L’ANTIDIVO CRESCIUTO CON LUCIO DALLA E VASCO ROSSI
RITRATTO DI GAETANO CURRERI DEGLI “STADIO”
Alla fine, ironia della sorte, di tutti e tre Sanremo è toccato vincerlo proprio a lui, il più defilato, l’antidivo.
E se si pensa a chi sono gli altri due —Vasco Rossi e Lucio Dalla — si capisce benissimo lo sguardo genuinamente sbigottito di Gaetano Curreri al momento della proclamazione sabato notte.
Di solito, quelli come lui, Vasco e Lucio, arrivavano più in basso in classifica, e basterebbe solo ricordare che Piazza grande nel 1972 arrivò solo ottava e Vita spericolata nel 1983 penultima. Follie del Festival.
La palma sanremese arriva a Gaetano Curreri, nato nel 1952, lo stesso anno di Vasco. Ed è proprio a casa dei suoi genitori a Vignola, paese tra Modena e Bologna, su quel vecchio piano verticale nel salotto, e sotto lo sguardo preoccupato della mamma che li avrebbe voluti a studiare musica classica, che Vasco e Gaetano non ancora ventenni cominciano a strimpellare.
Da questa bottega dei miracoli tra la via Emilia e il West escono i primi due album del Komandante, canzoni come Albachiara, Jenny è pazza, La strega. E in fondo, per capire Curreri, bisogna osservare questa carriera un passo di lato rispetto ai due giganti Vasco e Lucio.
Di Dalla infatti gli Stadio sono stati per anni la band, compresi quei momenti memorabili di Banana Republic.
L’ombra dei due giganti avrebbe certamente potuto schiacciarlo, in particolare in un mondo fatto di primedonne come quello della musica.
La forza di Curreri sono stati il suo carattere e la sua arte: quel temperamento da mediano, uomo squadra, capace di mettere il suo talento al servizio di quello altrui. Senza perdere mai se stesso.
Anzi, se possibile assorbendo il mestiere dagli altri, come in una bottega rinascimentale in cui a fasi alterne allievo e maestro si confondono.
E infatti nella sua storia Curreri non è mai stato un comprimario o semplicemente un ottimo autore e arrangiatore di musica e parole: ma un catalizzatore, una spalla che talvolta si fa guida e fratello maggiore, ed è capitato tante volte nella vita spericolata di Vasco che fosse Gaetano a tiralo su, magari portandogli a Zocca un pezzo su cui lavorare insieme, mentre l’altro rischiava di perdersi negli eccessi da star.
C’è del metodo in questo bolognese di periferia, che è sempre rimasto coi piedi per terra in un mondo in cui basta una stagione dagli Amici della De Filippi per sentirsi una celebrità .
Lui invece fino a pochi anni fa è rimasto nel suo appartamento al piano alto di un palazzone della periferia bolognese del Fossolo, con la moglie insegnante, la sorella e le due adorate nipoti nel palazzone a fianco, e capitava spesso di trovarlo a fare la spesa al supermarket in fondo al giardino, e quando qualche audace si avvicinava per un autografo lui aveva la stessa faccia un po’ stupita di sabato sera sul palco dell’Ariston.
Una vita di coppia, quella di Gaetano, così lontana da quella del Komandante da farci una canzone insieme, con il rocker a dire che lui le donne le vuole solo per un’ora “e sperare che poi se ne vadano via”, e Gaetano spiazzante, “noi vogliamo e cerchiamo in ogni donna un’amica e se poi ci ritroviamo può durare anche una vita”.
Questa sua disarmante normalità non gli ha impedito di conservare e alimentare per quarant’anni una straordinaria creatività , che spazia dalle colonne sonore di Verdone (indimenticabile Acqua e sapone) fino a successi più recenti come Un senso, passando per la scrittura di successi come “E dimmi che non vuoi morire” di Patti Pravo e “Vuoto a perdere” di Noemi.
Come nel film con Walter Matthau e Jack Lemmon, la coppia Vasco-Gaetano non ha mai smesso di funzionare. E non a caso in queste ore su Facebook il rocker di Zocca ha tifato come una groupie per il suo gemello diverso.
Poi certo, c’è Lucio, gli anni insieme sul palco nei grandiosi tour degli anni Ottanta, e poi il distacco, per smarcarsi e tentare la carriera come gruppo con gli Stadio.
Ma Lucio resta sempre vicino come autore, e come “suggeritore”, come quando nel 1984 gli propone di musicare una poesia di Roberto Roversi, “Chiedi chi erano i Beatles”.
Curreri all’inizio è perplesso, quel testo è troppo complesso per farne una canzonetta ma Dalla insiste. E alla fine diventerà il più grande successo della band.
A Lucio e Vasco si aggiunge in quegli anni un altro giovane musicista bolognese, Luca Carboni, con la sua vena malinconica. “Per me è un grandissimo paroliere, un poeta”, ha detto di lui Curreri quando all’inizio degli anni Duemila la carriera di Luca sembrava subire una battuta d’arresto.
E in fondo, in questa vita da artigiano di lusso della musica, questo fattore umano è sempre stato in prima fila.
Come in quella sera del 2003, quando un malore in Sicilia fece tremare di paura la sua famiglia e rischiò di portarlo via dal palco per sempre.
Passo dopo passo, Curreri si è rimesso in piedi, ha ritrovato la voglia del palco, compreso quello di Sanremo, dove gli Stadio sono arrivati 19esimi nel 2007.
Per una band piena di medaglie come la loro, poteva anche essere un addio, soprattutto in un’epoca da polli di batteria dei talent sfornati dalle tv. Ma Curreri, mediano di classe, non si è rassegnato.
E ora, a 64 anni, si gode la ribalta del festival, lasciandosi per una volta alle spalle i ragazzini dai nomi che si confondono tra loro e dallo stile intercambiabile.
Per la rottamazione c’è ancora tempo. Del resto, i ragazzi di oggi quel piano di Vignola e quegli anni Settanta possono solo sognarli.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply