LO SCHIAFFO DELLA REALTA’: IL PIL A ZERO AFFONDA LA POLITICA ECONOMICA DEL GOVERNO E RENDE LA MANOVRA INSOSTENIBILE
SPAZZATI VIA LA NARRAZIONE GRILLINI SULL’OCCUPAZIONE E LO SPIN LEGHISTA SUL TAGLIO DELLE TASSE
Quello che possono fare i numeri non possono farlo le letture di parte, le interpretazioni che provano a nascondere la polvere sotto al tappeto, i tentativi di rilancio affidati a spin roboanti, l’eterna gara interna al governo su chi ha in mano il bastone del comando.
à‰ come mettere su una pista di Formula 1 una Ferrari e un cavallo: la prima incassa giri, il secondo zoppica, ha il fiato corto. Il confronto è impietoso.
I numeri sono quelli dell’Istat, che inchiodano il Pil del secondo trimestre a zero. La crescita non c’è e non è un incidente di percorso. à‰ un trend: sono quindici mesi che il tratto dell’economia italiana è quello della stagnazione.
Immaginate un grafico: la linea del Pil dritta, con variazioni risibili, appiattita alla base. Collocate ora la linea del governo visto che l’arco temporale è grosso modo lo stesso (è nato un anno fa). Le due linee coincidono. Perchè l’andamento di un’economia dipende sì dai fattori esterni, e quindi giù la lista degli alibi – dai dazi americani alla guerra commerciale con la Cina – ma è anche il frutto delle scelte prese in casa.
Il Pil a zero spazza via la strategia di Lega e 5 stelle, sballa i conti, rende insostenibile la manovra, dà volto all’incapacità di programmare anche solo nel brevissimo periodo, come un governo che vuole definirsi tale è chiamato a fare.
Nessuno, a iniziare dagli analisti, e tantomeno nel governo, si aspettava un miracolo. Il più realista dell’esecutivo, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, l’ha confessato serenamente, pur rilanciando un improbabile rimbalzo a fine anno e comunque al massimo fino a un misero +0,2 per cento.
Ma proprio questo aspetto rende ancora più grave e preoccupante il quadro dentro cui si muove l’economia, quella dei conti pubblici e quella reale.
Esaurita la stagione elettorale del primo anno, quella che ha puntato all’incasso delle misure bandiera (reddito di cittadinanza per i 5 stelle, quota 100 per la Lega), l’azione di questo esecutivo in campo economico ha prodotto due decreti di discutibile impatto, il decreto autobattezzato crescita e il controverso Sbloccantieri.
Da dicembre a oggi si è tirato a campare, narrando al Paese che gli effetti delle due misure avrebbero dispiegato effetti positivi sul Pil. E invece no. Siamo a zero. Sempre lì.
E così dall’anno bellissimo, espressione coniata dal premier Giuseppe Conte, si è passati a sperare nel semestre bellissimo, quello che va da giugno a dicembre. Intanto i numeri dicono che il trend non si è invertito, tutt’altro. Con questo bisogna fare i conti.
Un governo premuroso e attento, capace di generare una strategia o quantomeno di raddrizzare la prua in corsa, si sarebbe riunito in conclave a palazzo Chigi. Una riunione, uno straccio di idea avrebbe salvato quantomeno le apparenze. E invece no. Matteo Salvini ha chiamato i suoi uomini economici, invitando all’arrembaggio perchè “gli italiani non chiedono cosine”.
Lo spin leghista di giornata dice che il piano è quello di tagliare le tasse per 10 miliardi senza aumentare le altre. Si vedrà più avanti quanto questo rilancio si schianta con la realtà dei numeri.
Luigi Di Maio, che si riscopre ministro del Lavoro quando ci sono dei dati da intestarsi, celebra quelli dell’occupazione e della disoccupazione, forniti sempre dall’Istat. Ma li legge con la lente dell’autocelebrazione.
Questi dati, letti con precisione, dicono che si stanno creando lavori a minor valore aggiunto, con orari medi più bassi, come ha messo ben in evidenza il direttore generale di Confindustria Marcella Panucci.
E quindi via con le dirette su Facebook, post su Instagram e tutto quello che serve per dire che il governo ha fatto bene, anzi benissimo. Tria si è trincerato dietro un comunicato stampa con pochi numeri e molta politica, rispolverando il decreto crescita e lo Sbloccancantieri, affidando alle conclusioni della nota il suo accento realista e cioè che a fine anno al massimo si potrà arrivare a +0,2%, come scritto nel Def dallo stesso governo che inizialmente sognava di arrivare a +1 per cento.
Conte si è occupato di altro: la grana della riforma della giustizia, che ha animato il Consiglio dei ministri, ha avuto la meglio. Tutte queste reazioni diverse dicono di un governo incapace a parlare con una sola voce. Di dire come cambia la strategia economica, se una strategia c’è.
Le due linee del grafico si intrecciano qui. L’economia non va: i consumi sono al palo, gli investimenti non decollano, la sfiducia e l’impazienza delle imprese ha toccato livelli altissimi. E il governo non è in grado di dare una scossa a questa linea.
La linea del governo è piatta quando deve presentare la sua immagine conclusiva, ma dentro fremono tutte le contraddizioni interne.
C’è l’esigenza di Salvini di provare a incassare per motivare la decisione di mandare avanti il governo. E poi i 5 stelle che devono in qualche modo uscire fuori da quel labirinto che è diventato stretto dopo le capriole su Alitalia, la decisione piombata sulla testa della Tav che si farà e via dicendo.
Conte e Tria sempre lì, mediatori di zuffe tra i due vicepremier a volte reali a volte, molte volte, di facciata. Ci sono due, se non tre, governi anche in campo economico. Quello di Tria e Conte, quello di Salvini, quello di Di Maio.
Mentre gli attori del governo provano a fronteggiare così l’ennesimo dato nero dell’economia, la linea del Pil dice tante altre cose.
La crescita zero mette a repentaglio il già fragile accordo raggiunto con Bruxelles per evitare la procedura d’infrazione. Per ben due volte, in appena sei mesi, il governo ha provato a dare ai conti pubblici nuovi contorni.
Per ben due volte è stato costretto a una mediazione forzata, che si è conclusa con un sostanziale rispetto di quelle regole europee che Salvini e Di Maio, seppure con diverse sfumature, volevano mettere al rogo.
Ora anche l’accordo siglato a inizio luglio, e che alle casse dello Stato è costato quasi 8 miliardi di concessioni, è in bilico.
Carlo Cottarelli, già candidato a guidare il Paese e direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici, è uno che ci vede lungo. In un’intervista a Huffpost svuota il sacco dei rischi in cui questo governo ha trascinato il Paese: “L’anno scorso vedevo una possibilità , ma alla luce di come stanno andando le cose ora non vedo vie d’uscita per il Governo. La differenza tra quanto è stato promesso, dallo stop all’aumento dell’Iva alla flat tax, e il deficit che deve scendere è troppo grande”. Irrompe qui lo schiaffo della realtà .
Lo schiaffo della realtà è quello che arriva sul viso del governo. Il Pil che cresce poco, unito agli altri fattori di instabilità che stanno caratterizzando l’economia, impatta sul rapporto debito-Pil.
Rispettare gli impegni presi con l’Europa diventa un’impresa. E diventa insostenibile la manovra dei sogni di Salvini e Di Maio. I numeri ancora. Entro l’autunno vanno trovati 30 miliardi e ci sono impegni imprescindibili per lo stesso governo, a iniziare dallo stop agli aumenti dell’Iva. Rimangono briciole.
Però Salvini continua a insistere sulla flat tax, su tagliare le tasse per 10 miliardi. E Di Maio rilancia il taglio del cuneo fiscale. Come si finanzia questa lista dei desideri quando il Pil zavorra tutti gli indicatori e di fatto chiude gli spazi di spesa?
L’unica via d’uscita è quella del deficit, cioè finanziare i sogni di gloria prendendo i soldi in prestito.
Solo che portare un deficit oltre a livelli accettabili per Bruxelles significa far risalire lo spread, agitare i mercati, riproporre il rischio di una procedura d’infrazione.
Tutto questo genera perdite, soldi che escono dalle casse dello Stato per ripagare debito e interessi. Diciamolo chiaramente: questo governo si è messo in un labirinto angusto e ora la sola risposta che riesce a dare, per bocca del Capitano, è quello di ribaltare il tavolo in Europa.
Al di là del recente antecedente, a rendere ancora più improbabile la riuscita di questa pseudo-strategia è il fattore politico. Il governo, oggi, non è il governo dell’autunno scorso quando Salvini e Di Maio litigavano ai tavoli notturni di palazzo Chigi ma erano comunque allineati nell’incassare soldi dall’Europa.
Oggi questo governo non è capace di convocare sindacati e imprese a un unico tavolo. Ci sono tavoli a palazzo Chigi e tavoli al Viminale. Si parla, si illustrano idee, ma sono tavoli funzionali ai rapporti di forza tra Conte e Salvini, con Di Maio che prova ad accordarsi al premier.
Su quei tavoli ci sono idee diverse e le differenze arrivano a livelli maniacali perchè sono espressioni dei litigi e delle gare tra Lega e 5 stelle. Flat tax, taglio del cuneo fiscale, 80 euro, pace fiscale: le proposte dei due partiti di governo non convergono. E poi c’è Tria, che ha una proposta ancora diversa dalle altre due.
Forse è il caso di aggiornare il grafico. La linea del Pil è sempre quella. Secondo trimestre 2018 (0), terzo trimestre 2018 (-0,1%), quarto (-0,1%), primo trimestre 2019 (+0,1%), secondo (0). Quella del governo si è sdoppiata, ma non produce scosse, impulsi, idee.
Si adagia sulla linea del Pil. Come se la crescita fosse qualcosa che si autogenera.
(da “Huffingtonpost”)
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