LA SANTA ALLEANZA DI GUSSAGO, BRANCALEONE-RENZI ALLA GUERRA CON SANCHO PANZA SQUINZI
IL PREMIER PRENDE A SBERLE IL SALOTTO DI CERNOBBIO: “STO CON CHI LAVORA” E QUINDI ESCLUDE SE STESSO CHE HA VISSUTO SOLO GRAZIE ALLA POLITICA… ATTACCA POI GLI STATALI (“C’È GRASSO CHE COLA”) E I SOLITI “GUFI”
Gussago contro Cernobbio, chi lavora contro quelli che sfruttano il lavoro, chi vuole far ripartire l’Italia contro la burocratja.
Ci sono persino le “riforme fatte con amore”: e qui siamo davvero a un passo da “l’Italia che ama contro quella che odia” di quando c’era lui.
Matteo Renzi, si sa, ha bisogno di un nemico per individuare la sua proposta — e la sua platea — politica: anche se con parole meno novecentesche, ieri ha riproposto la veltroniana “alleanza dei produttori” contro la rendita, i salotti, gli statali, “i gufi”. Messaggio poi diffuso lungo tutta la catena alimentare, tanto che il responsabile economia del Pd, Filippo Taddei, lo ripeteva poche ore dopo: “Ridare dignità al lavoro attraverso la restituzione fiscale”.
Traduzione di Pier Carlo Padoan: “Dobbiamo fare la spending review essenzialmente per confermare gli 80 euro” e “tagliare il cuneo sulle imprese”.
Matteo Renzi — mentre a Cernobbio sfilavano le grisaglie dell’odiato “capitalismo di relazione” con contorno di AlexisTsipras e Gianroberto Casaleggio — è andato a dichiarare la sua guerra alle Rubinetterie Bresciane di Gussago, Brescia, nuova fabbrica di Aldo Bonomi: “Il Forum Ambrosetti? Io vado da chi s’è rotto la schiena creando settori in cui l’Italia è leader”.
Accanto al premier, non meno simbolicamente, c’è il capo degli industriali Giorgio Squinzi: “Cernobbio è una fiera delle vanità , sono abituato a stare in fabbrica”.
Le truppe, insomma, sono schierate: accanto al governo si installa quel pezzo di impresa italiana che vive di export, avverte meno la crisi e si aspetta dall’esecutivo — in cambio del grazioso appoggio — una riforma del lavoro che in sostanza scardini diritti e contratto nazionale (tradotto: un taglio dei salari reali) da un lato, una più sostanziosa riduzione dell’Irap dall’altro.
E a questo che si riferisce Squinzi dicendo “grazie a chi farà le cose concrete”.
La Santa Alleanza di Renzi con l’industria esportatrice e quel pezzo di mondo del lavoro che riuscirà ad attirare ha altri bersagli oltre al malandato “salotto buono” di Cernobbio: l’Europa, gli statali e il sindacato sono gli altri apparati della conservazione, “quelli che dicono che non ce la faremo e sono trent’anni che stanno negli stessi posti”.
Si parte dai tagli: “Vanno fatti anche nella Pubblica amministrazione, che finora non ha fatto sacrifici: c’è troppo grasso che cola”.
Evidentemente sottrarre 20 miliardi in 5 anni ai salari pubblici, bloccare il turn over e un triennio di tagli continui per Renzi non è “fare sacrifici”.
È su questo terreno — in cui spera nel sostegno dell’opinione pubblica più reazionaria, quella cresciuta a “pane e fannulloni” — che il governo s’appresta alla battaglia col sindacato.
È solo il primo atto: i confederali poi dovranno digerire anche il Jobs Act, vale a dire l’unica “riforma strutturale ” (a parte i tagli) che interessa a Bruxelles: “Se facciamo questo — ha detto Padoan — non dovremo chiedere flessibilità : ce la daranno e basta”. E qui c’è il problema di Renzi: la credibilità nei confronti di chi dà le pagelle.
Ieri il premier ha scandito — con tono marziale — che il suo esecutivo “le riforme le farà costi quel che costi”.
Josè Barroso, ancora per qualche settimana presidente della Commissione Ue, non ne è tanto convinto: “Sino ad ora ci sono stati molti annunci ma ancora nulla di concreto. Questa è la realtà ”, ha messo a verbale proprio da Cernobbio.
Poi, nel caso non fosse chiaro: “Voglio rendere onore a Monti e Letta per le riforme che hanno fatto: ora si completi il percorso”.
Sprezzante il presidente di Generali, Gabriele Galateri: “Un governo ha il 40% di sostegno perchè la gente vuole che faccia le cose oltre a dirlo con entusiasmo e capacità . Le riforme sono impopolari? E il prezzo di fare le cose”.
Ecco, decisamente a palazzo Chigi non si preoccupano delle parole di Galateri e poco gli interessa pure di quelle di Barroso, però hanno individuato un problema: la macchina dei ministeri non è fedele e lo staff di Renzi — che per il premier è tutto il governo — non basta a tenerle testa.
La grande burocratja ministeriale dunque, con cui da mesi è in atto una guerra sorda, è un altro pezzo dell’esercito nemico: forse per questo ieri il Corriere della Sera ha ripescato una notizia sul tema.
Nella legge delega sulla P.a. approvata a giugno, all’articolo 7, è contenuto il rafforzamento dei poteri della presidenza del Consiglio nei confronti dei ministeri: in sostanza la statuizione legale di quella “cabina di regia” che Renzi non riesce ancora a costituire a palazzo Chigi.
Ora, però, arriva l’autunno della Finanziaria, dei tagli, delle riforme ovviamente strutturali: non è il momento di essere gentili.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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