L’ECONOMISTA QUADRIO CURZIO: “SIAMO IN RECESSIONE, MA ANCHE DI PIU'”
“NEGLI ULTIMI DIECI ANNI CONTRAZIONE DEGLI INVESTIMENTI PUBBLICI DEL 30%”… “CRESCEVAMO DA 17 TRIMESTRI, IL TREND DI DISCESA DEI TASSI SI E’ BLOCCATO CON QUESTO GOVERNO”
La notizia anticipata ieri dal Presidente del Consiglio Conte e oggi ufficializzata dai dati Istat è brutta anche se era attesa, ma forse non così.
Nel IV trimestre il Pil è sceso dello 0,2 sul precedente trimestre cosi accentuando la caduta già registrata nel III trimestre e portando la crescita di tutto il 2018 allo 0,8%. La (de)crescita acquisita del PIL per il 2019 è di meno 0,2%. Per trovare una performance peggiore di questa bisogna risalire al quarto trimestre del 2013 quando l’Italia era ancora nella peggiore crisi da decenni.
Le rassicurazioni del Presidente del Consiglio Conte e quelle del Ministro Tria sul fatto che nel secondo semestre ci riprenderemo non bastano e comunque non risolvono i problemi italiani.
Che per il vero non dipendono dalle due personalità di Governo citate, ma semmai, almeno in parte, da altri esponenti “innovatori” del Governo. Personalità che daranno la colpa ai precedenti Governi e all’Europa mentre l’opposizione darà la colpa al Governo in carica.
Ci sono alcune ragioni da ambo le parti, ma resta il fatto che da 17 trimestri crescevamo e che il trend di discesa dei tassi si è interrotto con questo Governo.
E’ vero che rallenta l’Europa, ma noi andiamo peggio.
Regge ancora il nostro export in forza della capacità innovative del manifatturiero concentrate in alcune regione del nord. Troppo poco per far crescere un paese con 60 milioni di abitanti in un contesto di concorrenza internazionale e di innovazione tecno-scientifica.
Eppure l’Italia resiste avendo molti punti di forza (risparmio delle famiglie, capacità di sopportare -ma non di ridurre- un debito pubblico enorme, primati mondiali in alcuni settori, ecc.)
Ma il Sistema Italia nel suo complesso non è stato ammodernato negli ultimi 20 anni, cioè dall’inizio dell’euro quale data di confine tra due periodi storici.
Una causa su tutte è responsabile: il continuo cambiamento delle politiche economiche dei governi che si sono succeduti e quindi la mancanza di una visione di interesse nazionale al di là delle parti politiche che avrebbe dovuto puntare su tre grandi filiere: semplificazioni e legalità ; investimenti e infrastrutture; innovazione e istruzione. Altri problemi non meno importanti, come quello del divario nord-sud, in parte rientrano nelle precedenti filiere
Investimenti e infrastrutture in Italia
Consideriamo oggi solo questo tema. Dalle quote degli investimenti sul Pil del 2007, nel decennio 2008-17 la contrazione degli investimenti pubblici è stata del 30%, con un mancato investimento totale di 57 miliardi. Nello stesso arco temporale, causa il calo delle quote di investimenti sul Pil dal 2017 sono mancati 506 miliardi di investimenti totali. Molti sono i fattori di questo crollo.
Con particolare attenzione a quelli pubblici in infrastrutture vi è la crisi finanziaria e i vincoli di finanza pubblica europei; i colli di bottiglia generati dal quadro giuridico amministrativo italiano; la disomogeneità e discontinuità dell’azione politica sulle priorità degli investimenti infrastrutturali; la difficile programmabilità di tempi e costi delle opere talvolta anche per la fragilità dimensionale e finanziaria delle imprese appaltatrici.
Adesso sono fermi o vanno a rilento progetti di varie decine di miliardi di investimenti pubblici senza i quali la nostra ripresa sarà lenta e fragile.
Guardando più da vicino gli investimenti della Pubblica Amministrazione in Italia dal 2000-2016 si possono individuare tre fasi: dal 2000 al 2004, vi è stata una crescita da 26.49 miliardi di euro nel 2000 a 36.09 miliardi nel 2004; dal 2004 al 2009, vi è stata una fase di mantenimento con una spesa di 33/34 miliardi annui; dal 2009 al 2016 vi è stato un calo drammatico da 36.15 miliardi a 20.18 miliardi.
Non è solo una questione di quantità perchè la qualità conta.
Adesso siamo nella quarta fase che è tutta da scoprire, ma che se continua in base al trend attuale accompagnerà il declino dell’Italia in termini di qualità della vita, occupazione e sicurezza, anche ambientale.
La situazione europea
Quanto detto chiama in causa anche le responsabilità del’Europa. Nei 10 anni 2007-18 si è registrato un calo del livello di investimenti pubblici in infrastrutture, rispetto alle quote sul Pil del 2007, che per la UE27 è stato di circa 153 miliardi e per l’Eurozona a 263 miliardi. A loro volta gli investimenti totali mancanti rispetto a quelli pre-crisi sono di 3295 miliardi nella UE27 e di 2746 miliardi nell’Eurozona. Sono entità enormi che rendono tutta l’Europa molto debole nei confronti di altri grandi Poli economici mondiali come Usa e Cina
Sappiamo che la Commissione Europea ha dato vita nel 2015 al Piano Juncker, che opera attraverso lo strumento finanziario del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (EFSI) in collaborazione con la Banca Europea per gli Investimenti (BEI). L’obiettivo del Piano Juncker è stato quello di mobilitare investimenti infrastrutturali per 315 miliardi di euro per il triennio 2015-2018. Il risultato pare sia raggiunto e l’Italia ne ha tratto beneficio.
Il programma è stato poi esteso al 2020, con un obiettivo di mobilitazione degli investimenti di 500 miliardi di euro. E’ stato un notevole passo avanti europeo anche dal punto di vista della valutazione dei progetti. Un’ulteriore iniziativa prefigurata dalla Commissione e dal Parlamento in occasione dell’adozione del prossimo bilancio UE 2021-2027 è quella del programma InvestEu che, con garanzie da bilancio UE per 49,5 mld, mira a mobilitare 650 mld di euro in investimenti
Non basta
Una delle grandi sfide del XXI secolo è proprio quella dello sviluppo sostenibile su scala globale come prefigurato da Agenda 2030 dell’ONU che richiede investimenti. Alle elezioni europee ci saranno confronti tra partiti politici con ricette vecchie (liberismo o dirigismo) e con ricette anticamente nuove (sovranismo o federalismo). Speriamo che compaia anche qualche formazione politica trasversale che si impegni nei sei anni del ciclo politico-istituzionale europeo per affiancare alla cultura della pace costruita nei 70 anni passati anche quella della pace protetta dai nazionalisti e dai rigoristi attraverso istituzioni funzionali capaci di governare lo sviluppo comune investendo soprattutto in istruzione e innovazione, perchè la maggiori diseguaglianze future verranno da qui.
Alberto Quadrio Curzio
Economista, presidente emerito Accademia dei Lincei
(da “Huffingtonpost”)
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