LISTA MONTI TRA CAOS E FLOP: POTERI FORTI TUTTI CON BERSANI
IL PROFESSORE ALLARMATO PER LA FUGA DA CONFINDUSTRIA VERSO IL PD
Fiat a parte, i cosiddetti poteri forti, o almeno le parti più forti delle singole categorie, si stanno schierando con il Pd e Pier Luigi Bersani.
Le ragioni sono due: che il Pd e il centrosinistra continuano a guidare i sondaggi e che il progetto di Mario Monti si snatura di giorno in giorno, ormai mutato in una semplice riedizione del fallimentare
Terzo Polo sull’asse Udc-Fli.
Le liste montiane saranno ufficializzate forse già domani, ma da quanto si conosce è già chiara la tendenza.
Prendiamo Confindustria: con il Pd si è schierato Giampaolo Galli che è stato silurato da direttore generale con l’arrivo di Giorgio Squinzi alla guida degli imprenditori, ma gode di molta stima nell’apparato e ha ottimi rapporti con una lobby pesante come quella dell’Ania, le assicurazioni, che ha diretto in passato.
Monti ha arruolato Alberto Bombassei ed Ernesto Auci, il primo candidato sconfitto alla presidenza (di poco, ma poi non è riuscito a diventare un polo alternativo dentro l’associazione), Auci ex direttore e ad del Sole 24 Ore e poi responsabile relazioni istituzionali di Fiat.
Entrambi, il primo per cultura e rapporti di fornitura (i freni Brembo), l’altro per carriera, sono considerati uomini Fiat.
E il Lingotto non è più in Confindustria.
Il Pd — tramite Matteo Renzi — si è assicurato (gratis) il sapere organizzativo e manageriale della costosa McKinsey, arruolando uno dei vertici italiani, Yoram Gutgeld.
Anche Monti può contare su una figura in grado di tenere i rapporti con il potere milanese, l’ex direttore delle relazioni esterne di Rcs Lelio Alfonso.
Ma la McKinsey è la McKinsey.
Nella carta stampata Bersani si è preso uno dei giornalisti economici più influenti d’Italia, Massimo Mucchetti, che sul Corriere della Sera ha spesso difeso le ragioni di Unipol (coop rosse, prima potenza finanziaria della galassia bersaniana) quando si voleva prendere la Fonsai dei Ligresti.
E poi è arrivato a disegnare scenari — per ora mai realizzati — di fusioni tra Unicredit e Intesa e poi tra Fs e Alitalia.
Da parte sua Monti ha preso il direttore del Tempo Mario Sechi, con un profilo molto più politico e meno legato agli ambienti della finanza e della grande impresa.
Pure i sindacati che contano sono con Bersani: Guglielmo Epifani sarà pure un uomo di un’altra stagione, ma da ex segretario della Cgil ha conservato parecchia influenza sul primo sindacato italiano.
E se Raffaele Bonanni si è presto defilato dal progetto montiano per rimanere nella Cisl, il suo numero due Giorgio Santini dovendo scegliere alla fine è andato con Bersani.
E al premier per conquistare il “mondo del lavoro” non resta che spendere il nome di Luigi Marino, leader della Confcooperative.
Che però, prima che montiano, è amico da sempre di Pier Ferdinando Casini.
Persino tra gli intellettuali si replica lo stesso schema: a Monti alcuni professori di prestigio, da Michele Ainis allo storico Andrea Romano che dirige Italia Futura.
A Bersani invece uno come Carlo Galli, politologo meno noto al grande pubblico ma che vanta un solido radicamento a Bologna, dove è una delle colonne dell’associazione (prodiana) del Mulino.
La lista che doveva essere di professori e società civile, con un po’ di politici, si sta snaturando.
Basta vedere il listone montiano del Senato: in Lombardia Gabriele Albertini soffia la prima posizione a Pietro Ichino (perchè l’ex sindaco di Milano è l’unica speranza di far perdere il Pdl).
Nelle Marche capolista sarà Linda Lanziollotta, ex Api.
In Emilia il primo sarà Marino (voluto da Casini), il secondo un altro Udc, Mauro Libè. Il montiano Giuliano Cazzola, tra i primi ad aderire, è stato retrocesso al terzo posto, ammesso che accetti.
Il Lazio è andato ai finiani, capolista sarà Giulia Bongiorno, mentre Puglia e Veneto sono state destinate a Sant’Egidio, che ha sempre più potere contrattuale.
Del Pdl non resta più nulla tranne Mario Mauro, che ieri si è dimesso dal partito (“un tragico errore l’alleanza con la Lega”) per andare col premier.
Non si candida Alfredo Mantovano — in Puglia non gli si trovava un buon posto — via anche Beppe Pisanu, per i troppi mandati e perchè voleva contendere a Casini la presidenza del Senato.
Fuori Franco Frattini. Sparito anche Corrado Passera, in polemica, e il ministro Andrea Riccardi non si candida.
Tutti cominciano a sentire odore di flop
(da “il Fatto Quotidiano“)
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