LEGGE CONTRO L’OMOFOBIA: COME FUNZIONA E PERCHE’ L’ITALIA SI METTEREBBE AL PASSO CON GLI ALTRI PAESI
IL PROVVEDIMENTO VERRA’ ESAMINATO A SETTEMBRE
Se uso parole poco gentili verso una donna in quanto donna dalla mia pagina Facebook, se faccio lo stesso con un uomo in quanto gay, dicendo che ‘non mi piacciono’ i matrimoni omosessuali, le miei restano mere opinioni.
Se sono un prete e dissento sulle unioni dello stesso sesso e lo dico in una predica, se capita che durante una cena critichi aspramente una persona trans o lesbica e le sue condotte di vita, le mie restano idee personali espresse e nulla di più.
Se però alle mie parole aggiungo l’invito a prendere a schiaffi quella donna, quella persona gay, trans, bisessuale o lesbica, a farle una ‘faccia così’, a ‘levarla dal mondo’, o a diffamarla, a molestarla o quant’altro, a quel punto compio un reato, rischiando fino a quattro anni di carcere.
È più o meno questo lo scenario che si presenterà se la legge contro l’omofobia, contro gli atti discriminatori fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, sbarcata ieri alla Camera, dovesse diventare legge.
Inoltre, questi atti diventano un’aggravante di altri reati, come già accade per discriminazioni di odio etnico, razziale, religioso e nazionale
Cosa contiene il testo della legge contro la transomofobia
La proposta di legge Zan, dal nome del relatore di maggioranza, Alessandro Zan del Pd, a proposito dei cosiddetti delitti contro l’uguaglianza, già previsti dagli articoli 604-bis e ter del codice penale, alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, aggiunge, riallacciandosi alla legge Mancino, aggiunge, come abbiamo detto, quelli legati ai caratteri sessuali.
La differenza, però, è che mentre se per la Shoah, per i crimini di genocidio, così come per quelli contro l’umanità e di guerra, per l’odio razziale e religioso, è reato anche la sola propaganda, per quelli compresi nella proposta di legge sarebbe reato solo l’istigazione (e non la propaganda).
Oltre a questo, la nuova legge mira a diffondere una cultura della tolleranza, con l’istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, fissa il giorno 17 maggio.
Cosa vuol dire istigare per il codice penale
Istigare è un incitamento concreto a commettere reati, non è quindi qualunque manifestazione di opinione, ma un’esortazione “che abbia una efficacia determinante nei confronti delle persone a commettere un reato”, come spiega ad HuffPost il costituzionalista Davide De Lungo.
Ci deve dunque essere la reale capacità dell’istigazione a suscitare odio e potenzialmente a determinare un concreto rischio di commissione di condotte delittuose.
L’aspetto delicato è che, ad esempio, una determinata frase molto sgradevole e offensiva rivolta a una donna — perchè il provvedimento è anche contro la misoginia — potrebbe sì essere un incitamento alla violenza e contenere una forma di istigazione, però sarà il giudice che, per condannare o meno il sospettato, dovrà “valutare in concreto la situazione alla luce di chi è l’autore, delle modalità la concreta attitudine della condotta a determinare la commissione del reato”.
Il rischio è di penalizzare le mere opinioni
La Carta all’articolo 21, primo comma, fissa il principio costituzionale secondo cui tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Stante questa base, come dicevamo, già esistono le fattispecie di reato che riguardano la propaganda e l’istigazione per discriminazioni razziali, etniche e religiose. “I reati d’odio — prosegue De Lungo — nel nostro ordinamento esistono dal 1975, con la normativa ONU sulle discriminazioni, e poi l’abbiamo attuata nel ’93”.
Quando però si creano nuove fattispecie di reato, il problema è questo: “c’è il rischio che possa aprirsi un’indagine o avviarsi un processo per accertare che la condotta rientri o meno all’interno dei casi puniti”.
Per quanto la norma della nuova legge possa essere chiara, “potrà sempre esserci un pubblico ministero, un giudice o anche una persona offesa che possano ritenere diversamente e che quindi ci siano i presupposti per procedere”.
A che punto è l’iter legislativo
Ieri è finita la discussione generale, adesso si passa all’esame del provvedimento, preceduto da due pregiudiziali di costituzionalità presentate da Fratelli d’Italia e Lega. La Camera quindi esamina queste pregiudiziali e le vota. Se vengono bocciate, l’iter procede, se per caso viene approvata anche una delle due, allora il provvedimento è morto, perchè viene ritenuto dall’Aula non costituzionale. “E’ all’ordine del giorno oggi, ma tutto depone perchè, per forza di inerzia, avvenga a settembre”, spiega una fonte parlamentare vicina al dossier.
Si tenta di fare questa legge da vent’anni
La legge contro l’omofobia l’Italia la rincorre da più di vent’anni, prima con i militanti del mondo gay, poi nel 1999 con il primo tentativo di diversa matrice, questa volta cattolica, con il deputato del Ppi Paolo Palma.
Il problema, anche degli ultimi tentativi, come quello di Ivan Scalfarotto del Pd, è che naufragano sempre perchè “sia i radicali del mondo arcobaleno che gli oltranzisti cattolici alla fine non accettano la minima mediazione”, dice la fonte.
“Quando Scalfarotto nella scorsa ha provato a trovare un punto di caduta, sulla Rete se lo sono mangiato dicendo che aveva ceduto, che si trattava di un compromesso al ribasso”.
In questi giorni nei palazzi della politica circolava la domanda ‘Ma come mai con tutte le emergenze che abbiamo ci occupiamo dell’omofobia?’. Tra le risposte in Aula, è arrivata quella del dem Walter Verini, che ha riportato alcuni numeri: “Nel 2017 sono state 324 le segnalazioni che non si siano tradotte in denunce di atti discriminatori o di atti di violenza per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere”.
Nel 2018 “sono state 284 e nel 2019, 219”. E poi la sua stoccata ai contrari: “Alcuni sono nipoti di coloro che nei primi anni Settanta si opposero con tutti i mezzi alla legge che introdusse il divorzio”
L’Italia è in ritardo rispetto agli altri Stati europei
L’Onu il 13 maggio scorso ha sollecitato con una lettera il nostro Paese a muoversi con più leggi contro le discriminazioni, perchè siamo considerati indietro rispetto alle altre nazioni dell’Europa occidentale.
Anche il Parlamento europeo è intervenuto più volte con delle risoluzioni per chiedere ma a tutti gli stati membri, non solo a noi, di legiferare in materia antidiscriminatoria. L’omofobia, intesa come atto violento o incitamento all’odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. In quest’ultimo paese, la normativa è molto stringente: il colpevole di minacce o dell’espressione di disprezzo verso gli omosessuali può essere condannato da 6 mesi a 4 anni di carcere.
Lì, sullo stesso tema, nel 2005 è entrata in vigore la legislazione anche in materia di sicurezza sociale.
Quanto alla Norvegia, è stato il primo paese al mondo a includere gli omosessuali nella sua legislazione anti-discriminazione del 1981, rendendo penalmente perseguibile chi rifiuta beni o servizi a una persona per la sua “disposizione, stile di vita o tendenza all’omosessualità ”. Qui si rischia il carcere fino a sei mesi.
Il codice penale danese dal 1971 punisce l’incitamento all’odio nei confronti degli omosessuali, quello sloveno dal 1994, lo spagnolo già dal 1995, l’islandese dal 1996, mentre in Ungheria è in vigore dal 1997 la legge sulla salute pubblica, che inquadra la stessa fattispecie.
Serbia, Montenegro e Repubblica Ceca, invecem ci sono arrivati nel 2000. In Francia dal 2004 chi insulta gay e lesbiche rischia un anno di carcere e fino a 45.000 euro di multa.
Nei Paesi Bassi non esiste una legge antidiscriminatoria per gli omosessuali, ma chi diffama pubblicamente un gruppo per la sua razza, religione, credenze personali o il suo orientamento sessuale è punito con il carcere fino ad un anno o con una multa fino a 4500 euro.
In Germania, diversamente, non esiste a livello federale una legge antidiscriminatoria di questo tipo. Per il resto, Finlandia, Cipro, Belgio, Austria, Irlanda, Lussemburgo e Gran Bretagna hanno norme più legate alla sfera lavorativa e al gap occupazionale. L’avvocato Matteo Bonini Baraldi, infine, ricorda ad HuffPost che “già dal 2015 quattordici Stati dell’Ue, tra cui Belgio, Francia, Spagna e Grecia considerano la finalità omofobica come circostanza aggravante o un elemento da prendere in considerazione nella determinazione della pena prevista per il reato”.
L’Italia, in sostanza, non farebbe altro che mettersi la passo con la realtà di oggi, ma la differenza con la maggior parte delle altre nazioni è che il nostro ordinamento è caratterizzato da un eccesso normativo che complica di molto l’interpretazione delle leggi.
(da “Huffingtonpost”)
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