LA NUOVA MOSSA DI RENZI: SE NON E’ VOTO A GIUGNO, DIMISSIONI E CONGRESSO ANTICIPATO
I BERSANIANI SPIAZZATI CERCANO DI PRENDERE TEMPO
Se non si possono anticipare le elezioni a giugno, allora si anticipi il congresso del Pd. Quando? Subito: prima delle amministrative.
Prima di tornare a Firenze, Matteo Renzi lascia ai suoi questo ventaglio di opzioni per uscire dall’impasse nella direzione Dem di lunedì.
La prima ipotesi resta la preferita. E, mentre in Parlamento quasi tutti pensano che sia invece fallita, il segretario non a caso la spiegava per bene ieri ai suoi interlocutori.
Il senso del voto a giugno sta nel fatto che il Pd non può permettersi di bruciare un leader che, stando ai sondaggi che arrivano al Nazareno, resta ancora il più popolare, è il ragionamento di Renzi, riferito a se stesso naturalmente.
Ma se il voto a giugno non scatterà , allora il segretario è pronto a chiedere il congresso subito, in modo da celebrarlo entro maggio o addirittura aprile, magari con una semplificazione delle procedure da decidere e votare a maggioranza in assemblea.
E’ per questo che stamane i fedelissimi renziani – da Alessia Morani a Andrea Marcucci, David Ermini e altri — si sono scatenati su twitter con l’hashtag #congressosubito
Il congresso? “Famolo! Che dobbiamo aspettare? Se non si vota subito, domani. Perchè aspettare giugno? Non credo ci debba essere una fase di attesa”, dice David Ermini.
E’ il piano B per uscire dall’angolo. Un piano B che non esclude a priori il lato A, cioè le urne a giugno.
“Renzi non vuole rimanere sulla graticola da qui al 2018, se si voterà l’anno prossimo”, dice un fedelissimo. “Ma se si fa subito il congresso e però si determinano anche le condizioni per votare a giugno, perchè no?”.
Tra le opzioni sul tavolo c’è anche quella di presentare le dimissioni da segretario per aprire subito il congresso.
“Non c’è rischio che l’assemblea elegga un ‘reggente-segretario’ al suo posto”, spiega un renziano della prima ora. In effetti il Pd ha già avuto due segretari (il reggente non esiste da statuto) eletti dall’assemblea e non dalle primarie: Dario Franceschini e Guglielmo Epifani.
“Ma abbiamo la maggioranza dei delegati: se il segretario si dimette, si va al congresso subito con il segretario dimissionario — aggiunge la fonte renziana — Così vediamo la base da che parte sta. I nostri si galvanizzano alla sola idea del congresso subito”.
La mossa prende in contropiede l’alleato di maggioranza nel Pd, Dario Franceschini, convinto fino a ieri di essere invece riuscito ad avviare il dibattito sulla legge elettorale in Parlamento sulla base del premio di coalizione, gradito a molti a cominciare dai centristi. Ma Renzi, che non è per niente convinto del premio di coalizione, sta provando a far saltare il banco, partendo dalla constatazione che “invece in Parlamento non ce ne sono passi in avanti sulla legge elettorale”.
Perchè il suo obiettivo principale è non perdere tempo, muoversi per evitare che gli avversari riescano a “cucinarlo a fuoco lento”, dice una fonte che ieri ci ha parlato, accelerare laddove gli altri frenano.
Il segretario non è convinto del ritorno alle coalizioni e lo ripete, anche alla luce dell’intervista di Massimo D’Alema che oggi su Repubblica ricorda e loda la stagione dell’Ulivo. “Abbiamo fatto tanto per fare il Pd, ora invece c’è chi vuole tornare al passato delle coalizioni…”, è il ragionamento del segretario.
Sulla via del congresso anticipato, Renzi sa che troverà l’ostacolo ‘Pierluigi Bersani’. Non a caso ieri l’ex segretario ha già detto che “il congresso non si può fare senza prima sapere quale legge elettorale hai”. “No ad avventure, no ai plebisciti. Basta col tardo blairismo”, dice Roberto Speranza al termine di una riunione dei bersaniani alla Camera.
Ma Gianni Cuperlo invece apprezza: “Se il dado è tratto io dico bene il congresso. L’ho chiesto dal 5 dicembre convinto che di fronte alle sconfitte subite e ai problemi di milioni di persone il Pd doveva restituire a iscritti, militanti, elettori pensiero e parola. C’è un centrosinistra da ricostruire e un partito da rigenerare. Non è facile ma con una vera partecipazione dal basso ce la possiamo fare”.
A questo punto, lo ‘show down’ è dietro l’angolo.
Per arrivare al voto a giugno, Renzi mette nel conto anche una battaglia parlamentare contro la manovrina annunciata dal governo per rispondere alle richieste della Commissione europea di rientrare di 3,4 miliardi sul deficit.
Ci saranno gli aumenti delle accise su tabacchi e benzina. E proprio su questo il segretario conta di recuperare il consenso perduto nel partito. “No a nuove tasse”, ripete.
Ma nei gruppi parlamentari, oltre ai suoi, chi lo seguirà ?
La lettera dei 41 senatori a sostegno del governo Gentiloni è stata ricevuta al quartier generale renziano come una sorta di avvertimento.
Della serie: a Palazzo Madama l’incidente per far cadere il governo non passa.
Anche perchè, lettera a parte, al Senato le truppe di Renzi e Orfini sono ormai risicatissime. La maggioranza del gruppo si è molto avvicinata al senatore a vita Giorgio Napolitano, alfiere del voto nel 2018 fin dall’inizio di questa storia.
(da “Huffingtonpost”)
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