LA PROCURA DI ROMA: “BEFFA GIGANTESCA SUI DIESEL ITALIANI”
“LE INDAGINI CONFERMANO PERICOLI PER LA SALUTE E AUTORIZZAZIONI ANOMALE”
Sostiene Gian Luca Galletti: “Se scopriremo che anche in Italia sono state vendute auto dotate di un software per ingannare i controlli sulle emissioni sarà inevitabile far scattare il blocco delle vendite, ma non abbiamo avuto nessun sentore che questa pratica sia diffusa anche nelle altre case automobilistiche, quindi per ora riteniamo superfluo chiedere informazioni”.
Il ministro dell’Ambiente deve essere un uomo distratto.
Come vedremo, in Italia la situazione è la stessa denunciata negli Usa: “Una gigantesca beffa ai danni dei cittadini e dell’ambiente”, nella chiusura di un dispositivo datato 30 giugno e inviato a Galletti dieci giorni dopo dalla Procura di Roma.
In sostanza: auto diesel vendute come ecologiche inquinano in realtà più delle altre grazie a decreti legislativi scritti apposta per favorire i costruttori, applicati in modo scorretto dal ministero dei Trasporti e nel totale disinteresse di quelli della Salute e dell’Ambiente. L’8 luglio, infatti, Galletti e i colleghi Graziano Delrio e Beatrice Lorenzin hanno ricevuto una lettera di Giuseppe Pignatone, capo della Procura di Roma.
Nella missiva — letta dal Fatto Quotidiano — il magistrato rivela ai tre ministri che le indagini dei pm di Roma “confermano” tutti i dubbi sui Filtri antiparticolato (Fap) montati sulle auto diesel per ridurre le emissioni: il Fap, scrive Pignatone, “oltre a immettere nell’aria altre sostanze nocive, determina la trasformazione del particolato in nanoparticolato, ossia polveri sottilissime non misurate dai dispositivi di monitoraggio in uso, ma ben più nocive per la salute umana”.
Risultato: i dati ufficiali sono falsati.
Non è come il caso Volkswagen?
Il regalo a Pirelli e Iveco, la complicità dei governi “La normativa di settore — scrive Pignatone — è stata scritta chiaramente per consentire l’omologa di sistemi tipo Fap” e ha penalizzato altri sistemi.
Non solo: “Il rilascio delle omologhe (autorizzazioni, ndr) dei Fap è avvenuto per anni, e si ha modo di ritenere che avvenga ancora, senza alcuna verifica del corretto funzionamento dei suddetti sistemi nel lungo periodo”.
E ancora: “Il ministero dell’Ambiente, così come quello della Salute, non risultano aver mantenuto alcuna interlocuzione con quello dei Trasporti nella fase di attuazione della normativa”.
E infine: non esiste al ministero dell’Ambiente “alcuno studio specifico relativo all’impatto concreto dei Filtri antiparticolato sulla qualità dell’aria e la salute umana”.
E il ministro dell’Ambiente? Niente, non ha “sentore” che qualcosa non vada.
Pure per quanto riguarda il passato, peraltro, il dicastero di Galletti non fa una bella figura.
Dal 2008 in poi — cioè da quando una normativa europea previde il taglio delle emissioni — si è limitato a eleggere i Fap a tecnologia ufficiale per l’Italia: “Una volta preso atto che esistevano prototipi di filtro in grado, secondo i costruttori, di abbattere la massa di particolato, l’attività del ministero è consistita nel cercare di creare una procedura — di concerto col ministero dei Trasporti — perchè potessero essere verificati gli effetti dei suddetti filtri e potessero essere omologati”, ha detto ai magistrati l’ingegner Fabio Romeo della Direzione generale per le Valutazioni Ambientali.
E chi sono i produttori?
“Essenzialmente due — scrive Pignatone — Pirelli Eco Tecnology e Iveco Spa”.
Il calvario della Dukic e le perizie agli atti
Torniamo ai decreti interministeriali del 2008. Allora, per legge, tutti i mezzi diesel dovettero montare i Filtri antiparticolato.
Questo sistema permetteva agli 11 milioni di veicoli diesel esistenti all’epoca di “avanzare” la loro classe ecologica sul libretto di circolazione: da euro 2 a euro 4-5. I nuovi mezzi, invece, escono dalla fabbrica già con i filtri montati.
A differenza di Pirelli — che divenne subito monopolista di un mercato dei filtri che valeva 20 miliardi di euro — la Dukic Day Dream ha sviluppato un dispositivo che agisce a monte del processo di emissione, nella fase di combustione: brucia, anzichè filtrare. Come annotano gli inquirenti romani, che nel 2014 hanno ereditato un’indagine della Procura di Terni che coinvolge 5 dirigenti del dicastero dei Trasporti, mentre il ministero concedeva l’omologazione ai Fap di Pirelli e Iveco senza la prova di durabilità (la resistenza nel tempo), la negava al sistema 3D di Dukic.
Ora l’inchiesta è in attesa di essere valutata dal Gip, dopo che il pm Giorgio Orano ha chiesto l’archiviazione perchè la vicenda, scrive, si è sviluppata per un grave difetto normativo e non per una cospirazione contro Dukic dei dirigenti inquisiti per falso e abuso d’ufficio.
Quella “cospirazione” che, per il pm di Terni Elisabetta Massini, aveva garantito “ingiusti profitti” a Fiat, Iveco e Pirelli. La Dukic ha presentato opposizione, forte anche della lettera del procuratorePignatone citata all’inizio.
Orano stigmatizza, comunque, l’atteggiamento dei ministeri di Ambiente e Salute, che hanno avuto un ruolo “nullo” nella vicenda.
I Trasporti ne escono peggio: “Rilevo nel comportamento tenuto dal ministero incongruenze talmente evidenti e gravi da poter essere difficilmente ritenute mere negligenze o incompetenze, soprattutto se relazionate alla ragguardevole competenza tecnica, sperimentale e normativa da sempre posseduta dalle strutture di prova della Motorizzazione Italiana”, scrive Giordano Franceschini, ordinario di Bioingegneria industriale all’Università di Perugia, in una perizia per la Dukic srl.
Il riferimento è alla cosiddetta prova di durabilità sui dispositivi anti-inquinamento, cioè sulla loro capacità di funzionare nel tempo: che i filtri Pirelli e Iveco continuino a funzionare bene anche dopo 50mila km lo dicono i produttori, ma nè la Motorizzazione, nè il ministero hanno effettuato prove.
Le conseguenze: uno studio di Transport and environment (T&E) ha rivelato che il gap fra i controlli in laboratorio e quelli su strada è passato in media dall’8% nel 2001 al 31% nel 2013 per il trasporto privato (e il trend dice 50% nel 2050).
Marco Palombi e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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