L’EPOCA DEL TWIGA
L’EGEMONIA CULTURALE DEI FIGHETTI SOVRANISTI DA SPIAGGIA
Si parla solo del Twiga, dell’eredità di Berlusconi e del nome del figlio di La Russa, Apache: l’egemonia culturale della destra, ormai da tempo, è cosa fatta. Carlo Calenda offre al quadro della sconfitta un tocco di magistrale snobismo (“mia madre è valdese, figuratevi se vado al Twiga”). Più minoritario e perdente dei valdesi, in Italia, c’è solo l’estinto Partito d’Azione. Di entrambi – ci piace dirlo – abbiamo sempre pensato un gran bene.
Minoranze, questo siamo noi che piuttosto di “vivere un’experience indimenticabile” – è scritto proprio così, sul sito del Twiga – preferiremmo barricarci in casa, oppure camminare su un sentiero di montagna, ancora non leopardato in attesa che la ministra Santanché lo adegui al gusto dei tempi; o se proprio si deve andare al mare potremmo bere un bianco secco con Schlein e i suoi che sono andati in gita a Ventotene, dove si pregusta il profumo dell’esilio.
Vento, mare, solitudine, pochissime le probabilità che Briatore ci apra uno dei suoi locali in stile, per prepararsi al futuro bisogna prendere le misure di un riposante isolamento: experience in genere a basso costo.
L’altra buona notizia è che le cronache pettegole, quest’estate, allenteranno la morsa su Capalbio e le sue spiagge rinselvatichite, dove i cinghiali hanno avuto la meglio sui pochi intellettuali rimasti, parecchio in là con gli anni, alcuni divorati dai lupi nel disinteresse generale.
I giornalisti saranno tutti al Twiga, cercando di scoprire il fedifrago di sinistra che ha tradito la causa per un drink. Con l’aggravante che in genere, in quei posti, il rapporto qualità-prezzo dei drink è scandaloso.
(da La Repubblica)
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