INTERVISTA AL DOCENTE DI BIOETICA CORBELLINI: “LA XENOFOBIA E’ NEL NOSTRO DNA, LA SPECIE UMANA E’ PREDISPOSTA AL RAZZISMO”
“QUANDO IL BENESSERE E L’ISTRUZIONE VACILLANO, LE PERSONE TORNANO A ESERCITARE LA VIOLENZA PER PROTEGGERSI”
In certi momenti, ciascuno di noi sarebbe pronto a dare la caccia al nero: “La specie umana è geneticamente predisposta al razzismo. Per decine di migliaia di anni, i nostri avi hanno vissuto in bande di cacciatori che interagivano tra di loro scontrandosi, picchiandosi, uccidendosi. E uno dei criteri per distinguere immediatamente l’amico dal nemico era il colore della pelle, la fisionomia del volto, l’aspetto fisico. Lo straniero era di per sè una minaccia esistenziale: era un vantaggio evolutivo scattare subito nella posizione di allarme, pronto a colpire e a uccidere, se necessario. Nel fondo siamo rimasti come i nostri antenati. La xenofobia è nel nostro Dna. Certo, nei secoli siamo riusciti ad abbassare il tasso di razzismo, grazie al benessere e all’istruzione. Ma quando il benessere e l’istruzione vacillano, le persone tornano a essere quelle che sono state per millenni: uomini guidati dall’istinto che esercitano la violenza per proteggersi”.
Ordinario di storia della medicina e docente di bioetica presso la Sapienza di Roma, Gilberto Corbellini ha da poco pubblicato Nel paese della pseudoscienza. Perchè i pregiudizi minacciano la nostra libertà (Feltrinelli), un libro che mette in guardia dai pericoli che corre la nostra società , intossicata da una discussione pubblica nella quale circolano argomenti che non hanno nessun riscontro scientifico: “Nel secolo scorso, le tensioni sociali sono deflagrate in guerre fratricide. E le teorie cospirative diedero una grossa mano, per esempio nello sterminio degli ebrei. Sono cose che ci sembrano relegate nei manuali di storia, ma che invece possono accadere di nuovo. La democrazia non è per niente scontata. Anzi. Nei momenti di crisi, i pregiudizi hanno un potenziale di diffusione enorme. Inclusi i pregiudizi razziali. Nonostante la genetica abbia ampiamente dimostrato che le razze non esistono”.
Professore, la propaganda di Meloni e Salvini si rivolge all’antenato che è dentro di noi?
Entrambi parlano all’uomo basico, cioè alle persone che non hanno sviluppato sufficienti strumenti cognitivi e morali per tenere sotto controllo le proprie pulsioni più innate.
È questa la ragione del loro successo?
L’Italia è un paese nel quale il cinquanta per cento dei cittadini è analfabeta funzionale. Cito i dati dell’Ocse sul livello di alfabetizzazione degli adulti nel mondo occidentale. L’Italia è l’ultima della classifica. Salvini e Meloni parlano in maniera talmente chiara che riescono a farsi capire anche da loro. Mentre, invece, un politico come Zingaretti risulta per queste persone troppo complesso, oscuro.
Escluderebbe dal voto chi è analfabeta?
Ma certo che no. Però, oggi la parola democrazia è diventata un sinonimo della parola maggioranza, come se le due cose fossero identiche. Invece, non è così. La democrazia si regge due principi: uno è quello del voto, l’altro è lo stato di diritto. La maggioranza non ha sempre ragione. Anzi, la maggioranza può essere anche composta da una quantità enorme di persone che intende distruggere tutti i limiti che le istituzioni pongono all’esercizio del loro potere. Serve a questo la Costituzione: a impedire che il popolo faccia danni alla convivenza civile. È un principio, questo, che i populisti trascurano, tendendo a dimenticare che, prima di ogni cosa, tutti siamo sottoposti alla legge, in uno stato di diritto. Anche il popolo.
I populisti non hanno dato voce a chi ha pagato cara la crisi del 2007?
Le persone che votano per i partiti e i movimenti populisti hanno le loro ragioni, ovviamente. Il problema della disuguaglianza è un problema reale. Irreale è l’idea che le diseguaglianze possano essere eliminate una volta per tutte. Tanto è vero che, ogni volta che l’uomo ha provato farlo, ha creato solo degli inferni in terra. Pensi al comunismo, oppure al nazismo.
Ma i populisti hanno più semplicemente nostalgia dell’Italia di qualche decennio fa: o no?
Per un meccanismo psicologico, noi tendiamo a credere che il passato sia migliore del presente. Non c’è generazione di adulti che non si lamenti di come sono i giovani del loro tempo. Eppure, non è così. Io c’ero nell’Italia di allora. Le posso assicurare che non c’era niente che fosse migliore di oggi. Eppure, imperversa questo mito della meravigliosa società contadina. Falso. Io sono figlio di contadini, sono cresciuto in campagna, nella provincia di Piacenza. E le dico che succedevano cose orribili, ai tempi. C’erano mariti che si ubriacavano e picchiavano le mogli. C’erano figli dati ad altre famiglie e sfiancati di lavoro. Le persone trattate come cose. Ma di cosa stiamo parlando?
Ma chi ne parla, i populisti?
No, i populisti si appellano piuttosto ai valori della tradizione come il patriottismo, il familismo, etc. La nostalgia per l’economia del passato la coltiva la sinistra. Penso a Oscar Farinetti o a Carlo Petrini, che si sono arricchiti con la narrazione della decrescita, della Terra Madre e del cibo naturale di una volta. Io ricordo un passato ben diverso. E ho l’impressione che il mondo, da quando sono cadute le ideologie, si sia rifugiato in una nuova forma di pensiero magico: il passatismo: per cui ogni cosa che c’era ieri era meglio di ciò che c’è oggi.
Oltre a una parte della sinistra, chi ne è affetto?
Gli anziani sono le persone più predisposte a credere che le cose a cui essi sono affezionati hanno maggiore valore. Perciò, tendono a considerare le innovazioni del mondo contemporaneo come degenerazioni. Guardano i cambiamenti con sospetto. Il problema è che per andare avanti noi abbiamo un bisogno estremo di innovazione. E non aiuta avere a che fare con una popolazione che è sempre più anziana.
Gli toglierebbe il voto, come ha proposto Grillo?
Credo che Grillo sia una delle persone più distanti da me sia politicamente, sia culturalmente. Eppure, penso che in questo caso abbia ragione, almeno in parte. Su alcune cose che riguardano il futuro, noi anziani — mi ci metto dentro pure io, che ho sessantadue anni — non dovremmo influenzare decisioni che non capiamo.
In Emilia Romagna, per esempio?
No, in Emilia Romagna il problema è un altro.
Quale?
Che gli emiliani non possono dirsi in nessuno modo insoddisfatti dal modo in cui ha governato Stefano Bonaccini. Hanno un sistema sanitario eccellente. Un sistema scolastico ottimo. Delle infrastrutture che funzionano bene.
E dunque?
E, dunque, se gli emiliani voteranno per la Lega dimostreranno di essere dei campioni di autolesionismo.
Le sardine possono impedirlo?
Da emiliano, le dico una cosa: attenti, all’enfasi che si mette su questo movimento. È un movimento interessante, ma è soprattutto un movimento urbano, che fa proseliti nelle città .
E cosa c’è che non va?
Che l’Emilia Romagna è fatta anche di campagna, la campagna in cui sono nato e cresciuto, e dove credo che il messaggio di Salvini sarà molto più ascoltato che in città . Nelle campagna c’è una insoddisfazione dovuta a una stagnazione sociale. Occhio, sardine. Salvini non prenderà mai Bologna. Il problema è non fargli prendere tutto il resto.
(da “Huffingtonpost“)
Leave a Reply