LA MANCANZA DI LIQUIDITA’ MORDE LE PICCOLE IMPRESE
LE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO SONO 416 E RAPPRESENTANO IL QUARTO GRUPPO BANCARIO ITALIANO…ANCHE LORO SONO COSTRETTE A TAGLIARE I PRESTITI
“Siamo gli ultimi a togliere le mani dal fuoco», dice orgoglioso Luca Barni, brillante direttore della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate, 19 sportelli tra varesotto e milanese laborioso.
«In questi mesi abbiamo continuato a fare la banca senza tagliare impieghi a imprese e famiglie. Ovviamente se il territorio soffre, noi soffriamo con lui…».
Un sacrificio che si paga salato: la sua Bcc chiuderà il 2011 con 1,2 milioni di utile, -79% rispetto al 2007, quando su 18 milioni solo 3 venivano messi a rettifica di valore. «Nell’ultimo biennio, il rapporto si è completamente invertito…».
All’altro capo del Lombardoveneto, il mitico Bepi Maset – dopo aver trasformato una banchetta trevigiana mono sportello (la ex cassa rurale di Orsago) in un istituto (Bcc della Marca) capace di accompagnare il boom della sinistra Piave – è stato strappato alla pensione dalla Bcc Monsile, lo tsunami richiede un timoniere esperto: «Restiamo in trincea – spiega il neo dg – anche se la crisi aumenta le sofferenze» in un territorio dove alcune imprese cominciano a non pagare la bolletta del gas e chiedono soldi in banca per saldare le 13esime ai dipendenti.
Nate dalle collette promosse tra contadini e artigiani dal parroco del paese, le Banche di credito cooperativo sono il presidio al centimetro dell’Italia dei campanili.
Non c’è praticamente distretto lombardo, veneto, piemontese, emiliano o trentino che non sia cresciuto accompagnato da una Cassa rurale in cui i soci siano diventati prima metalmezzadri e poi capitalisti molecolari.
Piccole, le 416 Bcc italiane lo sono sempre.
Ma raccolte in Federcasse hanno 1,1 milioni di soci, prestano quasi 140 miliardi di euro a famiglie e imprese sotto i 10 dipendenti (quota di mercato pari al 12%, che sale a 22% per quelle artigiane) e soprattutto nel triennio orribile 2009-2011 hanno continuato a pompare risorse (+9,7%) trasformandosi in sportellorifugio per le tante Pmi strozzate dal taglio dei fidi delle grandi banche.
Un ruolo prezioso riconosciuto da Bankitalia.
Per il vicedirettore generale, Anna Maria Tarantola, nella crisi il sistema ha rappresentato «un fattore di stabilità perchè ha garantito continuità nei prestiti alle piccole imprese, quando gli intermediari di maggiori dimensioni incontravano vincoli severi dal lato della provvista».
Sono stati anche gli anni della seduzione tremontiana, la suggestione della Banca del Sud e il riconoscimento politico del ruolo Bcc.
Un protagonismo virtuoso pagato a caro prezzo.
L’impatto della crisi del debito «è rilevante: la solidità è minore di 3 anni fa», ammonisce oggi Tarantola. Nei primi 9 mesi 2011 «la raccolta complessiva è aumentata dello 0,6% grazie al mercato interbancario, al netto si sarebbe registrata una diminuzione dello 0,3%».
Morale: il paracadute aperto su imprese e territori sta lasciando «visibili tracce nei bilanci».
La qualità degli attivi è molto peggiorata: «la crescita annua delle sofferenze supera il 35%…».
Basta un numero per riassumere tutto: nel 2007 il sistema Bcc faceva 4 miliardi di utili, nel 2010 sono crollati a 400 milioni (-90%).
Al netto della dozzina di banche commissariate dalla Vigilanza per «frodi», «inosservanza delle disposizioni in materia di trasparenza», «carenze nel processo di credito» o «nei controlli interni», per la prima volta ci sono Bcc sane che chiudono in rosso per la crisi.
Nel 2010 ben 9 su 40 nel ricco Veneto. Otto su 44 nella opulenta Lombardia.
Cose mai viste. «E quest’anno sarà peggio», assicura un banchiere cooperativo.
Ognuno in fondo ha le sue spine.
Se le grandi banche hanno problemi di liquidità perchè impegnate a ricapitalizzarsi, alle prese con i criteri contabili dell’Eba, i bond in scadenza e i titoli di stato da sostenere, al piano di sotto la galassia Bcc, polmone delle province industriali, sconta la scarsa redditività tipica di quando raccogli e presti soldi in un’economia in semi recessione.
Dove c’è molta cassa integrazione, il circuito dei pagamenti tra imprese è bloccato e aumentano i fallimenti (gennaio-settembre 2011 in Italia sono saltate 8.556 imprese, +8,7% sul 2010), costringendo decine di Bcc ad alzare i tassi di interesse per coprire le perdite.
Fino al difficile accesso alla liquidità messa a disposizione dalla Bce. Insomma difficoltà di redditività più che di capitale. «Il nostro patrimonio di vigilanza medio è pari al 14,1% contro il 9% di Intesa San Paolo, la migliore tra le big», assicura Barni. Il punto è che «ogni milione di utile in meno sono 20 di minore credito al territorio…».
Di qui la necessità di «una revisione profonda delle strategie e dei modelli operativi» come ha chiesto Tarantola.La creazione del Fondo di garanzia istituzionale è utile ma non basta. Ci vorranno economie di scala nei servizi. Fino al tabù delle fusioni. Dentro al sistema qualcuno comincia a parlarne. «Crescere per non morire…».
Marco Alfieri
(da “La Stampa”)
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