L’EMILIA ROSSA A CACCIA DEI “DISERTORI”: LA FIOM CONTRO, I PENSIONATI DELUSI
IL PARTITO SCOSSO DAL CROLLO DEI VOTANTI: VIAGGIO TRA GLI ISCRITTI
La tempesta perfetta continua sul ballatoio del circolo Arci Benassi. «Certo che non ho votato, dopo quegli scandali la Regione possono anche chiuderla».
«Anche io mi sono rifiutato, quel Renzi e il suo Jobs act o come si chiama sono roba di destra».
I due pensionati si chiamano Luciano e Dino, ma i nomi sono interscambiabili con quelli degli altri cento che stanno giocando a carte nella sala all’interno della sezione Pd più grande di Bologna, una palazzina enorme con vista sulle luci che illuminano la strada per San Lazzaro di Savena.
Alle pareti di un posto che rappresenta soprattutto un’idea di partito e di sinistra che ti accompagna per tutta la vita non c’è il consueto album di famiglia, ma solo poche e ben selezionate foto.
C’è un Romano Prodi ancora baldo e sorridente, c’è il sorriso sotto i baffoni di Renzo Imbeni, il sindaco galantuomo diventato simbolo della via emiliana al comunismo nei tempi moderni.
E soprattutto c’è un incontro con annessa stretta di mano tra don Giuseppe Dossetti e il partigiano Giuseppe Dozza, gli uomini che ispirarono la politica emiliana delle due Chiese.
Tu chiamalo se vuoi, consociativismo, declinato attraverso la delega ai famosi corpi intermedi, della quale questa Regione è indiscusso regno.
Nella piazza Zanti di Cavriago oltre a quella del Pd ci sono altre 16 sedi di associazioni, sindacati, cooperative, comitati.
Il paese più rosso dell’Emilia, famoso per il busto di Lenin donato nel 1920 dal partito comunista sovietico, è rimasto a casa.
Su 8.000 abitanti sono andati a votare solo in 2.600, quattro punti sotto la già disastrosa media regionale.
Stefano Corradi, segretario del Pd locale, non si stupisce. «Se predichi l’abolizione dei corpi intermedi, perchè questi dovrebbero votarti?».
Nel 1970 alle prime Regionali nella storia dell’Emilia Romagna votò il 96,6 per cento degli aventi diritto.
La caduta del muro e il cambiamento di nome del Pci non ebbero influenza sul rito della democrazia partecipata: nel 1990 votò un bulgaro 92,9%.
In questa Regione la Cgil conta 800.000 iscritti, la differenza tra il successo di massa e la vittoria in solitudine.
Vincenzo Colla, il segretario regionale, ha votato con poca convinzione. «Non si può negare che il governo ha un problema con il mondo del lavoro. E liquidare tutto con un due a zero e palla al centro è un modo debole di commentare l’accaduto»
Ieri mattina Bruno Papignani, il leader regionale Fiom teorico della diserzione elettorale, aveva la voce impastata di soddisfazione mista alla paura di chi ha fatto bingo e al tempo stesso l’ha combinata grossa.
«Renzi è venuto qui a mostrare i muscoli contro i deboli, a recitare la sua litania liberista-gaullista, e adesso dovrebbe meditare: ha perso».
In una terra che ha ancora una concezione sentimentale ed etica della politica, i falsi rimborsi dei consiglieri regionali e altre vicende non proprio edificanti di amministrazione locale hanno fatto danni peggio della grandine.
Nella Brescello che fu di Guareschi e oggi è in odore di ‘ndrangheta, con un sindaco che finge di non vedere un problema sotto gli occhi di tutti, è andato alle urne appena il 20,80 per cento.
Sarà anche vero, come disse Silvio Berlusconi, che «questi comunisti» voterebbero anche un gatto se glielo chiedesse il partito, ma a queste elezioni si è arrivati con un presidente condannato e dimissionario, Vasco Errani, l’inchiesta sulle spese pazze, dodici consiglieri regionali indagati ma ricandidati, e come ciliegina sulla torta le primarie più assurde dell’epoca moderna, frutto del compromesso tra le imposizioni giunte da Roma e i tentennamenti del nuovo presidente. «Ho sbagliato anch’io» ammette Bonaccini, che ieri non aveva esattamente la faccia del vincitore «Commisi un errore a sottovalutare la rapidità delle decisioni che dovevamo prendere data l’emergenza che si era creata».
L’Emilia Romagna è sempre stata invisa a Roma ma non è un posto da prendere sottogamba.
Le fibrillazioni del mondo prodiano, con Sandra Zampa a sostenere che Bonaccini «è stato lasciato solo» e che qualcuno avrebbe potuto fare un pensiero sull’utilizzo dell’ex presidente del Consiglio, e il professore che usa una frase sibillina, «come ti fai il letto, così dormi», lascia intendere un cambiamento di verso che potrebbe non piacere a Renzi.
L’Ulivo comunque sta crescendo bene. L’alberello piantato nel cortile del bar Ciccio, all’indomani del patto che siglava la nascita dell’alleanza poi vittoriosa alle Politiche del ’96, è sempre al suo posto nonostante le intemperie.
Fausto, fratello del celebre Ciccio, esce dal locale della sinistra pura e dura a due passi dalla casa di Dozza.
«Ho votato solo per rispetto dei nostri padri morti per darci il diritto di farlo. Mio figlio che è giovane invece non c’è andato. E io sono due giorni che non gli parlo».
Francesco Alberti e Marco Imarisio
(da “il Corriere della Sera”)
Leave a Reply