MELONI CRITICA IL PIANO DI RIARMO CHE AVEVA APPROVATO PER ARGINARE LA LEGA
TUTTI ATTACCATI ALLA POLTRONA SULLA PELLE DEL POPOLO UCRAINO
Deve tenere tutti insieme. Soprattutto l’alleato Matteo Salvini, riottoso e che minaccia di sostenere le risoluzioni dell’opposizione. Anche se non è presente – è a Varsavia per un consiglio informale dei ministri dei Trasporti – è il leghista il convitato di pietra delle comunicazioni di Giorgia Meloni alla vigilia del Consiglio europeo.
La risoluzione approvata a fine giornata con 109 sì, 64 contrari e 4 astenuti è annacquata e vaga su tutto. Il discorso della premier è equilibrista, ma serve per non scontentare l’alleato leghista: dice no al piano di Ursula von der Leyen, elogia il lavoro diplomatico di Donald Trump sull’Ucraina e spiega che sui dazi “non servono vendette o rappresaglie”. Comunicazioni che la avvicinano sempre di più alle posizioni della Casa Bianca.
Alle 14.30 a Palazzo Madama i banchi sono pieni. Si temeva qualche assenza così il ministro dei Rapporti col Parlamento Luca Ciriani ha scritto a tutti i componenti del governo un messaggio chiaro: “È necessaria la presenza”. Il risultato è straniante. Vogliono esserci tutti, anche solo per farsi la foto mentre Meloni parla. Ci sono ministri e sottosegretari, tant’è vero che alla fine alcuni ministri importanti restano in piedi e devono sedersi insieme ai colleghi senatori, come il titolare degli Affari europei, Tommaso Foti. Ciriani riscrive un altro messaggio ai colleghi sottosegretari: “Fate spazio ai ministri”. Il discorso di Meloni fila via liscio senza particolari sussulti. La premier sostiene gli “sforzi” di Trump sulla pace in Ucraina, anche se il sostegno al “popolo ucraino non è mai stato in discussione”.
In serata, dopo la telefonata tra Trump e Putin in cui il presidente russo ha chiesto di smettere di inviare aiuti, il ministro della Difesa Guido Crosetto conferma che l’Italia continuerà a fare la sua parte per sostenere militarmente Kiev: “Ad oggi nulla mi risulta cambiato sulla necessità di continuare ad aiutare l’Ucraina a difendersi”, dice il ministro della Difesa al Fatto. Stessa posizione del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del presidente francese Emmanuel Macron. Fonti qualificate fanno sapere che la linea del governo non la detta Putin, ma il Parlamento.
La premier poi fa alcune concessioni all’alleato leghista: ribadisce il “no” all’invio di truppe a Kiev e critica il piano di Ursula von der Leyen per riarmare l’Europa per 800 miliardi. Meloni lo definisce “roboante rispetto alla realtà”, dice rispondendo in replica al senatore leghista Claudio Borghi.
Sicuramente spiega che l’Italia non utilizzerà i fondi di coesione e sicuramente non taglierà le spese “sociali, servizi, scuola, Sanità e del welfare”. Ricordando la proposta del ministro Giorgetti di un piano con garanzie per 200 miliardi di fondi privati. Nonostante i dubbi, Von der Leyen propone una sorta di centrale di acquisti per far convergere domanda e acquisti.
Il rapporto con la Lega però non è facile. La premier quando arriva al Senato incrocia il capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo. Di prima mattina Meloni e Salvini si sentono al telefono ed entrambi gli staff parlano di telefonata cordiale provando a smentire le tensioni degli ultimi giorni. In realtà le tensioni restano. Durante il suo discorso Meloni dedica una stoccata a Salvini, oltre che al M5S di Conte: “Lascio volentieri ad altri, in quest’aula e fuori, quella grossolana semplificazione secondo cui aumentare la spesa in sicurezza equivale a tagliare” sul welfare. “Non è, ovviamente, così – continua la premier – e chi lo sostiene è perfettamente consapevole che sta ingannando i cittadini, perché maggiori risorse per la sanità, la scuola o il welfare non ci sono, attualmente, non perché spendiamo i soldi sulla difesa, ma perché centinaia di miliardi sono stati bruciati in provvedimenti che servivano solo a creare consenso facile. La demagogia non mi interessa”, conclude. Un riferimento sia a Conte (attaccato anche per aver preso l’impegno del 2% per le spese militari) sia a Salvini, tant’è che i leghisti sono gli unici che non applaudono durante il suo discorso. Quando solidarizza con il presidente Mattarella per gli attacchi russi, Claudio Borghi è l’unico che non si alza per applaudire nonostante il richiamo dei colleghi. Alla fine la Lega vota la risoluzione della maggioranza, ma Meloni sa che Salvini continuerà a creare tensioni almeno fino a inizio aprile, giorno del Congresso.
(da ilfattoquotidiano.it)
Leave a Reply