LA SPADA DI DAMOCLE SU DI MAIO: IL LIMITE DEI DUE MANDATI
DIETRO L’ACCELERAZIONE SUL VOTO SUBITO, L’ESIGENZA DI SCAVALLARE IL LIMITE… MA GRILLO NON VUOLE ELIMINARE LA REGOLA
C’è un motivo che esula dall’imbuto della formazione del governo e dalle facili ironie sull’approssimata conoscenza dei meccanismi istituzionali per il quale Luigi Di Maio lunedì ha chiesto che si vada al voto, e ha posto come deadline giugno.
Nella grammatica lessical-regolamentare del Movimento 5 stelle ha un nome chiaro: limite di due mandati.
Il capo politico è tornato oggi ad attaccare su Twitter Matteo Salvini e il suo indissolubile legame con Silvio Berlusconi. Concludendo così il suo messaggio: “Si torni subito al voto!”.
Spiegano fonti vicine al leader che la richiesta delle urne a ridosso dell’estate è un’uscita ad alzo zero per ottenere in realtà che le elezioni si ripetano a ottobre.
Non scavallando l’anno, senza trascinarsi fino a primavera inoltrata del 2019, magari in concomitanza con le europee.
C’è una questione di gestione della fase politica. I vertici 5 stelle contattati in mattinata la mettono giù chiaramente: “Niente governo di scopo per cambiare il Rosatellum, torniamo a votare con la legge elettorale che c’è, e sarà un ballottaggio di fatto tra noi e la Lega”.
Una mossa determinata da una convinzione: “Sappiamo che Salvini ha contattato Matteo Renzi, e gli ha assicurato che non si andrà al voto a breve”.
Il sospetto di grandi manovre per consegnare ancora una volta il Movimento all’irrilevanza chiassosa dell’opposizione.
Uno spauracchio per chi ha puntato tutte le sue carte su Palazzo Chigi. Ma soprattutto un’enorme preoccupazione: un governo si sa quando parte, ma non si sa mai quando giungerà alla fine.
Generando un problema non di poco conto per l’intero universo stellato. Una cosa appare chiara: se si votasse entro l’anno, si avrebbe gioco facile a considerare la legislatura come mai nata, e il mandato di fatto non espletato.
Di conseguenza la posizione di Di Maio come candidato premier sarebbe blindata. Con la sua, anche quella di tutta una classe dirigente intermedia che è maturata nel corso della XVII legislatura. Un patrimonio di reti e di competenze che sarebbe molto complicato rimpiazzare in blocco.
Per dare un’idea della portata del ricambio: cadrebbero le teste dei due capigruppo, Danilo Toninelli e Giulia Grillo; quelle delle vicepresidenti di Camera e Senato, Maria Edera Spadoni e Paola Taverna; quelle degli uomini più vicini al leader, Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro e Stefano Buffagni.
Ma la lista potrebbe continuare a lungo. Una vera e propria discussione interna non è partita. Ieri, per primo, l’ex componente del Direttorio, Carlo Sibilia, si è detto certo che in caso di collasso del sistema a breve l’amico Luigi sarà ricandidato alla guida del Movimento.
Ma l’argomento scotta, e va trattato con estrema prudenza. Perchè fa parte di quel bagaglio d’eredità di Gianroberto Casaleggio che rischia di bruciare come un tizzone ardente le mani di chi lo maneggia.
L’inner circle di Di Maio guarda già in prospettiva. E sa che revocare la regola per una legislatura che durasse dodici o più mesi avrebbe un prezzo salatissimo. Sia dal punto di vista interno, sia da quello elettorale. Spiega chi ha accesso alle stanze dei bottoni che “in extrema ratio lo si potrebbe fare, ma rischieremo di pagare uno scotto salato alle urne, saremmo percepiti come tutti gli altri”.
Ciò nonostante non si esclude che la strada possa essere quella. Ma la si vuole evitare a tutti i costi.
Anche perchè gli umori del Movimento registrano la forte contrarietà di Beppe Grillo a intaccare il sistema regolamentare costruito negli anni e esibito senza sosta come medaglia al petto dei 5 stelle.
Un conto è avere l’ex leader silente, un altro — deflagrante — sarebbe vederlo apertamente criticare una scelta della nuova dirigenza. Con effetti che potrebbero essere sanguinosi.
Preoccupa il caso di Fabio Fucci. Eletto con il Movimento nel consiglio comunale di Pomezia, stette in carica poco più di un anno prima della caduta della giunta di centrodestra. Dopo aver vinto come sindaco le elezioni del 2013, gli è stato negato un secondo tentativo da primo cittadino. Pietra d’inciampo, proprio la famigerata regola. Finale della storia: Fucci è uscito e si è ricandidato con una lista civica, con la quale ha serie possibilità di essere confermato.
Tra i vertici c’è anche chi la mette giù così: “Casaleggio aveva la grande capacità di sperimentare e innovare. E una profonda intelligenza politica. Se vedeva che una cosa non andava bene, la si cambiava con grande maturità e visione delle cose”.
Altri rispondono che la forza del Movimento sta proprio lì, nel non creare politici di professione ma garantire un ricambio continuo.
L’inesperienza come elemento qualificante di normalità , che scatena un processo di identificazione e non subalternità tra votante e votato. La discussione si muove carsica, ma uscirà presto a galla.
Gira da un po’ una proposta di mediazione. Quella che prevedrebbe di separare il cumulo di mandati delle amministrazioni locali con quelli dei parlamenti, nazionale ed europeo. Una soluzione che tuttavia non salverebbe nessuno dei vertici, a partire dallo stesso Di Maio.
Il leader sa che rimanere impelagati, anche da opposizione, in un governo appena più che balneare rischia di minare la sua leadership ancor più che il dissolversi del progetto di Palazzo Chigi.
Considerazioni che necessariamente si affiancano a quelle politiche, che cercano di capitalizzare il consenso di marzo con un altro giro a breve, cercando di evitare la prospettiva di una conventio ad excludendum.
Magari avendo portato a casa qualche risultato sui vitalizi, mostrina utile sulle spalle di chi gira in campagna elettorale e parziale antidoto propagandistico alla caduta del limite dei due mandati.
Meglio a ottobre, al più tardi. Alla soglia del 2019 si addenserebbero nuvoloni minacciosi.
(da “Huffingtonpost”)
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