve limitare la nostra sicurezza».
La linea francese è molto netta. Una ministra francese ha detto che il burkini va combattuto in quanto «ostile all’emancipazione delle donne», mentre il sindaco di Cannes l’ha bandito in quanto «simbolo dell’estremismo islamico»…
«Questo della guerra sui simboli è un terreno nel quale mi è difficile capire fino in fondo la Francia. Preferisco non entrare nella logica della loro laicità , soprattutto quando arriva a giustificare il dileggio e a ridicolizzare in maniera volgare la sensibilità religiosa altrui: vedi le gratuite volgarità esibite dalle vignette di Charlie Hebdo. Per me e per l’Italia dico che il mondo dei simboli non si presta a ordinanze stagionali magari dettate da esigenze elettorali. Il modello francese ha le sue ragioni e le rispetto, ma nel caso specifico di sicuro non lo vedo facilmente esportabile in Italia».
In un’intervista di tre mesi addietro al quotidiano francese «La Croix» Francesco disse che se una donna musulmana vuole portare il velo «deve poterlo fare».
«Lo dico anch’io e penso alle nostre suore, penso alle nostre mamme contadine che lo portavano fino a ieri e alcune lo portano ancora oggi. Lo stesso, si capisce, deve valere per un cattolico che voglia portare una croce, o per un ebreo che indossi la kippà . Ogni persona ha diritto a mostrare la propria fede anche nell’abbigliamento, se lo ritiene opportuno. Si vigili che non vi siano usi strumentali dei simboli religiosi, ma se ne garantisca la piena libertà , legata alla libertà di coscienza, alla libertà di opinione e alla libertà religiosa. La libertà da riconoscere ai simboli religiosi va considerata alla pari della libertà di esprimere i propri convincimenti e di seguirli nella vita pubblica».
Ma i simboli in contesti conflittuali possono risultare esplosivi come la dinamite: a fine luglio abbiamo visto il sangue in una chiesa di Francia…
«È stato un fatto mostruoso, peggiore di altri, ma non unico e non nuovo. Avevamo già visto il sangue in piazza San Pietro con l’attentato del 1981, l’anno prima l’arcivescovo Romero era stato ucciso durante la messa, nel 2006 don Andrea Santoro ha sparso il suo sangue mentre pregava in una chiesa a Trabzon, in Turchia. Stavolta per fortuna abbiamo avuto una buona reazione di condanna di quel gesto da parte di ambienti musulmani. Non ancora sufficiente, ma più forte rispetto a ogni precedente occasione».
L’uccisione di padre Hamel ha comportato una presenza di musulmani nelle chiese in segno di solidarietà e anche questa mano tesa ha turbato chi non vuole commistione di simboli. Che direbbe lei se domani ci fosse qualche iniziativa per portare i cristiani nelle moschee?
«Speriamo – nel caso – di arrivarci preparati. Stavolta eravamo impreparati. Non condivido l’atteggiamento di chi ritiene del tutto trascurabile la necessità di rispettare la sensibilità e talvolta anche la difficoltà da parte di alcuni a capire subito il senso di certi gesti. Intendiamoci: quella solidarietà è stata un bene per tutti. Ma la sua espressione nel contesto delle celebrazioni domenicali, o subito prima o subito dopo di esse, ma all’interno della chiesa, qualche aspetto problematico lo presenta. Si possono trovare modalità meno invasive ma ugualmente forti e significative. Non è necessario che l’abbraccio avvenga in chiesa, o domani in moschea».
Che dice della disputa sulla costruzione di nuove moschee in Italia?
«Dovremmo essere severi nel controllo dell’uso delle moschee ma favorevoli alla loro costruzione. La moschea semiclandestina in uno scantinato è più pericolosa, immagino, di una che opera alla luce del sole e nel rispetto di norme per la sicurezza in tutti i sensi. Ma soprattutto il musulmano che si vede negato il diritto a pregare in un luogo dignitoso è più vicino alla radicalizzazione di uno che si vede accolto in quell’esigenza prioritaria».
Le sue considerazioni non mi sembrano improntate a una percezione drammatica della situazione…
«Altro che! La situazione è drammatica ma vorrei pormi tra quanti cercano di non farsi schiacciare e di darne una lettura improntata a ragionevolezza e responsabilità . Chissà che questo dramma al quale tutti stiamo assistendo non ci aiuti ad andare un po’ oltre gratuite banalità e perverse strumentalizzazioni per aiutarci a fare qualche passo avanti sulla strada della integrazione vissuta in sicurezza. A riscoprire il valore del martirio, per esempio, che nulla ha a che vedere con la pazzia suicida dei kamikaze. E anche quello dei simboli e persino quello del pudore. Me lo lasci dire: trovo paradossale che ci allarmi una donna troppo vestita mentre sta facendo il bagno al mare!».
Luigi Accatoli
(da “il Corriere della Sera”)
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