LE GRANDI AZIENDE NON DELOCALIZZANO PIU’, FERMANO PROPRIO LA PRODUZIONE
DOPO NATUZZI, ANCHE INDESIT BLOCCA LA PRODUZIONE A BERGAMO E A TREVISO, SENZA SPOSTARSI ALL’ESTERO… SI FERMANO ANCHE LA LAMET, LA BIZTILES E LA OLIMPIAS… IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE E’ ALL’ 8,9%, QUELLO GIOVANILE AL 29,5%, MENTRE 2,2 MILIONI DI PERSONE SONO IN CERCA DI OCCUPAZIONE
Una delle ultime notizie sul fronte crisi economica e occupazionale arriva dalla Indesit che lascia a casa 500 dipendenti: la domanda di frigoriferi, cucine e lavastoviglie non tira.
L’anno scorso era toccato allo storico impianto di None, in Piemonte, subire una ristrutturazione, ora tocca a Brembate (Bg) e Refrontolo (Treviso). Contestualmente, la Indesit annuncia un piano di investimenti per 120 milioni di euro in tre anni per rafforzare la presenza a Fabriano, culla della dinastia Merloni, e a Caserta.
La produzione sarà tagliata e l’occupazione ridotta, ma non è prevista alcuna delocalizzazione.
L’azienda è leader in Italia, Gran Bretagna e Russia, con un fatturato 2009 di 2,6 miliardi di euro, ha 16 stabilimenti divisi tra Italia, Polonia, Regno Unito, Russia e Turchia e occupa 16 mila persone.
La crisi dell’azienda si inquadra in un contesto difficile, in cui si moltiplicano gli annunci di chiusure e tagli di personale.
Si va dalla Streglio che interrompe la produzione di gianduiotti alla Nuova Pansac che annuncia esuberi di 440 persone su un organico di 856: chiuderanno gli stabilimenti di Portogruaro, Zingonia e Ravenna.
La Natuzzi metterà in cassa integrazione i suoi 1.400 dipendenti per un anno a rotazione.
Si fermano pure la Lamet in Trentino, la mantovana Biztiles, la vicentina Olimpias mentre la Ferrania in Liguria taglia 225 posti.
Sono solo alcune delle ultime cattive notizie provenienti dal mondo del lavoro. Le “piccole crisi senza importanza” che non arrivano ai Tg nazionali, ma che colpiscono il tessuto di piccole e medie imprese su cui si regge parte consistente dell’economia italiana.
In un contesto nazionale che vede il tasso di disoccupazione arrivare all’8,9% e quello giovanile al 29,5%, con 2,2 milioni di persone in cerca di occupazione (in crescita di 372.000 unità ), a fronte di 307.000 occupati in meno.
In questo quadro, molti economisti e politici suggerivano al governo una manovra finanziaria più attenta allo sviluppo del sistema Italia e non solo a raschiare il fondo del barile, attraverso tagli che porteranno inevitabilmente a un aumento indiretto delle tasse e alla riduzione dei servizi.
A che serve spostare l’onere della tassazione alle regioni e ai comuni se non a una mera operazione di illusionismo fiscale?
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