LUCA ZAIA, IL “DEMOCRISTIANO” CHE PRESIDIA LE SAGRE DI PAESE E FA CONTENTI TUTTI QUELLI CHE CONTANO
EVITA DI INTERVENIRE SULLE QUESTIONI NAZIONALI, MANTIENE IL PROFILO BASSO MA ORA E’ PREFERITO A SALVINI DAI LEGHISTI
Il temperamento di un politico lo si vede dai particolari: Luca Zaia, 52 anni, è presenza fissa nelle seguite reti locali, che siano Telenuovo, Telearena, Canale Italia o Serenissima Tv; ma centellina col contagocce la propria voce quando c’è da intervenire sulle questioni nazionali, sui giornali e men che meno nei talk show.
Quando poi si esprime andando fuori dai confini veneti, raramente regala quei titoli urlati che invece tanto piacciono, da sempre, al capo del suo partito, Matteo Salvini.
Zaia quindi è un politico dai piccoli passi misurati, ma sempre un po’ più avanti; un democristiano fuori tempo massimo, capace di navigare nelle acque tempestose della Lega (Nord) e del centrodestra senza mai uno strappo clamoroso.
Venetista più che veneto, gavetta militare e laurea in veterinaria, a 29 anni già presidente della provincia a Treviso, di cui prima era stato assessore all’Agricoltura, poi vicepresidente di Regione, ministro – sempre all’Agricoltura – con Silvio Berlusconi e infine presidente della sua regione da dieci anni, la prima volta di un leghista che conquistava in prima persona il Veneto.
A casa sua ha sempre stravinto, incarnando la figura del politico che fa contenti un po’ tutti quelli che contano da quelle parti: gli industriali, i piccoli imprenditori, gli artigiani, gli allevatori, e infine la chiesa, gli amministratori locali.
Da anni presidia sagre e feste di paese e come facevano un volta i democristiani (appunto) incontra regolarmente chiunque abbia bisogno di un colloquio.
Parla come i propri concittadini, si veste come loro, si atteggia come loro: lavorare, lavorare, lavorare, pochi voli pindarici con le teorie politiche, incrollabile fede nelle virtù del mercato e degli schei, concretezza, ampio utilizzo del dialetto e i locali per divertirsi.
Bossiano con Umberto Bossi, maroniano con Roberto Maroni, salviniano con Salvini, ex “amico fraterno” del rinnegato già sindaco di Verona Flavio Tosi, in questo Zaia somiglia e si intende molto a e con Giancarlo Giorgetti, un altro che ha imparato bene la lezione in un partito che non ha mai ammesso voci fuori dal coro: mai disturbare il manovratore, anche quando le combina grosse (vedi la scorsa pazza estate del “Capitano”, mossa mai capita davvero da Zaia ma non contestata pubblicamente), perchè tutto passa e tutti passano ma la Lega resta.
Solo che adesso l’emergenza covid ha certificato che le due storiche leghe – quella lombarda, che è sempre stata più forte, e la Liga Veneta – hanno una resa differente. La prima comanda, ma la seconda appare funzionare.
Tanto che Salvini è stato costretto a prestare un pezzo del proprio staff comunicazione, la famosa “Bestia”, per risollevare le sorti di una Lombardia uscita a pezzi dalla gestione della pandemia. E se la Lombardia affonda, affonda anche il milanese Salvini. Questo nel mentre, anche con una certa dose di malizia, centrosinistra e 5 Stelle sottolineano le virtù venete nell’approccio della crisi, dal modello sanitario legato al territorio ai test a tappeto sulla popolazione.
Oggi gli indici di gradimento di Zaia, se messi a confronto con quelli di Salvini, dicono che tra i due non ci sarebbe partita. Ma se qualcuno si aspetta una mossa del presidente del Veneto, un assalto al comando di quel che ancora rimane il primo partito italiano, rimarrà deluso. Non rientra nel modus operandi di Zaia, un politico ambizioso ma abituato a imporsi senza rotture.
(da agenzie)
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