LA MANOVRA TRABALLA, TUTTI TAGLIANO LE STIME SUL PIL DEL GOVERNO DEI TAROCCATORI
SOLO + 0,2% NEL 2019… NUOVO SCONTRO CON L’UE SOTTO ELEZIONI
A nemmeno due mesi dalla conclusione del braccio di ferro tra Roma e Bruxelles che ha rivisto e corretto la manovra economica 2019, l’impianto italiano sui conti pubblici mostra già i primi innegabili segni di cedimento.
Oggi sulle bassissime stime di crescita del Belpaese hanno parlato in tre: la Commissione europea, seppure ancora con indiscrezioni (non smentite, domani la comunicazione ufficiale) che dicono di un drastico taglio al ribasso del pil, solo +0,2 per cento; l’Ufficio parlamentare di Bilancio che prevede una crescita dello 0,4 per cento; lo ‘staff report’ del Fondo monetario internazionale che conferma lo 0,6 per cento già rilevato dallo stesso Fmi e da Bankitalia qualche settimana fa.
Il tutto dopo la recessione tecnica certificata dall’Istat il 31 gennaio scorso (pil a -0,2 per cento per il quarto trimestre 2018). Un pil vicino allo zero sballa anche le previsioni sul deficit: sarà manovra bis?
Di certo, per ora, si può prevedere solo un altro confronto aspro con Bruxelles, per giunta man mano che si avvicinano le europee di maggio.
I dati di oggi rendono pericolante la struttura della manovra economica pensata dall’esecutivo M5s-Lega e rivista in accordo con l’Ue.
Rivedono sia le stime pensate dal governo, ma anche dalla stessa Commissione.
Dopo un lungo braccio di ferro, si erano accordati sull’1 per cento di crescita del pil: inizialmente Palazzo Berlaymont prevedeva 1,2 per cento contro l’1,5 per cento del governo che è stato costretto a scendere dello 0,5 per cento.
Ora nemmeno questo è sufficiente. Per quest’anno il pil resta vicino allo zero, dicono da Bruxelles spiegando che questo scarto al ribasso di ben 0,8 punti percentuali è dovuto all’assenza degli investimenti e delle privatizzazioni che il premier Giuseppe Conte aveva promesso in autunno.
Di fatto, a meno di quattro mesi dalle europee di maggio, dopo aver evitato la procedura europea per debito eccessivo al fotofinish della trattativa sulla manovra, è scattato l’assedio nei confronti del primo governo populista tra i paesi fondatori dell’Ue, un governo che evidentemente non riesce a uscire dalla spirale di conti in negativo.
E’ facile immaginare un nuovo scontro tra Roma e Bruxelles sui conti pubblici.
I prossimi mesi, da qui al voto del 26 maggio, sono lastricati di date insidiose.
Per citarne due: il 22 febbraio l’agenzia di rating Fitch farà una nuova valutazione sul sistema Italia (ora è Bbb con outlook negativo).
Ma soprattutto a marzo, la Commissione europea pubblicherà le relazioni paese per paese, con l’esame approfondito sugli squilibri macroeconomici e già in quella sede potrebbe formulare le sue raccomandazioni per i paesi che a dicembre sono stati messi sotto osservazione: tra cui l’Italia.
Insomma, prima delle europee l’interrogativo sulla necessità di una manovra-bis potrebbe arrivare ad una stretta finale: potrebbe costare fino a 8-9 miliardi di euro.
Una cifra di poco inferiore rispetto alle due misure-bandiera del governo gialloverde: il reddito di cittadinanza, per cui è prevista quest’anno una spesa di circa 5,9 miliardi di euro, e quota 100, per cui sono stati stanziati nel 2019 poco meno di 4 miliardi.
Giorni fa, commentando il dato Istat, il ministro dell’Economia Giovanni Tria ha escluso una manovra correttiva. Ma nessuno oggi è pronto a giurarci su: nè a Roma, nè a Bruxelles. Sarà una trattativa economica, certo, ma anche molto politica, soprattutto sotto elezioni: ancora una volta i conti pubblici potrebbero finire nel menu dello scontro tra europeisti e populisti, partiti tradizionali e partiti euroscettici.
Il punto è che un pil pari a zero sballa anche le altre cifre della manovra.
Per esempio quel 2,04 per cento di deficit, rivisto anche (e soprattutto) questo al ribasso dopo uno scontro di due mesi con la Commissione: inizialmente il governo lo voleva al 2,4 per cento.
Ora, con una crescita vicina allo zero, anche il deficit è destinato a schizzare in alto. Oggi l’Fmi lo prevede già al 2,1% del pil nel 2019 e vicino al 2,9% nel 2020, al 3% nel 2021 e sempre su questo livello nel 2023.
A meno che non venga calmierato dagli aumenti dell’Iva previsti nelle clausole di salvaguardia. Non un bel biglietto da visita per il governo: significa maggior peso sulle spalle dei consumatori, peraltro con effetti controproducenti sulla stessa crescita.
Oggi ha rivisto le sue previsioni di crescita anche l’Ufficio parlamentare di bilancio, istituito nel 2012 per decisione comunitaria in ogni paese membro per monitorare le leggi di bilancio, il primo bocciare la manovra economica del governo Conte nella sua versione originale lo scorso autunno.
Per l’Upb, il pil quest’anno non va oltre lo 0,4 per cento in più rispetto all’anno scorso. L’andamento dell’economia è “ancora debole nel trimestre in corso”, scrive l’Upb, segnalando un Pil “stagnante o debolmente negativo”. Anche se, continua, “la domanda aggregata riprenderebbe gradualmente vigore nei trimestri successivi, in misura più intensa a partire dall’estate, sostenuta dalle misure espansive previste nella manovra di bilancio”.
Quanto al Fondo monetario internazionale, il suo rapporto Article IV sull’economia italiana conferma quanto lo stesso Fmi aveva segnalato il 21 gennaio scorso: Pil al +0,6% per quest’anno, al +0,9% per il 2020, +0,7% nel 2021 e +0,6% sia nel 2022 che nel 2023.
Le motivazioni rispecchiano quanto trapela da Bruxelles. L’Italia cresce poco perchè, scrive l’Fmi, “si trova di fronte ostacoli come il rallentamento della crescita della zona euro e la maggiore incertezza della politica interna”. La cura: “Per aumentare la crescita potenziale” e “ridurre il divario di reddito con i suoi pari dell’area dell’euro”, oltre che “per facilitare una riduzione del suo elevato debito pubblico”, l’Italia dovrebbe rimuovere gli “impedimenti strutturali di lunga data alla crescita della produttività ” e “ciò include il decentramento del regime di contrattazione salariale, la liberalizzazione dei mercati dei servizi e il miglioramento del clima degli affari”.
(da “Huffingtonpost”)
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