“LA CONSULTA SULLA DECADENZA HA GIA’ DECISO”: ALESSANDRO PACE, DOCENTE DI DIRITTO COSTITUZIONALE ALLA SAPIENZA SMONTA LE TESI BERLUSCONIANE
“LA LEGGE SEVERINO NON E’ UNA NORMA PENALE, QUINDI IL PRINCIPIO DELLA IRRETROATTIVITA’ E’ INAPPLICABILE”…”LA CORTE SUPREMA SI E’ GIA ESPRESSA CON SENTENZA N.118 DEL 1994”
Finchè sono deputati o sottosegretari berlusconiani con un diploma magistrale in tasca a blaterare di “irretroattività ” e “incostituzionalità ” ci può anche stare.
Più inquietante è quando certi dubbi se li fanno improvvisamente venire presidenti emeriti della Consulta.
Sulla legge che dovrebbe chiudere le porte del Senato alle spalle del pregiudicato senatore Berlusconi, abbiamo chiesto lumi ad Alessandro Pace, professore emerito di Diritto costituzionale alla Sapienza.
Professore, proviamo a chiarire la questione dell’irretroattività della legge penale: è un principio applicabile alla legge Severino?
No, la cosiddetta legge Severino — e cioè il decreto legislativo 235 del 2012 —non è una legge penale in quanto non prevede autonome fattispecie di reato: si limita a prescrivere l’incandidabilità dei soggetti che siano stati definitivamente condannati per taluni gravi reati. Ne consegue che il principio costituzionale della irretroattività delle leggi penali (art. 25) qui non è rilevante.
Seguendo la tesi contraria, le conseguenze sarebbero paradossali?
L’incandidabilità prevista dalla legge Severino opererebbe con riferimento ai soli reati commessi dopo il 5 gennaio 2013, giorno successivo all’entrata in vigore del decreto. E poichè l’incandidabilità è prevista solo in conseguenza di sentenze definitive, ciò significa che, per i sostenitori di Berlusconi, la legge Severino comincerebbe a esplicare i suoi effetti non prima di cinque o sei anni. Il fatto che lo stesso decreto n. 235 preveda che la sua entrata in vigore debba avvenire il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale sta a significare che il legislatore riteneva che l’incandidabilità dovesse operare da subito.
La Consulta si è espressa su questo?
Sì. Con la sentenza n. 118 del 1994 la Corte affrontò, con riferimento alla legge n. 16 del 1992, il problema della legittimità costituzionale della “capacità di assumere e mantenere cariche di varia natura nelle regioni, nelle province, nei comuni ed in altri organismi di autonomia locale” sotto il profilo sia del citato art. 25 sia con riferimento al diritto di accesso alle cariche pubbliche (art. 51 comma 1) e al principio di eguaglianza (art. 3). Relativamente all’art. 25 — inesattamente chiamato in causa dai sostenitori dell’ex premier — la Corte negò recisamente che tale legge sollevasse problemi “di retroattività in senso tecnico, con effetti, cioè, ex tunc”. La Corte ritenne infondate anche le altre questioni di legittimità costituzionale.
Sulla base di quali motivazioni?
La Corte statuì che non fosse irrazionale prevedere l’incandidabilità “di chi sia stato legittimamente eletto prima della sua entrata in vigore”. Ciò deriverebbe dal giudizio di “indegnità morale” implicito nella condanna irrevocabile per determinati gravi delitti. Per la Consulta è quindi il giudizio di “indegnità morale” a rendere impossibile il “mantenimento delle cariche elettive in corso” al momento dell’entrata in vigore della legge (sia essa la legge n. 16 del 1992 oppure il decreto n. 235 del 2012).
Una tesi dei berlusconiani è che se la legge è retroattiva, è superata dall’indulto. Berlusconi è stato condannato a quattro anni, ma di fatto, beneficiando del-l’indulto varato nel 2006, la condanna si riduce a un anno. Tuttavia la legge parla di condanna e non di pena effettivamente da scontare, giusto?
Il rilievo è esatto. L’indulto, come la grazia, condona infatti “in tutto o in parte la pena inflitta” e la pena inflitta a Berlusconi non è di uno, bensì di quattro anni. Del resto la legge Severino si riferisce esplicitamente alla pena come irrogata dal magistrato e non alla pena che la persona condannata dovrà effettivamente scontare.
La questione “grazia” non è ancora definitivamente chiusa: lei pensa che si possa applicare?
Poichè il presidente Napolitano nella sua dichiarazione del 13 agosto ha detto che, nell’esercizio del potere di grazia, egli non prescinderà nè dalle norme di legge, nè dalla giurisprudenza nè dalle consuetudini costituzionali, il discorso dovrebbe ritenersi chiuso. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 200 del 2006, richiamata dallo stesso presidente, ha ribadito almeno quattro o cinque volte che, anche alla luce delle consuetudini costituzionali, il provvedimento presidenziale deve perseguire “finalità essenzialmente umanitarie”. Un passaggio, questo, che, ai fini del riconoscimento in esclusiva al Capo dello Stato del potere di grazia, era logicamente imprescindibile. Se invece la Corte avesse ritenuto possibili, ai fini della concessione della grazia, valutazioni di natura politica, il ruolo del ministro della Giustizia non avrebbe potuto essere pretermesso, non competendo al Capo dello Stato valutazioni di tale natura, spettanti ai ministri ai sensi dell’art. 89 della Costituzione.
Oltre alla legge Severino, c’è poi la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. I giureconsulti di corte sostengono che l’affidamento in prova ai servizi sociali la neutralizzerebbe. È così?
Direi proprio di no. L’affidamento ai servizi sociali costituisce l’alternativa alla pena principale — la detenzione — in ragione dell’età del condannato. L’affidamento ai servizi sociali non costituisce un’alternativa alle pene accessorie (l’interdizione ai pubblici uffici, l’interdizione all’esercizio di una professione, l’incapacità di contrattare con la Pubblica amministrazione ecc.) che hanno una funzione del tutto diversa e “conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa”.
Silvia Truzzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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