L’ULTIMA PAURA DI PALAZZO CHIGI: “IL VIA LIBERA RINVIATO A SETTEMBREâ€, PESSIMO BIGLIETTO DA VISITA PER RENZI IN EUROPA
CONTINGENTARE I TEMPI E’ UNA DECISIONE CHE SPETTA AL PRESIDENTE DEL SENATO GRASSO
Il nemico è il tempo. I dissidenti, secondo Renzi, sono ormai un problema secondario.
Il punto è che con 8mila emendamenti è praticamente certo che la riforma del Senato non potrà essere approvata prima dell’estate e slitterebbe a settembre.
Tradotto: il premier e il suo governo dovrebbero rinunciare a una scadenza che è allo stesso tempo simbolica e impegnativa sul piano dell’affidabilità riformatrice dell’Italia. Per questo già oggi, nella conferenza dei capigruppo, bisognerà sondare il presidente di Palazzo Madama Piero Grasso.
Tocca a lui decidere quando e come far scattare il contingentamento dei tempi.
In parole povere, stabilire una data in cui l’esame del provvedimento deve concludersi con un voto.
Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi non si sbilancia. «Valutiamo giorno per giorno, è la strada migliore». Ma l’allarme a Palazzo Chigi è scattato ed è un allarme rosso.
L’obiettivo finora è stato quello di non strozzare il dibattito sfuggendo così alle possibili accuse di un confronto negato cvhe sottintende la polemica più generale sull’autoritarismo.
Sulla riforma costituzionale è escluso un voto di fiducia.
Dunque, la marea di emendamenti e l’ostruzionismo annunciato delle opposizioni mette a rischio non il sì finale ma i tempi ragionevoli del voto. Persino a settembre.
Ecco perchè nell’esecutivo sono certi che prima o poi il presidente del Senato dovrà intervenire stabilendo una fine della discussione. Ma quando ha intenzione di farlo? Prima o dopo la pausa estiva?
L’approvazione entro agosto è fondamentale per il premier, tanto più con il semestre di presidenza italiana in corso.
«Presentarci in Europa con le riforme fatte — spiega Renzi — significa rispondere alla domanda che lì ti fanno tutti: “Il vostro Paese è ancora riformabile?”.
Per questo mi cadono le braccia quando vedo i dissidenti del Pd, che in assemblea non parlano e non votano ».
In realtà il conteggio dei ribelli, di quelli cioè che sicuramente voteranno contro la riforma, si è stabilizzato intorno a una cifra irrisoria: 7 o 8.
Fanno parte di questo gruppo Chiti, Mineo, Mucchetti, Tocci, Micheloni, D’Adda e Casson, quest’ultimo addirittura in bilico.
Dall’altra parte, in Forza Italia, dopo il duro richiamo di Silvio Berlusconi e la minaccia di espulsione, si può dire con certezza che il fronte del no guidato da Augusto Minzolini non si allarga semmai si restringe.
Resta il nodo degli emendamenti che s’intreccia con ben 4 decreti in scadenza.
Ogni decreto da convertire, anche in caso di voto di fiducia (a questo punto scontato), porterà via almeno un giorno per ciascun provvedimento.
Quattro giorni di votazioni vanno considerati persi nel cammino della modifica costituzionale.
Negli uffici del ministero sono cominciate anche le valutazioni degli emendamenti. Ce ne sono molti simili che possono essere accorpati, altri verranno accolti dal governo e dalla maggioranza facendo risparmiare un po’ di tempo.
Ad esempio sulla quota di firme utili a chiedere un referendum e sui deputati europei inseriti nella platea dei grandi elettori del presidente della Repubblica. In questo modo si conta di eliminare un centinaio di proposte di modifica al testo base.
È una goccia nel mare di carte che ha sommerso gli uffici del Senato e del governo.
Non rimane che un intervento del presidente Grasso e della conferenza dei capigruppo dove comunque la maggioranza favorevole alle riforme è schiacciante.
La soluzione però non è facile.
La scelta fatta finora è quella di tenere il dibattito aperto e libero. Di non strozzare i dissensi. Di far esprimere soprattutto le opposizioni senza esporsi ad attacchi di carattere polemico non sul merito ma sulle “tagliole” imposte dall’alto alla democrazia e alle minoranze.
Bisogna vedere adesso se questa esigenza coinciderà con i tempi promessi dal governo. Tempi che Renzi ha tutta l’intenzione di rispettare.
Goffredo De Marchis
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