MELONI VUOLE IL VENETO E LE SERVE LA TESTA DI ZAIA
COMINCIATE LE GRANDI MANOVRE PER LE REGIONALI, PREPARIAMOCI AI FUOCHI D’ARTIFICIO
In gioco non ci sono solo cinque poltrone da governatore regionale in Sardegna, Piemonte, Abruzzo, Basilicata e Umbria. Dietro allo stridor di denti di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani c’è ben altro. C’è l’intenzione della premier, in ragione dei nuovi rapporti di forza, di andare alla conquista di una grande Regione del Nord affermando l’egemonia di Fratelli d’Italia nel cuore dell’Italia produttiva.
Per l’esattezza nel Veneto, guidato da quasi quattordici anni dal leghista Luca Zaia. Ma non ora, nel 2025 e senza dirlo prima a Salvini. Sia per evitare al leader del Carroccio un travaso anticipato di bile, sia per non terremotare prematuramente la coalizione.
“In Veneto si vota tra un anno e mezzo: un tempo che in politica rappresenta un’era geologica”, dice a HuffPost Giovanni Donzelli, braccio destro di Meloni, “dunque ne parleremo a tempo debito. Se ne discutessimo adesso esploderebbe il caos…”
Donzelli, che per FdI cura il dossier, fa bene a essere prudente. I nervi nel centrodestra sono già molto tesi. E lo sono, guarda caso, per le sgomitate e i colpi bassi tra alleati al Nord: il prequel (chiamatelo anche antipasto) della resa dei conti che scatterà nel 2025. In palio: la presa del Settentrione.
Ricapitolando. Tutto nasce dello sgarbo di Maurizio Fugatti, appena rieletto presidente della Provincia di Trento: il leghista aveva promesso il posto di vicepresidente alla meloniana Francesca Gerosa ma poi, incassata la rielezione, le ha preferito il fedelissimo della sua lista civica Achille Spinelli. Giorgia Meloni, si sa, non è tipo da incassare senza reagire. Così due-tre giorni fa ha dato mandato a Donzelli e ai suoi colonnelli di regolare i conti in vista delle regionali del prossimo anno: Abruzzo, Sardegna, Basilicata, Piemonte tra marzo e giugno, Umbria in ottobre. E di regolarli in ragione dei nuovi rapporti di forza: “Salvini deve capire che non è più al 30% delle europee 2019…”, dicono nel quartier generale di Fratelli d’Italia di via della Scrofa.
Un ragionamento che porta Meloni & C. a dare il ben servito al governatore autonomista sardo, legato a Salvini, Christian Solinas.
La reazione del vicesegretario lumbard Andrea Crippa ieri è stata perentoria e minacciosa: “C’era un accordo per riconfermare tutti gli uscenti. Se si tocca la Sardegna si rimette in discussione tutto. Noi non possiamo accettare e non accetteremo veti!”.
Ma quelli di FdI nel day after non si mostrano intimoriti: “Salvini manda Crippa all’attacco ma sa benissimo che con Solinas, che ha problemi politici e giudiziari, si perde sicuro”, dicono in via della Scrofa, “dunque, la Lega si dia una calmata. Altrimenti dovrà rinunciare anche alla Tesei, quando nel prossimo autunno si voterà in Umbria”.
Meloni ha pronto il nome per sostituire Solinas: il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, FdI. “È il migliore e noi puntiamo sui candidati migliori”, certifica Donzelli. In più la premier non sembra, al momento, avere alcuna intenzione di ricompensare Salvini offrendogli la Basilicata o il Piemonte dove governano i forzisti Vito Bardi e Alberto Cirio, entrambi destinati alla riconferma nonostante il maldipancia leghista. Dunque: Sardegna, Abruzzo (dove governa Marco Marsilio) a FdI, Piemonte e Basilicata a Forza Italia, Umbria alla Lega.
Davvero poco per Salvini. Perciò è considerato probabile un feroce braccio di ferro dal quale Tajani potrebbe uscire “ridimensionato”, come dice una fonte di rango leghista. “Ma Antonio è fortunato”, è l’aggiunta velenosa, “se si votasse prima delle elezioni europee del 9 giugno rischierebbe di esserlo ancora di più…”. Chiaro il riferimento alle aspettative di Forza Italia in forte calo, orfana di Silvio Berlusconi.
Lo sguardo rivolto alle elezioni europee ha un significato ben preciso. Il voto di giugno sarà una sorta di spartiacque per il centrodestra. Ad attenderlo con trepidazione è soprattutto Meloni. Perché rappresenta un decisivo test di midterm per il suo governo, tant’è che è corsa ad alzare le bandiere del premierato e della delocalizzazione dei migranti in Albania per scippare voti alla Lega.
E perché i nuovi rapporti di forza, pesati e cristallizzati a giugno, varranno quando si tratterà di decidere i candidati alle regionali del 2025. Una tornata ben più importante di quella dei prossimi mesi: si voterà in Campania, Emilia Romagna, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Veneto. E Meloni, secondo diverse fonti di FdI e della Lega, punta sulla Campania, vuole fare il colpo grosso espugnando Toscana ed Emilia Romagna. E, soprattutto, sogna il Veneto.
Inutile dire che soltanto la prospettiva di perdere la Regione del Nord-Est fa venire l’orticaria a Salvini: per il vicepremier e ministro dei Trasporti sarebbe un colpo mortale. Ma se FdI, come sembra, alle europee si attesterà tra il 28 e il 30%, Meloni potrà vantare, a maggior ragione, il diritto di rivendicare una grande Regione del Nord. E con la Lombardia alla Lega e il Piemonte a Forza Italia rimane, appunto, solo il Veneto.
Da notare che Zaia governa ininterrottamente dal 2010, perciò è già al terzo mandato e vorrebbe fare il quarto. Con una legge regionale del gennaio 2015, con cui ha introdotto il limite dei due mandati, il governatore leghista ha però azzerato la situazione. Tant’è che ora Zaia viene considerato al secondo mandato, al pari del campano Enzo De Luca, del pugliese Michele Emiliano, del lombardo Attilio Fontana, dell’emiliano Stefano Bonaccini, del ligure Giovanni Toti e del friulano Massimiliano Fedriga. Da qui la richiesta della Conferenza delle Regioni di portare a tre il limite di mandati.
Meloni, però, che non ha governatori “anziani”, non appare intenzionata ad ascoltare l’invocazione bipartisan dei presidenti regionali. “L’opzione di portare a tre i mandati non è né allo studio, né in calendario. Dunque…”. Dunque? “Salvini dovrà farsene una ragione, Zaia non potrà essere ricandidato. Sarebbe governatore per un ventennio…” dice una fonte di rango di FdI.
Sintesi estrema della strategia di Giorgia: riequilibrio adesso delle poltrone regionali, asso pigliatutto dopo le europee. A partire dal 2025. Ha però ragione Donzelli: un anno e mezzo in politica è come un’era geologica.
(da Huffingtonpost)
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