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L’AGONIA DELLA CLASSE MEDIA USA, TRAVOLTA DAI DEBITI E DAL “FARMAGEDDON” DEL MID-WEST

LA RETORICA DI TRUMP NON FA PIU’ PRESA: I CONTI PARLANO CHIARO

Era prevedibile. E, forse, anche già  messo in conto dal diretto interessato. La visita di Donald Trump sui luoghi teatro delle ultime stragi della follia negli Usa, Texas e Ohio, non si è rivelata un bagno di folla, nè una cartina di tornalsole incoraggiante in vista dell’inizio formale della campagna elettorale per le presidenziali del 2020. C
erto, le proteste erano in gran parte organizzate da cittadini e movimenti dichiaratamente e aprioristicamente contrari al Presidente e anche l’annosa e divisiva questione delle “armi facili” ha giocato a favore delle contestazioni ma resta il fatto che, al netto della sacralità  bipartisan per l’americano medio del Secondo Emendamento, qualcosa nell’America profonda che ha mandato Donald Trump a Pennsylvania Avenue comincia a scricchiolare. Sempre di più.
E con essa, la retorica e la narrativa da boom epocale che la Casa Bianca ha spacciato finora, fra alluvioni di tweets e proclami propagandistici.
E a confermare che il malessere americano, oltre che profondo, è soprattutto radicato nel cuore della Real America, ci ha pensato l’ultima inchiesta del Wall Street Journal, dedicata alla lenta e incessante agonia della classe media statunitense
Al netto della retorica anti-establishment e anti-elites del sovranismo presidenziale, le cifre parlano chiaro: la mitica middle-class americana, protagonista di centinaia di film hollywoodiani, sta infatti precipitando sempre più nell’indebitamento strutturale, soltanto per mantenere il proprio stile di vita.
Insomma, nessun miglioramento, nessun ascensore sociale. A fronte di almeno due decadi di dinamiche salariali stagnanti, il potere d’acquisto dell’americano medio si è eroso in maniera esponenziale. E la sua discesa nel limbo dell’indebitamento non è appunto finalizzata all’ottenimento di un lifestyle migliore, bensì un necessario riaggiustamento rispetto al costo della vita nelle sue voci primarie: abitazione, bollette, spesa per mangiare e vestirsi, mutuo scolastico, automobile.
Tutto aumentato e sensibilmente, in ossequio alla cosiddetta “inflazione reale” che campeggia da sempre nelle statistiche ma che ora sta limando pericolosamente verso il basso i risparmi di una fetta non più maggioritaria di America, la quale dal 2000 in poi ha cominciato a non riuscire più a tenere il passo con dinamiche salariali e del lavoro destinate a tramutarsi in stock di debito in lenta ma continua espansione.
Oggi, proprio nel momento di maggior tensione economica, ecco che un primo redde rationem post era della globalizzazione clintoniana comincia a mostrare la testa.
Tanto per mettere la questione in prospettiva, basti sottolineare come alla fine del 2017, il reddito medio negli Usa fosse di 61.372 dollari, poco superiore a quello del 1999, una volta aggiustato all’inflazione.
Ma a fare sensazione è il dato puro, ovvero senza revisione rispetto al costo della vita: in quel caso, il reddito appare in aumento del 135% nelle ultime tre decadi. Peccato che nel medesimo arco temporale, le tasse universitarie per mandare i figli al college siano salite del 549%, le spese mediche del 276% e quelle legate alla casa del 188%.
Per Adam Levitim, professore alla facoltà  di legge della Georgetown University, “occorre ammettere che il costo per il mero mantenimento del proprio status di middle class è salito in maniera esponenziale“.
E se la crisi finanziaria del 2008 ha già  di suo operato una drammatica “scrematura” al ribasso, facendo aumentare a dismisura il tasso di proletarizzazione forzata del ceto medio negli Stati che maggiormente hanno patito il contraccolpo sull’economia reale, restano dati incontrovertibili di crisi generalizzata di un modello.
Fra il 1989 e il 2016, infatti, l’economia Usa è quasi raddoppiata nel suo controvalore, mentre nello stesso lasso di tempo il net worth medio statunitense è cresciuto solo del 4%. Ecco, quindi, il fenomeno di polarizzazione che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca: in un contesto simile, ovviamente la discrepanza fra 10% delle popolazione più ricca e 90% che fa i conti con l’inflazione reale che morde i redditi, si fa più stridente e inaccettabile, tanto da portare a scorciatoie populiste come quelle offerte da Steve Bannon e dalla sua crociata politica al fianco del tycoon newyorchese, tramutato in Robin Hood.
Ora, però, la favola pare finita. Così come l’incantesimo. Numeri alla mano.
Ad esempio, quelli forniti dall’American Bankruptcy Institute, a detta del quale a luglio di quest’anno il numero di bancarotte è aumentato del 5% su base mensile, arrivando a 64.283.
E non si tratta soltanto di aziende che portano i libri in tribunale o in concordato per il Chapter 11 ma, soprattutto, cittadini costretti a indebitarsi per ripagare i prestiti già  in essere e verso cui si è morosi per una o più scadenze. E per somma sfortuna di Donald Trump, la collocazione geografica delle sempre crescenti criticità  economico-finanziarie della classe media Usa è ubicata in aree a stretta osservanza repubblicana, ovvero bacini elettorali potenziali dell’inquiliino della Casa Bianca.
Se infatti l’aumento delle bancarotte e dei default su indebitamento vede ai primi posti gli Stati del Sud, come Alabama, Mississippi, Tennessee e Georgia, una criticità  in rapido deterioramento arriva dal Mid-West agricolo, di fatto la mappa di quello che gli analisti hanno già  ribattezzato come Farmageddon, dopo la decisione cinese di bloccare l’import di beni agricoli statunitensi da parte delle aziende statal
Non a caso, proprio per rispondere all’espandersi della macchia rosso fuoco dei fallimenti di aziende agricole, Donald Trump ha immediatamente rassicurato gli allevatori con un tweet, nel quale prometteva aiuti per il prossimo anno.
Se però la crisi si aggraverà  e i ricaschi dei tonfi azionari andranno a colpire il sentiment bancario, anche e soprattutto delle banche locali e territoriali, il rischio è quello di una catena auto-alimentante di default a causa del taglio di fidi e linee di credito per le imprese più piccole e fragili del comparto.
E che il Mid-West sia l’epicentro vitale della battaglia politica declinata in ambito economico lo dimostra il fatto che una finanziaria del Wisconsin ma con licenza operativa in 48 Stati, la Waterstone Mortgage Corporation, abbia dato vita a quello che ha eufemisticamente denominato Non-Traditional Credit Program, di fatto uno schema di concessione prestiti a clienti subprime senza alcun rating creditizio.
Le garanzie richieste all’atto della sottoscrizione? Bollette telefoniche del cellulare o di altre utiities, contratti d’affitto e premi assicurativi.
E la questione si fa seria, visto che stando agli ultimi dati forniti dal Consumer Financial Protection Bureau (Cfpb), sono circa 26 milioni i cittadini statunitensi senza alcun rating di affidabilità  creditizia, mentre altri 19 milioni hanno una credit history limitata od ormai risalente ad anni fa.
E cosa che fa ancora più paura, rimandando sinistri echi della crisi subprime del 2008, questo nuovo programma di finanziamento è specificatamente designato per mutui legati a compravendite immobiliari.
Il tutto, infine, in un contesto generale di Paese che, stando agli ultimi dati della Fed di New York, vede il debito privato aver sfondato quota 14 trilioni di dollari, in netto aumento dai 13 del 2008. E, come già  detto, quelle spese extra che necessitano il ricorso all’indebitamento sono riconducibili a voci essenziali come abitazione, cibo e sanità . Non a vizi o spese voluttuarie.
Infine anche la più ottimista e conservativa delle banche d’affari, JP Morgan, nel suo ultimo report ha rivisto al rialzo le probabilità  di un ingresso anticipato degli Usa in recessione, portandole ora al 40% entro i prossimi 12 mesi, il massimo livello mai raggiunto nel ciclo economico in atto.
Insomma, Donald Trump potrà  anche non dare troppo peso alle proteste di El Paso e Dayton ma la situazione pare aggravarsi di giorno in giorno.
E la favola del working class hero che abbandona la Fifth Avenue per salvare gli ultimi e rifare grande l’America un’altra volta, potrebbe rivelare e riservare un finale amaro.
Degno proprio di un’epopea letteraria a stelle e strisce come quella di John Steinbeck.

(da “Business Insider”)

This entry was posted on lunedì, Agosto 12th, 2019 at 21:26 and is filed under Esteri. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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