QUANDO NEL PDL TUTTI RIVENDICAVANO LA PATERNITA’ DELLA LEGGE SULL’INCANDIDABILITA'”
ALFANO: “IL DECRETO NASCE DA UNA NOSTRA PROPOSTA E LA PRIMA FIRMA E’ LA MIA”… ORA CHIESTO IL RICORSO ALLA CORTE COSTITUZIONALE PER EVITARE IL VOTO IN GIUNTA
Il premier Enrico Letta, sul finire dell’arroventata estate del suo governo, manda da Vienna un messaggio diretto al Pdl e a Silvio Berlusconi.
Intervistato dalla tv pubblica austriaca Orf2 il presidente del Consiglio chiarisce in quattro punti il perimetro politico del suo esecutivo.
Il primo: “Il mio — dice, con una certa forzatura della Costituzione — è un governo parlamentare di grande coalizione e deve la sua fiducia al presidente della Repubblica e al Parlamento e lavorerà finchè avrà la fiducia del presidente della Repubblica e del Parlamento”.
Il secondo: “Sono convinto che gli italiani sappiano i costi che avrebbe l’interruzione di un processo virtuoso che dà la possibilità di agganciare la ripresa. La ripresa è a portata di mano, sarebbe un errore non coglierla”.
Tre e quattro: “Mi fido del fatto che il partito di Berlusconi si assuma la responsabilità delle sue decisioni” e, in merito alle scelte del Pd (nel pomeriggio aveva avuto un incontro con il suo segretario Guglielmo Epifani), “quelle, per quanto mi riguarda, saranno le decisioni giuste!”.
Il Pdl, del resto, attraverso l’ex saggio e ora ministro caro al Colle Gaetano Quagliariello, ribadisce che la strada del ricorso alla Consulta sulla legge Severino è l’unica percorribile, in quanto Berlusconi è il primo parlamentare ad esserci incappato.
Usa parole alte, Quagliariello (pubblicate oggi sul Foglio): “Vi sono momenti nei quali dall’interpretazione di una norma di legge passa la sorte di un Paese. Si discuta dunque senza pregiudizi. Se la legge Severino non fosse stata figlia, come tante altre leggi mal scritte, di pagine di cronaca piene di scandali e del terrore della classe politica di restarne travolta, forse si sarebbe preteso che l’articolo 66 della Costituzione più bella del mondo, oltre a essere doverosamente citato, della norma costituisse senza ambiguità il faro d’orientamento”.
La richiesta di un passaggio alla Consulta, Renato Schifani l’aveva fatta due giorni fa al Meeting di Cl.
Deve essere quindi stato quel “terrore” di cui parla Quagliariello a fargli dire il 18 dicembre scorso: “Il Senato ha fatto la sua parte esprimendo il parere sull’incandidabilità , dando così una risposta pronta e celere a tutti i cittadini che vogliono dal Parlamento un’azione di contrasto ferreo del potere legislativo a questo male terribile”.
Fabrizio Cicchitto che ora constata la moltiplicazione “di prese di posizione dei più significativi esperti di diritto costituzionale o penale che pongono interrogativi sulla costituzionalità della legge Severino”, tredici mesi prima che Berlusconi venisse condannato in Cassazione per frode fiscale, parlava così: “Abbiamo affermato l’esigenza che l’incandidabilità riguardi le sentenze definitive”. E nemmeno quelle, si direbbe oggi.
Il 17 ottobre scorso poi il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri diceva della legge Severino: “Si tratta di un testo valido”. Oggi sostiene: “I dubbi sulla costituzionalità della legge Severino sono palesi. Chi nega l’evidenza alimenta un clima di scontro e si rende responsabile di un grave strappo istituzionale”.
A negare l’evidenza, lo scorso autunno, c’era anche Gaetano Pecorella, storico avvocato di Berlusconi e allora deputato Pdl: “È del tutto infondato l’allarme di incostituzionalità di una norma che prevedesse l’incandidabilità a seguito di una condanna definitiva intervenuta prima della legge all’esame del governo”.
E persino la pitonessa Daniela Santanchè, tra le più accanite sostenitrici del Cavaliere, a novembre lodava le liste pulite: “Va benissimo questo giro di vite sull’incompatibilità per rendere più credibile la politica”.
Negli stessi giorni Alfonso Papa, colto da spirito giustizialista, invitava a rendere incandidabile anche chi patteggia .
Era sempre il “terrore” a guidare le dichiarazioni entusiaste della vicepresidente dei deputati Pdl Isabella Bertolini (“Positivo l’impegno del ministro della Giustizia Severino sull’incandidabilità dei condannati alle elezioni. Deve essere approvato quanto prima. Le liste pulite sono il primo passo per una politica pulita” ). L’onorevole Luigi Vitali, che era membro della Commissione Giustizia del Pdl, ebbe a dire: “L’incandidabilità va stabilita per i condannati in via definitiva. Punto e basta!”.
Il ministro Nunzia De Girolamo si appellava alla legge per motivi più pratici: “Si può pensare ad apparentamenti con Miccichè — spiegava — perchè c’è una legge che prevede l’incandidabilità di coloro che hanno condanne passate in giudicato: per me vale quella”.
L’unico a capire fin da subito i potenziali pericoli della legge Severino fu stato Niccolò Ghedini, che dopotutto ha sempre anteposto il ruolo di avvocato di Berlusconi a quello di onorevole : “Quella di Monti è una legge contro Berlusconi”, sentenziava.
La medaglia d’oro per la dichiarazione (oggi) più scomoda va però al vicepremier Angelino Alfano, che lo scorso dicembre non solo elogiava la legge, ma ne reclamava pure la paternità : “Non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscere il decreto sull’incandidabilità perchè nasce da una nostra proposta che aveva come prima firma quella del sottoscritto. E non vi è alcun nesso con il nostro presidente che è colui il quale ha voluto questo disegno di legge e che ha la certezza di essere assolto perchè nulla ha a che vedere con i processi che lo vedono interessato”.
Beatrice Borromeo e Eduardo Di Blasi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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