LA GIUSTIZIA IN DISCARICA: A BUSSI NIENTE COLPEVOLI
PER I GIUDICI NESSUNO AVVELENà’ L’ACQUA DISTRIBUITA A 700 MILA PESCARESI, NONOSTANTE IL PARERE CONTRARIO DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITà€: 19 ASSOLTI
Il disastro ambientale l’hanno causato, sì, ma senza averne intenzione.
E nel frattempo è arrivata la prescrizione.
L’acqua sarà pure stata contaminata, come dimostrano le analisi dell’istituto superiore della Sanità , ma loro non l’hanno mai avvelenata: assolti.
Il processo sulla mega-discarica di Bussi e sul disastro ambientale causato dal polo chimico della Montedison — Ausimont vedeva imputate 19 persone, tra le quali dirigenti e tecnici della Montedison, ritenute responsabili dello sversamento dei veleni nelle falde acquifere.
L’epilogo
S’è chiuso con con 19 assoluzioni. Eppure, che fino al 2007 l’acqua sia stata “compromessa” e “contaminata da sostanze di accertata tossicità ”, l’aveva certificato l’Istituto superiore di Sanità .
Carta straccia — dobbiamo dedurne, in attesa della motivazione — visto che ieri la Corte d’Assise di Chieti ha assolto tutti gli imputati perchè il “fatto” — ovvero l’avvelenamento delle acque — “non sussiste”.
La sentenza arriva intorno alle 5 del pomeriggio, quando la Corte legge un dispositivo di sei righe che, da un lato, derubricano il disastro ambientale — dichiarandolo già prescritto — da doloso in colposo e, dall’altro, sentenziano che non vi fu alcun avvelenamento delle acque.
Sconfitta l’accusa, sostenuta dai pm Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli, può esultare la difesa.
E tra i vincitori, in questo processo, c’è una donna in corsa per la candidatura al Quirinale, Paola Severino, che difende Mauro Molinari, geologo e consulente della Montedison.
L’ex ministro aveva sostenuto in aula e davanti alle telecamere che “non è con i processi penali che si ottengono i risultati in tema di ambiente, non basta trovare il capro espiatorio”, aggiungendo che la responsabilità delle bonifiche deve essere estesa allo Stato.
La linea Severino — e degli altri difensori — ha evidentemente convinto la corte d’assise presieduta dal giudice Camillo Romandini, subentrato a Geremia Spiniello, ricusato perchè aveva osato dichiarare, in un’intervista, che la Corte avrebbe “reso giustizia al territorio”.
Un affermazione che, secondo i difensori, preordinava un giudizio di colpevolezza. Il “caso” Flick
La tensione nel processo è stata costante. Anche ieri mattina, quando in aula è stato menzionato il nome di un altro ex ministro che, seppure indirettamente, ha avuto un peso nell’ultima discussione: parliamo di Giovanni Maria Flick e del suo “parere pro — veritate” in materia di disastro ambientale.
Un parere che non gli è stato commissionato nell’ambito del processo Bussi, ma che ha scatenato una polemica arrivata comunque in aula, ieri, a pochi minuti dalla sentenza, con tutto il suo peso della sua analisi, considerata l’autorevolezza di chi lo firmava: il reato di disastro ambientale — sostiene Flick in sintesi — potrebbe risultare incostituzionale e aver bisogno, quindi, del parere della Consulta.
L’ex presidente della Corte Costituzionale, contattato dal Fatto quotidiano, non ha voluto rivelare chi gli ha commissionato il parere: “Non posso rivelarlo, ma vi assicuro che la richiesta non è giunta da nessuna delle parti in causa, del processo Bussi io non conoscevo neanche l’esistenza”. Flick — senza alcun riferimento espresso al processo Bussi — ha pubblicato il suo parere proprio sul sito http://www.penalecontemporaneo.it  : l’editore della rivista è l’avvocato Luca Santa Maria, difensore della Solvay che, in questo processo, s’è costituita parte civile contro la Montedison.
La rivista ha poi deciso di rimuovere il “parere” (non in quanto “incompatibile” con la linea difensiva di Santa Maria, come abbiamo scritto erroneamente nell’articolo di ieri) perchè la linea editoriale prevede di non pubblicare documenti redatti in favore o comunque su incarico di una parte processuale.
L’avvocato dello Stato Cristina Gerardis aveva sostenuto in aula che il parere di Flick fosse un “messaggio” alla Corte, ieri la difesa ha reagito ribaltando l’accusa, prima che la Corte si riunisse in consiglio per emettere la sentenza.
Il disastro ambientale c’è stato, sostiene la sentenza, ma soltanto colposo e comunque prescritto.
Nessun avvelenamento delle acque, invece, nonostante una mole di documenti e verbali di interrogatori raccolti dall’accusa certificassero il contrario.
Scienza e sentenza
I pm hanno sostenuto che alcuni imputati sapevano che l’acquedotto Giardino, a partire dal 1992, fosse stato inquinato.
E l’acquedotto riforniva acqua a un bacino di 700mila persone in tutta la Val Pescara. E ancora: documenti sul mercurio ritrovato nel 1972 nei pesci e nei capelli dei pescatori del porto di Pescara.
E le dichiarazioni di una dirigente dell’Arpa, messe a verbale dal comandante della Guardia Forestale, Guido Conti: “… è stata accertata la presenza di sostanze potenzialmente a rischio per la salute umana… Sarebbe stato necessario vietare l’erogazione e la distribuzione delle stesse acque…”.
Resta in piedi la partita per il ripristino ambientale dell’area. “Dall’esito di questa sentenza — dice l’avvocato dello Stato Gerardis che ha chiesto 1,8 miliardi di risarcimento — non dipende per lo Stato alcuna decisione per ottenere il ripristino ambientale dell’area: il procedimento del ministero dell’Ambiente, nei confronti della Montedison, pende tuttora davanti al Consiglio di Stato. È già pronta la citazione civile, nei confronti dell’azienda, per il ripristino dell’ambiente e gli eventuali danni economici laddove non fosse possibile fermare l’inquinamento”.
“Sulla discarica di Bussi — ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti — ricorriamo in appello. Chiediamo la condanna dei responsabili e il risarcimento per danni ambientali”.
Antonio Massari
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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