MA CHI FA LE NOMINE? IL CAPO DI GABINETTO DELLA MELONI, GAETANO CAPUTI, ISTRUISCE LE PRATICHE, L’IDEOLOGO DI FDI FAZZOLARI FA DA FILTRO, IL LOBBISTA SCUOLA FININVEST RICCARDO PUGNALIN FA DA SUGGERITORE
E, ALLA FINE, MELONI E GIORGETTI DECIDONO: IL COLLANTE DI PALAZZO CHIGI È ALFREDO MANTOVANO, IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO CHE SI OCCUPA ANCHE DI SERVIZI SEGRETI
Eccoci con la carovana di mediatori, lobbisti, sensali, gente informata, indottrinata, indaffarata, bignamini di politica industriale, di politica economica, di politica in purezza, retroscena, retrobottega, roba retrò, scarse novità.
Benvenuti nella stagione delle nomine per le aziende controllate (partecipate) dallo Stato e per le strutture nevralgiche della Repubblica. È il momento che disvela cosa c’è sotto, sopra e attorno al governo di Giorgia Meloni e specialmente chi.
Anche per le nomine non ci sono più le mezze stagioni e perciò la sua stagione – che scocca a marzo con la primavera – già si fa sentire. Un po’ fastidiosa come il polline di betulle e sequoie che gironzola a gennaio e inganna perché non s’accompagna al tepore, ma soltanto alle allergie. Stavolta c’è particolare apprensione che ben fa rima con confusione e tensione perché le scadenze si sovrappongono, decine di incarichi vanno assegnati in pochi mesi e i riferimenti classici nei partiti sono saltati.
A gennaio si completano le agenzie fiscali, il rodaggio nei ministeri e il gruppo dei laici selezionato dai parlamentari per il Consiglio superiore della magistratura. A febbraio tocca al segretario generale del ministero degli Esteri. A marzo e aprile si preparano le liste per Eni, Enel, Poste, banca Mps, Leonardo e poi la rete ferroviaria con Rfi, la società Trenitalia, la centrale acquisti Consip e tante altre. A fine maggio va indicato il comandante generale della Guardia di Finanza.
La domanda più complicata viene soddisfatta dalla risposta più semplice. Chi decide le nomine? Giorgia Meloni, elementare. E per Giorgia Meloni si intende la presidente del Consiglio col supporto tecnico dei suoi principali collaboratori in materia di poltrone e di potere.
Questo è un governo di coalizione anche se la coalizione, definita di centrodestra, è formata da un partito verticale, cioè Fratelli d’Italia, e due partiti scarmigliati, cioè Lega ex Nord e Forza Italia.
I posti più delicati sono sottratti alle logiche di coalizione. Vuol dire che sugli amministratori delegati (ad) e le presidenze collegate, per esempio di Eni e Enel oppure di Poste e Leonardo, le aziende più grosse, non si tratta, non si spartisce.
Dunque è scontato che leghisti e forzisti pretendano poi di avere spazio nei folti consigli di amministrazione e maggiore influenza per le società di livello inferiore. Nella stagione delle nomine è fondamentale conoscere lo stradario. Quali strade portano a Meloni. Quali a sperdersi in campagna. Quali nei vicoli ciechi. Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari è unanimemente un accesso garantito a Meloni.
Ha scelto per sé la competenza al programma di governo, una posizione all’apparenza defilata, e invece su ogni tema è il più ascoltato. Per un motivo più umano che squisitamente politico, un motivo che richiede più la ponderatezza del tempo che la lucentezza di una idea: la fiducia incondizionata. Siccome è diffidente di carattere, Meloni si circonda di persone di comprovata, da lei, fiducia.
Come Patrizia Scurti, l’onnipresente assistente di Meloni, che ha ottenuto la stanza di Palazzo Chigi più prossima all’ufficio della presidente, quella con le bandiere e il balcone che affaccia sulla colonna aureliana (da lassù i Cinque Stelle per una notte abolirono la povertà). Quel luogo solitamente è riservato al capo di gabinetto, fu così per i presidenti Paolo Gentiloni e poi Mario Draghi con Antonio Funiciello, mentre con Giuseppe Conte c’era il comunicatore Rocco Casalino.
Gaetano Caputi, il capo di gabinetto di Meloni, è sistemato altrove. L’ultima tappa di Caputi è stata al ministero del Turismo col leghista Garavaglia, ma la sua carriera di governo sgorga dalla fucina di Fortunato/Tremonti al ministero del Tesoro che precede il quadriennio da direttore generale di Consob, l’autorità che vigila sul mercato borsistico. Caputi ha trascorsi robusti per istruire le pratiche sulle nomine, però il filtro con la presidente è sempre Fazzolari.
Fra i sussurranti di Meloni, categoria a cui ambiscono in parecchi (forse troppi), va segnalato Riccardo Pugnalin, astuto lobbista, scuola Fininvest, a lungo a Sky, un periodo a British American Tobacco, da un paio di anni a Vodafone.
Il collante di Palazzo Chigi è Alfredo Mantovano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che si occupa anche di servizi segreti. Questo è il nucleo operativo sulle nomine che deve interagire con il Tesoro, l’azionista di fatto.
Premessa: la coalizione di centrodestra e di conseguenza il governo sono sorretti dall’asse Meloni-Giorgetti. Il ministro leghista è l’argine agli eccessi di vari tipi e vari Salvini. Per il bilancio pubblico e quindi per le nomine di Stato. Il Tesoro di Giorgetti non avrà candidati da spingere, semmai obbrobri da respingere. Per esempio con un controllo più serrato soprattutto sui consiglieri e un ruolo più frazionato per le società di reclutamento, i cosiddetti cacciatori di teste, che per l’occasione saranno quattro (tra cui l’americana Spencer Stuart).
Il triangolo si chiude sul Colle. Secondo una regola invalsa della Repubblica, che ha in Gianni Letta il suo massimo interprete, quando il contributo e la sorveglianza istituzionale del Quirinale non vengono esercitati sugli amministratori delegati, si esplicitano sui presidenti. È accaduto per Fincantieri. Lo scorso aprile il presidente Mario Draghi ha interrotto il ventennio di Giuseppe Bono (di recente scomparso) in Fincantieri con l’arrivo di Pierroberto Folgiero da Maire Tecnimont.
C’erano resistenze politiche al cambio di Bono e c’erano altri papabili muniti di ampio consenso (Lorenzo Mariani di Mbda Italia, consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie di difesa), ma Draghi era convinto che Folgiero fosse la figura più adeguata a una cesura storica nella multinazionale della cantieristica navale militare e civile. Folgiero fu promosso col generale Claudio Graziano e certamente la decisione sulla presidenza fu gradita al Quirinale.
In versione presidente, Meloni sfoggia la giusta sensibilità istituzionale per fissare un punto di equilibrio con il Colle. Il punto di equilibrio o galateo istituzionale prevede che, tranne in rare circostanze, non ci siano variazione alla guida dei servizi segreti se non ci sono mandati che finiscono: al dipartimento che coordina le due agenzie operative c’è l’ambasciatrice Elisabetta Belloni (termine 2025), all’Aise c’è il generale Giovanni Caravelli (2026), all’Aisi c’è il generale Mario Parente (2024).
Al riguardo non ci sono segnali diversi.Ci si può esprimere con maggiore criterio su chi esce o resta e non su chi entra nelle aziende di Stato. Il confermato più acclamato è Claudio Descalzi di Eni: risolta con un’assoluzione la questione giudiziaria, l’ad ha gestito col governo Draghi la ricerca di fonti energetiche alternative al gas russo. La quarta nomina per Descalzi è sicura.
Al contrario per Francesco Starace di Enel, che fu promosso assieme a Descalzi nel 2014, è sicuro che la quarta non ci sarà. Ai saluti anche Alessandro Profumo di Leonardo. La coppia Enel e Leonardo sono ingranaggi fondamentali. Debiti e rinnovabili per Enel, occupazione e sviluppo per Leonardo. Le ipotesi sono numerose. Per Leonardo pare il turno del già citato Mariani.
Per Enel ci sono papabili interni o papabili stranieri (come Flavio Cattaneo). Atterrato in Terna con i Cinque Stelle, l’ad Stefano Donnarumma ha conquistato Fratelli d’Italia e ha rafforzato le sue aspirazioni: possibile un salto a Enel, più probabile un bis nella società delle linee elettriche.
Su Matteo Del Fante di Poste ci sono indiscrezioni positive, ma comunque contrastanti: potrebbe agguantare il terzo giro, andare a Enel o chissà dove. Si parla anche di Cassa Depositi e Prestiti, però la data di scadenza di Dario Scannapieco è il 2024. L’economista ex vicepresidente della Banca europea per gli investimenti, rimpatriato con Draghi, ha buoni contatti con Meloni (incontro a ridosso di Natale) e beneficia delle intercessioni del ministro Adolfo Urso e di Giuseppe Guzzetti, per vent’anni presidente delle fondazioni bancarie che sono azioniste di Cdp.
Scannapieco può contare anche sul rispetto che Meloni nutre per Mario Draghi per questo non peserà, come ipotizza qualcuno, la vicenda sulla rete unica telefonica (Cassa ha il 9,81 per cento di Tim e il 60 di Open Fiber). A febbraio l’ambasciatore Ettore Sequi lascerà l’incarico di segretario generale della Farnesina e sarà una valida soluzione per le nomine di primavera.
Alla Farnesina c’erano pochi dubbi sull’ascesa dell’ambasciatore Armando Varricchio, ma adesso il collega Riccardo Guariglia (sede a Madrid) appare in vantaggio. Giovane (classe ’63) e stimato in maniera trasversale, il comandante generale Giuseppe Zafarana completa a maggio il quarto anno con quattro governi alla Gdf: è senz’altro un profilo adatto per posti liberi o che si possono liberare.
(da L’Espresso)
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