LA BUFFONATA DELL’AIR FORCE RENZI PER MASCHERARE LE CRITICHE CHE PIOVONO SUL GOVERNO
MEZZO GOVERNO IN CAMPO PER DISDIRE L’AEREO NEL DELIRIO DI OFFRIRE LO SCALPO DEL DITTATORE CADUTO… MA NESSUNO SI VERGOGNA DEI MILIONI PER LE MOTOVEDETTE REGALATE AI CRIMINALI LIBICI
Nell’hangar più grande di tutta Fiumicino si bolle dal caldo, ma Luigi Di Maio e Danilo Toninelli non sudano.
Preparano una grande operazione di propaganda studiata per mascherare le difficoltà e le critiche su piovono su nomine e provvedimenti del Governo.
Hanno la freschezza di chi sa di aver appena colto la rosa più bella del giardino dell’ex dittatore: a trenta metri c’è l’Air Force Renzi, il famigerato aereo che nella scorsa legislatura il Governo ha preso in leasing da Etihad.
I due ministri arrivano nei pressi dei giornalisti che li attendono, girano i tacchi e imboccano la scaletta che li porta a bordo. C’è un rumore assordante che si spande per il gigantesco capannone, proviene da una macchina refrigeratrice. “A bordo stamattina facevano 46 gradi, dovevamo rinfresca’”, spiega un addetto ai lavori.
Di Maio e Toninelli salgono, fanno una diretta Facebook ad uso e consumo del popolo della rete e delle redazioni che riprenderanno le parti salienti del monologo.
Nella carlinga la temperatura supera ancora abbondantemente i 30 gradi, ma ne escono immacolati e finalmente si sottopongono a qualche domanda dei giornalisti convocati al banchetto.
Non prima di aver riassunto in tre parole il senso di un’operazione di marketing politico-comunicativo messa in piedi quasi a sorpresa.
Sentite Di Maio: “Questo aereo è il simbolo dell’ancien regime, il simbolo di un regime che è caduto”. Forse un po’ troppo anche per lui, che stempera appena in tempo: “Non un regime dittatoriale, ma quello dell’arroganza di un potere mandato a casa dai cittadini”.
Vale la pena un attimo fermarsi, e capire il perchè di un’operazione che iperbolicamente sembra il disvelamento degli arazzi e degli ori dopo la presa del Palazzo d’Inverno, o l’esibizione catodica delle stanze del potere dopo la caduta di Saddam.
Il governo gialloverde ha “desecretato i documenti” (Toninelli dixit) relativi al leasing dell’apparecchio voluto da Matteo Renzi. E ha deciso di rescindere il contratto che lega lo Stato italiano con la compagnia degli Emirati Arabi.
Per questo il ministro delle Infrastrutture ha inviato una lettera ai commissari di Alitalia, mediatori dell’operazione, per procedere in tal senso (si parte venerdì con il primo incontro al Ministero, delegato al dossier il sottosegretario Armando Siri).
“Faremo risparmiare ai cittadini 108 milioni di euro”, ripetono all’unisono i due ministri pentastellati, esibendo lo scalpo dell’aereo.
Un messaggio facilmente veicolabile, perchè colpisce uno degli aspetti percettivamente più tracotanti di un’epoca, quella renziana, da una buona fetta della società ritenuta di per sè tale.
Così ecco la conferenza stampa convocata in fretta e furia. Appuntamento al terminal Voli di Stato di Fiumicino, pannelloni di legno alle pareti, scarsi o nulli segnali di tecnologia, una strana full immersion di qualche minuto in quello che potrebbe essere uno scalo internazionale del nord Africa a inizio anni Novanta.
Poi tutti su un pulmino, in direzione del guscio di plastica e acciaio che custodisce l’Airbus A340-500, all’estremità dell’aeroporto.
Talmente lontano che a un certo punto l’autista è costretto a fermare un collega e a chiedere indicazioni. All’arrivo c’è Paola Taverna che esibisce un sorriso infinito, lei che è stata la fustigatrice per eccellenza del fu premier per la vicenda, accompagnata dal capogruppo al Senato Stefano Patuanelli.
È un’operazione in pieno stile 5 stelle, ma si capisce da subito che è una mossa che vede coinvolto tutto il governo per cercare di spostare l’agenda dalle discussioni infinite sulla spartizione della Rai e delle Fs (e ancor prima di Cassa depositi e prestiti), sui dissidi tra i ministri, sulla lentezza del decreto Dignità , che procede pachidermicamente in Parlamento.
Si capisce perchè sul posto c’è Rocco Casalino, portavoce del premier Giuseppe Conte, e almeno quattro o cinque fra i giornalisti chiamati a recentemente a comporre il nutrito staff che gestisce la comunicazione di Palazzo Chigi.
Il Governo è deciso a spremere lo spremibile dalla vicenda, e ha aperto alcune linee di studio.
Quelle che condurrebbero dritti verso il tribunale. Da un lato per indebiti aiuti di Stato a una compagnia agonizzante come Alitalia. Dall’altro per danno erariale di chi ha firmato il contratto di leasing. È presto per definire i margini di procedibilità . Gli uffici competenti si sono posti come settembre la deadline per valutare il da farsi.
La questione è complessa. L’Air Force Renzi è stato affittato per 8 anni. 96 rate per un ammontare totale di 167 milioni di euro. 75 sono stati già versati (50 di rate più 25 per un’una tantum al momento della firma).
Gli uomini del premier forniscono dati che effettivamente raccontano di un’operazione senza molto senso: “Si deve considerare che è un tipo di apparecchio fuori produzione dal 2011, e che nel momento dell’acquisto valeva 27 milioni di euro. In più, al di là del costo totale, erano previsti i lavori di adattamento, visto che la configurazione interna è quella di un aereo di linea, per un massimale di 20 milioni di euro”.
I conti sono presto fatti. Basta sottrarre i 75 milioni già pagati ai 187 (167 + 20), ed ecco maturare un risparmio addirittura superiore a quello indicato dai due ministri, pari a 112 milioni di euro. Anche se a Palazzo Chigi non escludono di dover versare la penale per la rescissione anticipata del contratto (42 milioni di euro) per l’Airbus a340-500, mentre Toninelli è sicuro: “Non dovremmo farlo, l’articolo 24 del contratto di fornitura parla chiaro”.
I ministri accettano un paio di domande, strettamente relative alla vicenda, poi se ne vanno. Viene concesso un giro a bordo. Il mastodonte apre la sua pancia claustrofobica, fatta di corridoi non più larghi di un metro, una prima classe che più che dal 2011 sembra provenire dagli anni ’80, un’alternanza di ocra e marrone che intristisce il colpo d’occhio generale, stelle marine serigrafate alle paratie che nemmeno nel più sciatto dei due stelle della riviera romagnola.
“Finchè non ci installava dentro una Jacuzzi Renzi non lo voleva usare”, ironizza Di Maio andandosene. Ci fosse stata, forse lo scalpo da esibire avrebbe fatto più effetto. E giustificato il gran circo messo su per esibirlo.
(da “Huffingtonpost“)
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