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L’IPOTESI DI UNA CANDIDATURA DI MARIO DRAGHI ALLA GUIDA DELLA COMMISSIONE UE, SECONDO “REPUBBLICA” SPINTA DA MACRON, METTE NEI GUAI MELONI

SOSTENERE SUPERMARIO AUMENTEREBBE LE FRIZIONI CON GLI ALLEATI, VISTA L’APERTA OSTILITÀ DI SALVINI PER L’EX BANCHIERE E L’APPOGGIO DI FORZA ITALIA AL BIS VON DER LEYEN… POTREBBE LA PREMIER OSTEGGIARE UNA SOLUZIONE CHE PIACE NON SOLO AL PRESIDENTE FRANCESE MA ANCHE ALLA CASA BIANCA?

La notizia di una possibile candidatura di Mario Draghi alla guida della Commissione Ue scuote l’Europa. In un continente stretto tra due guerre, l’aggressività della Russia e l’indebolimento degli Stati Uniti, Emmanuel Macron è convinto che l’ex premier italiano sia l’asso da calare nella partita sui top jobs che comincerà a giugno, dopo l’esito delle elezioni europee.
Se l’Eliseo sceglie di non commentare il retroscena pubblicato ieri da Repubblica, la prudenza tradisce i negoziati avviati dietro le quinte.
«La stima di Macron per Draghi non è un segreto», spiegano nell’entourage del leader francese che ha continuato ad avere contatti con l’ex premier anche dopo l’uscita da Palazzo Chigi. «Macron sta pensando a lui per la Commissione o per la presidenza del Consiglio», prosegue la fonte descrivendo uno scenario in movimento. E anche la precisazione di Draghi — che ieri ha fatto sapere di non essere interessato alla presidenza della Commissione Ue — può apparire come una posizione attendista. «Non fa mai un passo avanti, ma lascia che le cose vadano avanti », commentano nell’entourage di Macron.
Nel risiko europeo per l’estate 2024, il leader francese punta a mettere Ursula von der Leyen alla Nato anche se ufficialmente il candidato resta l’olandese Mark Rutte, che piace a Washington ed è un liberale, la famiglia politica dei macronisti nell’Ue.
La Francia però è disposta a offrire a socialisti e popolari la rinuncia a Rutte, tra l’altro azzoppato dall’esito del voto nei Paesi Bassi, per occupare la casella della Commissione europea. Gli argomenti per lanciare Draghi nel “governo” dell’Ue non mancano. L’alto profilo istituzionale dell’ex presidente Bce, già protagonista del salvataggio dell’Europa nella tempesta finanziaria, può mettere in sicurezza l’Europa e portare convergenze in un paesaggio politico che rischia di uscire terremotato dal voto di giugno, coi sovranisti in forte ascesa.
E infatti nelle ultime ore nessuno si oppone al nome di Draghi. Da popolari, socialisti e conservatori non c’è stata nessuna levata di scudi. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ribadisce che la candidata naturale del Ppe alla Commissione è von der Leyen, ma poi anticipa possibili cambiamenti: «Bisognerà attendere il responso del voto popolare e decidere sulla base di quello che indicheranno i cittadini europei ».
Un successo del Ppe nel voto di giugno potrebbe blindare la conferma di un bis per Von der Leyen. In quel caso, come nel gioco delle sedie, Macron punterebbe a Draghi per la presidenza del Consiglio dell’Ue. Ma se invece, come si comincia a temere nelle stanze di Bruxelles, le elezioni consegneranno un Europarlamento in cui le grandi famiglie politiche escono tutte indebolite, allora la candidatura dell’ex premier italiano si rafforzerebbe per Palazzo Berlaymont. Draghi sarebbe l’unico a poter mettere d’accordo tutti, dai socialisti ai conservatori di Giorgia Meloni.
Da settimane a Parigi si è incominciato a pensare a una carta di riserva. Macron, forte del rapporto consolidato con l’ex premier, ha così cominciato a testare nei suoi colloqui con gli altri leader il jolly SuperMario. Il piano D. «Credo che Mario Draghi possa svolgere con grande autorevolezza qualsiasi ruolo apicale in Europa», commenta Sandro Gozi, eurodeputato di Renew Europe. Il nome di Draghi è ormai sul tavolo, e nei prossimi mesi tutti dovranno misurarsi con questa ipotesi.
IL DILEMMA DI MELONI
È un bivio stretto. Peggio, un autentico dilemma. Giorgia Meloni pesa in queste ore i rischi di sostenere l’opzione Mario Draghi. La possibile frantumazione degli equilibri del centrodestra. L’ostilità di Matteo Salvini. L’ombra che gli imporrebbe una figura come quella dell’ex banchiere. Ma valuta anche un vantaggio, ponderandolo assieme a un dato di realtà. Il vantaggio: stringere un patto con chi guida la Commissione potrebbe blindare il suo esecutivo, assai traballante sui conti. Il dato di realtà: può la premier osteggiare una soluzione che piace non soltanto a Emmanuel Macron, ma anche alla Casa Bianca?
Difficile, soprattutto se l’amministrazione americana ha rappresentato la principale sponda per resistere allo scetticismo europeo verso la destra italiana. Per questo, evita di esporsi. Non mette la faccia su una frenata. Fa tacere i suoi. E tiene viva la carta di portare l’ex premier a Bruxelles, anche se preferirebbe semmai lanciarlo alla guida del Consiglio europeo.
Nessuno potrà mai confermare ufficialmente quanto circola a metà giornata nel governo: Meloni, riferiscono fonti di primo livello, avrebbe scambiato alcuni whatsapp con Emmanuel Macron per capire come gestire la notizia su Draghi, pubblicata da Repubblica.
Di certo, i contatti coinvolgono anche ministri dei due governi. La presidente del Consiglio ne ricava la sensazione di una imminente precisazione dell’Eliseo, utile a raffreddare il clima. Alla fine, però, nulla che vada oltre un generico “no comment” trapela dalla Presidenza della Repubblica francese. E la premier deve gestire le conseguenze di uno scenario che non può escludere.
Nulla è come sembra, dunque è necessario mettere in fila i fatti e pesare gli indizi. Il primo, fondamentale: il rapporto tra Giorgia Meloni e Mario Draghi resta solido. Non magari costante come durante la transizione, a volte macchiato da screzi, ma comunque saldo. I due si parlano, l’hanno fatto anche di recente. Evitano attacchi personali diretti, anche sui dossier più caldi.
La premier ha contestato a volte l’impostazione del Pnrr, senza mai nominare Draghi. L’ex banchiere, anche durante l’ultima apparizione pubblica per la presentazione del libro di Aldo Cazzullo, ha evitato critiche dirette all’attuale esecutivo e anzi, parlando della crisi in Medio Oriente, ha detto: «L’Italia ha acquisito credibilità».
Il problema, a dire il vero, è soprattutto di Meloni, come suo è il bivio. Se infatti la premier dovesse accettare di sostenere — non oggi, ma al momento giusto — la proposta di Macron per portare Draghi alla presidenza della Commissione, entrerebbe in conflitto diretto con il principale alleato, Matteo Salvini.
Ieri nessun leghista si è spinto fino a bocciare l’idea, ma il leader del Carroccio è sul piede di guerra ed è pronto a colpire proprio su questo fianco: Draghi verrebbe brandito come emblema del famigerato inciucio che denuncia, simbolo di un’Europa da combattere assieme a Marine Le Pen, addirittura espressione dell’odiato Macron. Anticamera di una emarginazione che potrebbe avere pesanti ripercussioni anche a Roma, sugli equilibri di governo.
È pur vero che Salvini ha sostenuto il governo Draghi, a differenza di Meloni. Ha partecipato con ministri della Lega. Tutti argomenti che Meloni potrebbe ricordargli, di fronte a un conflitto. Resta il fatto che l’ex banchiere attira resistenze anche in altri settori della maggioranza. Non è un mistero che Giulio Tremonti non sia un suo estimatore. E che Forza Italia debba sulla carta sostenere il proprio candidato alla Presidenza della Commissione, che è Ursula von der Leyen.
Meloni, come detto, preferirebbe in realtà dare il via libera a un altro schema. Per la premier sarebbe assai più semplice avallare l’indicazione di Draghi alla guida del Consiglio europeo, assicurandosi così anche un commissario di centrodestra nella Commissione (che manca da cinque anni e potrebbe mancare per altri cinque).
Non è un dettaglio irrilevante, perché si tratta di una poltrona ambita da diversi meloniani, ma anche di una moneta di scambio politico decisiva per ridefinire gli equilibri dopo le Europee. Ma la pressione dei partner continentali e atlantici e le possibili garanzie che derivano da una Commissione presieduta da un italiano potrebbero spingere a sciogliere positivamente il dilemma. E ad aprire una fase politica di certo nuova, probabilmente rischiosa. E chiudere una volta per tutte con l’estrema destra di Salvini e Le Pen.
(da La Repubblica)

This entry was posted on sabato, Dicembre 9th, 2023 at 13:47 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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